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Mark Lanegan & Greg Dulli @ Auditorium Parco Della Musica (RM) 27/01/09

gutterLa cornice formale dell’Auditorium sembra decisamente obsoleta per ospitare i gemelli che arrivano dai bassifondi. Immagineremmo per lo più la solita vecchia bettola, il fumo che inonda l’atmosfera, i boccali di birra che risuonano al contatto del legno dei tavoli; un angolino con un paio di chitarre acustiche appoggiate al muro, un paio di bicchierini di whisky e Mark Lanegan e Greg Dulli lì pronti a sputare l’anima. Stasera invece c’è tutta un’altra atmosfera; il palco soffusamente illuminato mostra tre sedie, le chitarre poggiate sugli appositi sostegni, i leggii pieni di fogli, un pianoforte a coda. C’è quel profumo familiare, l’aria intrisa di misterioso candore, di una riverenza e di un rispetto che non sembrano umani. Mark Lanegan e Greg Dulli, con i rispettivi Screaming Trees e Afghan Whigs, sono state icone del rock degli anni 90, anche se in una posizione maggiormente di nicchia rispetto ai mostri sacri di Seattle dell’epoca. Ma il tempo, per forza di cose, passa un po’ per tutti, il fardello dell’esperienza si appesantisce sempre di più; si prosegue per la propria strada ma senza mai dimenticare le origini, tradendo di tanto in tanto quelle stesse emozioni che ti facevano palpitare 20 anni fa.

Lanegan e Dulli dopo infinite collaborazioni decidono di unirsi ancora nel progetto Gutter Twins pubblicando l’album Saturnalia e l’ep Adorata, lavori oscuri che scavano nei risvolti di vite notturne, tormentate dai propri demoni mai estinti. A suggellare l’intimità della serata, l’esibizione in apertura di Duke Garwood, in grado di rapire col suo delizioso blues acustico e col suo fingerpicking tanto meraviglioso quanto intenso. Le emozioni si svelano in pieno non appena Lanegan e Dulli solcano il palco accompagnati dal chitarrista Dave Rosser. Non una parola, la chitarra acustica di Greg inizia a riempire l’aria del suo suono metallico, le prime note di The Body prendono forma. Le voci e il loro intreccio sono il vero spettacolo. Mark Lanegan e la sua voce baritonale ti avvolgono in un’atmosfera straniante ma rassicurante, capaci di scaldare gli animi e sostenere a perfezione e valorizzare la voce più esile e le frequenze più alte di Dulli. Perfetto ritratto di questa fusione estatica e divina è la splendida God’s Children. I brani di Saturnalia, eseguiti tutti in acustico, acquistano più intimità, una certa crudezza spoglia a discapito del rock, soprattutto quando Greg passa ad accompagnare al piano. The stations precede We have met bedore, dall’ep Adorata, prima di capire che stasera non ci saranno solo i Gutter Twins. Arrivano i brani più intimi e commoventi di Mark Lanegan quali Creeping Coastlines of Light, Resurrection Song, Kimiko’s Dream House. I Twilight singers con The Twilite Kid, King only e The Lure Would Prove Too Much, episodi straordinari in cui la voce di Dulli ti culla alla luce fioca del crepuscolo insieme alla chitarra acustica. È emozionante tornare indietro di 13 anni con Summer Kiss degli Afghan Whigs e sentire Dulli  che canta con la stessa foga e le stesse suggestioni di allora. Sbalorditivo. Impressionano la pacatezza e la misura: Lanegan, sempre seduto sulla sua sedia che batte il tempo con le mani sulle gambe, capace di far dissolvere la neve al sole con la sua voce; Dulli tradisce qualche emozione in più, lo si capisce da quel po’ di sudore sulla fronte, ringrazia e di tanto in tanto si sposta al piano. Ma non mancano momenti più sarcastici come quando sul finire di due dei loro brani accennano le strofe di All Along the Watchtower di Bob Dylan e Baby I’m Gonna Live You dei Led Zeppelin.
gutter1La conclusione della prima parte è affidata al blues del Mississipi di Bukka White con la sua I’m in the Heavenly Way, nella quale i due gemelli si calano a perfezione e il chitarrista Dave Rosser colpisce per la sua attitudine. E’ Dulli ad aprire le danze dei bis con la sua Candy Crane Crowl accompagnata al piano, mentre Lanegan fa suoi i controcanti che furono di Ani Di Franco per poi inoltrarsi sulle note della sua One Hundred Days. L’atmosfera sembra ora più distesa, più amichevole. I due scambiano qualche timida battuta prima di intraprendere i tre brani finali. E’ tempo di riallacciarsi alla tradizione, quella del blues delle origini dal quale, volente o nolente, non si può prescindere. Tennesee Waltz è uno standard tradizionale portato alla luce da Otis Redding e reinterpretato, tra gli altri, da Eva Cassidy, Patti Page e Norah Jones. La sognante e candida All I Have To Do Is Dream degli Everly Brothers, reinterpretata anche da Roy Orbison, è un gioiellino che  fa trasalire mentre un altro standard, per il quale passarono anche Frank Sinatra ed Ella Fitzgerald, porta alla conclusione della serata. Si tratta di I Got a Kich Out of You di quel Cole Porter che figura tra i più grandi compositori di sempre.
Rimango senza parole. Sembra una di quelle serate tra amici, seduti lì a parlare fino all’alba. Raccontarsi le proprie storie di vita, ricordare il passato per unirlo al presente, con le sue gioie e i suoi sconforti, con i suoi sogni e i suoi fantasmi. Una di quelle serate indimenticabili nella loro nuda sincerità.

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2 commenti

  1. Una serata senza dubbio magnifica.. Mi sarebbe piaciuto esserci.
    Due personaggi pieni di sfumature, che portano addosso splendidamente i segni del loro passato, sul palco e nella vita.

    Report suggestivo, Gianluca, complimenti ancora una volta.

  2. Questo report rende al massimo la magia di Greg Dulli e Mark Lanegan.

    L’intensità che tu, Gianluca, hai vissuto in prima persona come tanti altri intorno a te, è riuscita a giungere fin qua. Mi sono commosso. La magia della musica sta qua… sa farsi spazio anche nel vuoto, ed è capace di farsi sentire nella mente, anche quando effettivamente non c’è.

    Quelle voci, quelle splendide voci, leggendo, le ho sentite.

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