Il disco nuovo è servito. Questo è il semplice titolo del disco forse più atteso dei R.E.M. È il 1992, a pochi mesi di distanza dall’enorme successo di Out of Time. Per chi si aspettava un’ideale prosecuzione della carica di Losing my religion, risulterà difficile da accettare il senso di angoscia che qui si manifesta. E’ un disco cupo per molti aspetti: il tema più ricorrente è quello della morte, sia fisica che mentale. Gli arrangiamenti si fanno più scuri. La voce di Michael Stipe più graffiante, meno fluida. I testi si arricchiscono di immagini sempre più astratte, di giochi di parole e di riferimenti più o meno espliciti alla situazione politica in cui si muove il gruppo. La riflessione si orienta su due percorsi simmetrici: da una parte il microcosmo offerto dallo star system che inizia a stare stretto a Stipe e compagni, dall’altra il macrocosmo America, con i suoi limiti sempre più marcati. Entrambe le realtà sono in grado di offrire opportunità che non a tutti sono concesse; eppure quella libertà ha un costo notevole che si traduce in condizionamenti e influenze cui i R.E.M non hanno mai saputo sottostare. Ed è questo il primo messaggio che si vuole dare con il pezzo che apre il disco, Drive. Attraverso una serie di verbi che esprimono movimento, si invita l’ascoltatore a reagire, ad essere l’autore assoluto delle proprie scelte (“hey kids, where are you? nobody tells you what to do”) mantenendo sempre la lucidità necessaria. Il modello strumentale per i pezzi successivi si forma su questo. Nella sua intensità, si pone a manifesto dell’intero lavoro, che alterna brani più scarni ad altri accuratamente imbastiti. Come già si può notare in Try not to breath. Protagonista è un vecchio i cui occhi guardano verso un traguardo ormai vicino, che spaventa nella sua inevitabilità e nell’assenza di controllo. Con questo brano i R.E.M. si schierano a favore dell’eutanasia, nell’esaltazione delle capacità decisionali dell’uomo. Strumento fondamentale della scrittura dei R.E.M, la citazione, si palesa in modo evidente in The sidewinder sleeps tonight: chiaro il riferimento alla ben nota The lion sleeps tonight dei Tokens. Il serpente è solo metafora per un senzatetto che striscia cercando la sua dimora provvisoria, priva di riferimenti, senza possibilità alcuna di essere rintracciato. Il tono scanzonato pone l’accento sulla contraddizione che separa la libertà estrema dalla sua improbabile realizzazione. Solenne e cerimoniosa è l’intro delicata di Everybody hurts. Il dolore è il denominatore comune nella vita di ogni essere umano, secondo la visione di Michael Stipe. Ma è solo un punto di partenza. La consapevolezza che permette la rinascita. L’input a non cedere, a rialzarsi. A non buttare via nulla e conservare bagagli mai chiusi di insegnamenti. New Orleans Instrumental no. 1 crea continuità tra il pezzo che precede e quello che segue, senza interrompere. È l’atmosfera di un sogno, quel vagare evanescente e incontaminato in cui i passi hanno il rumore di piume eteree. Sweetness follows è un po’ la risposta a quel dolore cantato fino ad ore. La famiglia è qui il luogo duale di incomprensioni sofferte e di quei piccoli gesti che rendono viva un’anima. La dolcezza è un mezzo e una meta certa quanto la sofferenza. Monty got a raw deal è invece dedicata all’attore degli anni ’50-’60 Montgomery Clift, interprete di grandi film come Da qui all’eternità. La sua carriera venne interrotta da un grave incidente che lo sfigurò e dalla morte piuttosto precoce. Ciò che viene cantata è la sostanziale differenza tra la realtà filtrata dal grande schermo e la finzione della quotidianità tenute insieme dal nonsense: l’assenza di significanti e significati che non fa altro che far sprecare fiato e tempo a chi prova a cercare il suo ruolo da una parte o dall’altra. Ma la ricerca altro non è che piacere da consumare lento nell’attesa di affrontare le sue conseguenze. Se fino a questo punto i toni sono stati pacati, l’attacco di Ignoreland è più incisivo ad anticipare il violento sfogo dei R.E.M verso la classe politica americana. Si contesta il governo repubblicano di Bush senior così come dei suoi predecessori, anonimamente citati sotto forma di anni di elezione. Stipe li addita senza mezzi termini come manipolatori delle informazioni che arrivano alle genti, accusate a loro volta di aver bisogno di un’entità forte in cui riversare le proprie aspettative (“If they weren’t we would have created them”). L’ignoranza è dunque l’utopica aspirazione per un mondo indipendente dal falso nozionismo. Il non-sapere viene a coincidere con la verità vera e unica del singolo. Il testo è frammentario e spesso di difficile interpretazione come se l’esplosione del cantante avvenisse in presa diretta, secondo le non regole del flusso di coscienza. Ma la censura colpisce il gruppo stesso in Star me kitten, costretta a cambiare il titolo originariamente più provocatorio e volgare: star si riferisce per l’appunto agli asterischi sotto cui si nascondono termini inappropriati. E’ la più classica delle ballad in perfetto stile R.E.M. e l’argomento non può che essere l’amore e i suoi turbamenti, i cambiamenti in un rapporto e la loro accettazione. Un altro sguardo al mondo dello spettacolo è offerto attraverso Man on the moon, dedicata al comico Andy Kaufman anch’egli prematuramente scomparso. Infiniti i riferimenti alla sua carriera e ai suoi contemporanei. Il ritmo è accattivante: la strofa in sordina, modulata, scorre veloce fino all’insolenza del ritornello. Gli strumenti vengono simbolicamente appoggiati a terra per il momento più intimo del disco. Nightswimming. Una ninnananna nostalgica sussurrata e accompagnata solo da un pianoforte che ripete con dolcezza le stesse note. Un quadro che ferma l’estemporaneo istante di un amore adolescenziale. Lontano da tutti, dalla comprensione, dai timori. Le parole sono carezze a tracciare il buio e la tranquillità richiesti. La matita continua a disegnare, attraversando un foglio nuovo. È Find the river a chiudere, con le sue sonorità legate alla terra che ha generato la band. Il fiume da ricercare non è lontano da noi. Siamo noi, con il nostro contributo e la nostra conoscenza a formare l’oceano verso cui tutto tende.
Ciò che resta è il profumo di bergamotto e zenzero a incorniciare l’eterno dondolio tra tormento e conforto, tra privazione e consolazione, che fanno di questo disco un’estensione onirica in cui perdersi volentieri.
Credits
Label: Warner Bros 1992
Line-up: Michael Stipe (voce)– Peter Buck (chitarra) – Mike Mills (basso) – Bill Berry (batteria)
Tracklist:
- Drive
- Try not to breath
- The sidewinder sleeps tonight
- Everybody hurts
- New Orleans instrumental no.1
- Sweetness follows
- Monty got a raw deal
- Ignoreland
- Star me kitten
- Man on the moon
- Nightswimming
- Find the river
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