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La pelle splendida di certo rock: Afterhours Live@Live Club (Trezzo d’Adda) 06/10/07

Dal parcheggio arredato di passi e dalla prima, vera serata autunnale della stagione, riesco ad intuire qualche nota targata JoyCut: sono in ritardo e non è una novità. L’attesa bisbigliata s’insinua tra i corpi in educata fila ed un sabato qualunque perde i soliti contorni. Il locale è vestito a nuovo, un’auto fiammante pronta per il giro di prova, e tutto lascia intuire che sarà una prova d’emozione. Mi dirigo sulle scale, guardo il palco da sinistra, mi piace la prospettiva da lì: recinto i miei cinquanta centimetri quadrati di pavimento, mi aggrappo al parapetto in metallo e aspetto. A pochi passi da me, sul muro, la proiezione di scorci dell’ambiente circostante. C’è odore d’incenso: probabilmente lo sto immaginando.

Ore 22.57.
“Lo spettacolo siete voi. Lo spettacolo siamo noi, con voi”: questo intuiscono le centinaia di teste alzate in direzione di un mixer illuminato di blu mentre centinaia di voci, le loro più una, la voce di Manuel da un megafono, scandiscono “voglio un pensiero superfiale che renda la pelle splendida”. In questa notte nero cristallo le carte da scegliere sono un mazzo intatto, buttato sul tavolo acusticamente, quasi in sordina, con un riverbero di luce inaspettato che si lascia intuire nel buio. Sono lì, sono in sei, guardano noi ed altrove, ai porti sepolti che si lasciano raggiungere solo attraverso rotte di prima mano.
La vedova bianca dice bene del bianco su nero, delle mentite spoglie mal riuscite, della menzogna quando è la verità: qui non si bara, questa sera si recita a soggetto. Urlata, di sasso, si scaglia e incorona l’idillio, nobilitato definitivamente dall’ Inutilità della puntualità. Non siamo qui per una tranquilla serata fra amici, non siamo qui per riposarci: siamo qui per sentirlo tutto, goccia a goccia, il sangue scorrere nelle vene. Una chitarra acustica non è quiete, non ora, e tiene alte le mani nella caduta, le lega all’aria, non lascia che scivolino lungo i fianchi; se E’ la fine quella più importante non lo è a giustificazione dei mezzi. Conviene, adesso, lasciare che ci guidino l’istinto e il sapore dolciastro della solitudine, quella che sentiamo spalla a spalla, quella di cui le chitarre tingono i contorni ed una voce spezza le catene, quella dell’opportunismo, del destino a tutti i costi, delle pose, del dolore. La “ìBallata come un sigillo, quasi un lasciapassare, chiude una porta per aprire un varco sullo spettacolo della passione che in questo momento rinasce musica. Manuel imbraccia il fucile, la chitarra rossa come un monito, e davvero Tutto fa un po’ male ma questo genere di dolore lasciamo che ci piova addosso senza protestare, quasi pretendendone ancora. Qualcuno si agita troppo ma va bene così: certe storie d’amore non sono poesia; certe storie d’amore sono mani e rivoluzione. Dal palco si alza un brindisi, “alla salute” degli astanti, al sudore benedetto, all’attesa che ci auguriamo non venga tradita. Sguardi d’intesa fra i sei da un angolo all’altro del palco ed è di nuovo un fiume in piena quello che ci sposta di un metro più in là: Lasciami leccare l’adrenalina, La sottile linea bianca, Rapace, La sinfonia dei topi. Gli ingranaggi sono oleati, la macchina concede all’estro il vantaggio delle buone occasioni. Si va oltremanica, la tastiera impenna, il violino ne accende i dettagli. Un racconto di bicchieri spaccati riconduce qui, alla cattiva novella degli anni ’80, della Milano da bere, da fare, da rifare: come vetri rotti le note schizzano via, l’armonia avvampa, i pudori crollano. Dentro allo spettacolo ce n’è uno di scorta ed è Wawe of mutilation il canale, l’apripista, il codice a barre di una cover di talento. La marea arretra, tutto pare placarsi, ma la pace è un inganno: è Il sangue di Giuda, è quel po’ di ogni cosa che lascia con il cuore scalfito. E con ancora in bocca quel sapore dolciastro, Manuel offre l’ultimo saluto ad un amico che non tornerà (n.d.r.: Luca Giacometti, chitarrista dei Modena City Rambles, è morto nella notte fra il 5 ed il 6 ottobre scorsi in un incidente stradale) intonando una personalissima Lilac Wine: “I lost myself on a cool damp night I gave myself in that misty light”. Le onde tornano a lambire le caviglie, tornano a riprendersi la terra e lo fanno con garbo, con il tatto intelligente delle stagioni, ‘ché, se Ci sono molti modi per procurarsi la deriva, non molti sono quelli che conducono alla stabilità e spesso sono il sinonimo della fine. A day in the life ha le movenze del commiato, acquista l’intensità del commiato, eppure, a guardarli suonare, ad ascoltarli suonare, non è un saluto che sale in gola ma l’invito a rimanere, ospiti nostri, ancora un po’. E loro restano, ospiti della loro stessa energia, ed è il momento più opportuno per il talento dal cuore, per l’insolenza delle riletture, per Mio fratello è figlio unico, per La canzone di Marinella che ha nella ritmica il battito vitale, la riverenza, un grazie. L’eco delle ultime note di piano mi scivola addosso, preludio a Non è per sempre, cucchiaio di sciroppo necessario, ultima sigaretta della sera, quando il sonno non è ancora riposo.
Ciao, mi dico, grazie, è stato necessario essere qui, essenziale.
Come a darmi ragione, chitarra e voce, Manuel lo sussurra, poi lo ringhia, “no, Non sono immaginario”; no, non lo canta: lo racconta, lo recita.
Come a darmi ragione, di nuovo in sei, Quello che non c’è non è solo un’interpretazione, è l’istrionico canto del cigno di questa sera, la pennellata di stile, il tatuaggio sulle nostre spalle. Come a darmi ragione, definitivamente, una ad una, ciascuna con il proprio nome ben scritto sopra, le schiene si tendono: 1.9.9.6. non lascia tempo ad esitazioni, smuove altra adrenalina; Bye Bye Bombay è un’esplosione, l’abito festivo, il dito puntato contro la mediocrità.
Quasi due ore di radiazioni, di onde d’urto, di scosse. Quasi due ore di fatica, di passione, di piacere. Quasi due ore da portarsi via, da tenersi addosso, contro il freddo quando deve venire, a difesa del tempo, spiraglio d’onestà, di determinazione, dose massiccia di buona musica.
In macchina, tornando verso casa, di nuovo odore d’incenso: continuo semplicemente ad immaginarlo. (Foto by Roberta Molteni)

