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Guardo tutto l’oro che c’è che diventa carbone: intervista a Dente

dente_inter0021Che L’amore non è bello ce lo ha detto chiaramente, senza remore, sin dal titolo del suo ultimo disco e probabilmente ce lo aveva lasciato intendere già coi due precedenti lavori. Giuseppe Peveri, in arte Dente, estroverso e geniale cantautore italiano, languido e trasognato, stupisce ancora una volta per il suo modo schietto e semplice di elevarsi a cantore e poeta di quella mediocrità quotidiana che coinvolge ed avvolge ognuno di noi. Cresciuto notevolmente dal punto di vista compositivo, torna con 13 brani impreziositi dagli splendidi arrangiamenti e dalle collaborazioni importanti che lasciano il segno con Enrico Gabrielli (Afterhours, Mariposa, Calibro 35), Gianluca De Rubertis (Il Genio), Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica), Fabio Dondelli e Andrea Abeni (Annie Hall), Elia Billoni (Dino Fumaretto). Tra sarcasmo e ironia, riflessioni e fantasticherie, amore elogiato e rifiutato, Dente costruisce incantevoli melodie destinante a stamparsi in testa sin dai primi ascolti ma che non nascondono il suo lato più giocosamente pessimista. Noi di LostHighways proviamo ancora una volta ad avvicinarci al suo piccolo mondo.

In questo nuovo disco gli arrangiamenti sono davvero molto interessanti, con brani sui quali spiccano intere sezioni di fiati, tastiere e synth elettronici. Cosa significa, in fase di composizione e arrangiamento, la collaborazione con musicisti del calibro di Enrico Gabrielli, Fabio Dondelli e Andrea Abeni?
La composizione avviene sempre in solitaria. Ai musicisti che hanno collaborato al disco ho dato una direzione di massima, ma fondamentalmente carta bianca perché la mia fiducia nei loro confronti era ed è altissima.

È evidente la contrapposizione tra canzoni più intimiste, cantate accompagnato solo da chitarra o piano e canzoni con arrangiamenti più corposi in cui ti accompagna una band al completo. C’è un motivo particolare che ti consente di affiancare le parole a una determinata musica? Credi che ogni cosa abbia un suo modo per essere detta?
In realtà ci sono tanti modi di dire le cose, quando arrangi un pezzo ne scegli uno che non è necessariamente il più azzeccato o il migliore. A volte è il risultato dei luoghi in cui lo fai, di chi partecipa alla cosa e anche dell’umore che hai e delle tue possibilità.

Vieni a vivere e Buon appetito sono la perfetta manifestazione dei due lati della medaglia “amore”. La prima evoca scene di vita quotidiana con una dolcezza e un candore che rende le parole quasi trascendenti la realtà; la seconda è emblematica nel dimostrare il perché l’amore non è bello. Come sono nate?
Vieni a vivere è nata come una canzone scherzosa che voleva prendere in giro le convivenze in generale e in particolare quelle fantasticate in gioventù e mai concretizzate. Poi però ho tagliato le strofe più sciocche ed è diventata una canzone d’amore sentita e autobiografica che elogia quello che stavo cercando di ridicolizzare. Buon appetito è un’illusione. La fine di una storia viene vissuta come una liberazione ma in realtà fa soffrire.

Il disco è uscito proprio il giorno di San Valentino. È una provocazione o conferisci un valore particolare a questa ricorrenza?
Non l’ho mai festeggiato Aan Valentino. È una provocazione, un gioco. Con un titolo simile ci stava bene uscire quel giorno.

La cosa che mi stupisce della tua musica è una sorta di legge del contrappasso per cui spesso, su delle melodie che sembrano dolcissime e spensierate, canti testi che invece spensierati non lo sono per nulla. Come mai questa scelta?
La musica, come l’autoironia, è un’ ancora di salvezza. Una frase pesante su una melodia pesante non fa colpo prima di tutto su me stesso.

“Mi piacciono le canzoni col finale triste”; “Ho capito finalmente che ogni scelta è una rinuncia”; “Faccio la cazzata più grande che ci sia: mi fido di te”; “Io ti aspetto qui sulla cima di una melodia, cantala anche tu, aggiungi piano piano l’armonia”. Queste sono le tue parole che maggiormente mi hanno colpito. Puoi commentarle?
Sono tutte frasi che ritengo vere nel significato, lapidarie, frasi che non si prestano a tante interpretazioni. Forse è questo che ti ha colpito.

dente_inter0022Tu dici che le tue canzoni non sono per nulla divertenti eppure la gente si diverte ai tuoi concerti forse anche per la tua vena cabarettistica e le tue battute divertenti. Che sensazioni provi quando sei su un palco?
Sul palco ci sto bene. Mi sento a mio agio e forse questa cosa si vede. Mi piace interrogare il pubblico e scambiare battute con la gente. Così si rilassano anche loro.

La tendenza cantautorale e l’attitudine ad essere cantore del quotidiano hanno spesso fatto proporre paragoni con i grandi cantautori italiani classici, De Andrè, Guccini, Battisti o De Gregori. Li trovi appropriati?
Diciamo che non mi fa schifo essere affiancato a questi pilastri della musica italiana. Mi sento onorato.

La presunta santità di Irene sembra un brano davvero intimo e dalle bellissime melodie e, nonostante le poche parole, dipinge un ritratto incantevole di questa donna. Credi che l’amore possa dare tutto quello che non si ha?
Dipende da qual è la tua percezione del tutto in quel momento, a volte ti basta un sorriso per riempirti di gioia e a volte non ti basta mai niente e nessuno.

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