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6 commenti

  1. Sono sicura. Ero lì. Ho visto le scale, il palco. Ed ho sentito perfettamente tutto.

  2. Come un “ritorno a casa”

    punto

  3. Ecco! Mi sono perso un altro loro concerto…questa cosa inizia a darmi sui nervi! Fortuna che c’eri tu a raccontarlo.
    Ne aspetterò un altro, alla fine ce ne sarà, un altro…è la fine la più importante.

  4. Senza parole. Un live report che ti fa vivere in tempo reale le emozioni. E’ un life-report! :-)

  5. Ci hai raccontanto la magia di questo concerto attraverso i tuoi scatti e le tue parole non fanno altro che aggiungere emozioni. Grazie!

  6. ti racconto di un giorno…un pomeriggio d’estate passata a chiedere al mio amiko Big di togliere quel cd “che mi dava sui nervi”…(le emozioni che trasmetteva erano troppo forti…e non riuscivo a controllarle)…lui imperterrito continuava a mettere su un altro cd e poi un altro ancora, sempre loro…che si mischiavano al sudore della mia pelle…mi davano fastidio…erano liquidi e “subdoli” non li metabolizzavo! mi spingevano a riflettere sulle mie emozioni…ed in quei giorni…beh non mi sembrava normale!
    poi un mese dopo…accendo il satellitare…io davanti alla tv…il mio amiko era partito per la sua divertente vacanza… ero sola…nel mio quartiere solo..agosto, caldo…e ad un tratto, eccoli! entrano per l’ennesima volta nella mia vita…con quella frase…proprio la prima citata da te nel tuo intevento…un video ipnotico…ed io come ipnotizzata cantavo con loro..ed era come se mi fossero entrati dentro a mia insaputa…per non uscirne mai più!!!
    la loro musica mi ha cambiata…ed ora ringrazio solo Big.
    …e ovviamente te per aver scritto questo bel pezzo…che mi ha riportato con la mente alle emozioni che furono!
    scusate se sono stata prolissa…
    e grazie ancora

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