Home / Editoriali / Live for the working class (Route 61 Music, 2011): intervista a Daniele Tenca

Live for the working class (Route 61 Music, 2011): intervista a Daniele Tenca

Uscirà il prossimo 5 ottobre per Route 61 Music, Live for the working class di Daniele Tenca. Registrato il 2 dicembre 2010 all’Amigdala Theatre di Trezzo sull’Adda (MI), questo live è una splendida occasione per incontrare la Blues for the working class band e scoprire cosa significa fare musica quando musica è spessore, coraggio, amore, energia ed onestà intellettuale. Sono passati quasi due anni dall’uscita di Blues for the working class, Daniele Tenca e la sua band sono stati impegnati in un tour denso di impegni, incontri e soddisfazioni: le canzoni di Daniele hanno incontrato chi è memoria delle storie di cui narrano, chi quelle storie non le vuole dimenticare, chi ha avuto voglia di saperne di più, chi non ne sapeva niente ma aveva altre storie identiche pronte per essere raccontate. Sono cresciute, sempre più nude, crude a modo loro, generose, capaci di indovinare il nodo fra la forma e la sostanza, di scioglierlo, di farne brividi, sudore, piacere. Il loro viaggio è stato un gran bel viaggio, condotte da mani sapienti e cuori grandi: ri-ascoltarle in questa veste live ve lo confermerà. Abbiamo scelto di presentare questo disco chiacchierandone con Daniele Tenca. Prima di lasciarvi alla lettura, lo ringraziamo di cuore: per la schiettezza e la generosità con cui ha scelto di condividersi, perché ci auguriamo non smetta di scrivere canzoni così. (Flowers at the gates è in streaming autorizzato; foto 1-3 di Cristina Arrigoni)

Per onestà di cronaca: la sera della registrazione ero presente. Questo mi permette di sentire sulla pelle il senso di questo live. Proviamo a condurre chi ci legge lì, dentro al perché di questo tuo Live for the working class.
Live for the Working Class è un’istantanea su quello che è stato il Blues for the Working Class Tour, circa 70 date in tutta Italia passando oltreoceano a New York e Memphis, tra Gennaio 2010 e Agosto 2011. Qualche cover mirata (Johnny 99, John Henry) e alcuni arrangiamenti diversi per alcuni brani del disco (49 People, Spare Parts), ma un solo scopo: far riflettere, possibilmente divertendo, la gente sulle tematiche della sicurezza sul lavoro e della precarietà del lavoro. Quindi è il naturale seguito del disco in studio. Non è forse usuale fare uscire un Live con un solo disco in studio (parlando di Blues) alle spalle ma, detto francamente, ce ne siamo sbattuti delle logiche di mercato, ammesso che si possa ancora parlare di mercato o di logiche. In queste 70 date abbiamo respirato emozioni troppo buone per non condividerle ancora una volta con chi c’era, e fare sentire a chi non c’era com’era un concerto della Blues for the Working Class Band. Già questo ci è sembrato un motivo sufficiente. Considerato poi che per l’attitudine che abbiamo quando suoniamo lo studio di registrazione o un palco fanno poca differenza (Blues for the Working Class è pressochè del tutto registrato in presa diretta), dirsi Perché no? è stato molto semplice.

È palpabile all’ascolto la densità di più attitudini che si incontrano e riescono a fondersi. La tua band: parlami di loro, di come la musica riesce a fare di  voi un corpo solo. Merito del blues?
Del Blues e della pancia che ci mettiamo. Di sicuro non siamo gente che si guarda le punte dei piedi quando suona, cosa che stranamente sembra essere molto di moda di questi tempi. Ma facendo Blues, siamo fuori moda per definizione. Quindi, l’energia la lasciamo andare, e questo è il motivo principale per cui, quando suoniamo, andiamo tutti dalla stessa parte. Poi, “loro”, cioè la Blues for the Working Class Band (Pablo Leoni, Luca Tonani, Cristiano Arcioni, Leo Ghiringhelli, Heggy Vezzano)  sono una macchina da guerra, suonano insieme da decenni, hanno una padronanza del genere e nello stesso tempo una versatilità che sono davvero rari. E tralascio il lato umano della cosa. Di certo, ci sono momenti in cui mi trasportano davvero da un’altra parte mentre suoniamo insieme, e di questo non finirò mai di ringraziarli. Averli con me vuol dire sedersi su una poltrona davvero comoda.

C’è un pezzo che ti ha particolarmente emozionato quando hai riascoltato la registrazione?
Flowers at the Gates. Ecco, quello è quando mi portano da un’altra parte. Tra l’altro, nella coda di quel pezzo, abbiamo chiuso prima il finale tutti insieme trascinati dall’assolo di Heggy, risolvendo comunque tutti perfettamente. Sono i miracoli della musica, e l’esempio di come suoniamo insieme. I più prosaici diranno sicuramente È stato solo culo. Magari hanno ragione loro…

Cantare il lavoro e i suoi morti, le rivendicazioni, la fatica, il delitto dello sfruttamento; cantare il coraggio ed il dolore mentre l’energia del blues spinge il pubblico a battere le mani, a ballare, a godere il piacere degli accordi. Hai mai sentito, dal palco, il conflitto fra le due cose?
Il conflitto è assolutamente cercato e voluto dalla genesi di tutto il progetto, e il fatto che accada dà l’idea di quanto forte possa essere ancora il Blues come veicolo di comunicazione e condivisione del disagio sociale anche, e forse soprattutto, di questi tempi. L’energia e la vitalità che ne escono anche cantando di morte, di precarietà, di eroismi quotidiani che non verranno mai riconosciuti come tali, è parte integrante del Blues, che così è nato. In questo, la responsabilità di portare avanti questa tradizione la sentiamo tantissimo, e credo ci aiuti a tenere un certo rigore, un certo senso del palco, e nello stesso tempo non stupirci se la gente balla mentre cantiamo ad esempio di vedove del lavoro.

Dall’uscita di Blues for the working class (Ultratempo, gennaio 2010) sono accadute molte cose. Penso in particolare a Menphis, all’ International Blues Challenge 2011 che vi ha visti unica band italiana sul palco.  Raccontaci quei giorni, il loro odore, cosa hanno significato per te e per le tue canzoni.
Ti guardi in giro, sei a Memphis in mezzo a un centinaio di band che arrivano da tutto il mondo, e respiri musica ogni secondo, e conosci artisti fantastici, e sperimenti l’organizzazione capillare che tiene tutto in piedi come se fosse la cosa più naturale e facile del mondo, credi di sognare e invece  sei all’International Blues Challenge, il più grande Festival Blues del mondo, a rappresentare l’Italia. A Memphis abbiamo suonato e cantato Blues for the Working Class come avevamo già fatto altre volte nel 2010 in Italia, con la non trascurabile differenza, che io avevo invece superficialmente sottovalutato, di farlo nella lingua del posto. E se in America canti in inglese, capiscono cosa gli stai raccontando molto meglio che in Italia. Questo ha spostato la scommessa verso l’alto in maniera impressionante. Perchè non si trattava solo di musica; il messaggio arrivava, forte e chiaro. Dall’Italia. Così, scopri che a Pittsburgh le imprese chiudono come qui, che anche in America la gente si commuove ascoltando la storia di una donna che perde il marito per un incidente sul lavoro e tira avanti giorno per giorno, che anche in America molto spesso, il lavoro porta solo magra consolazione. Ti chiedono se conosci Woody Guthrie, e se gli dici “Sì, certo!” si stupiscono e ti dicono che quello che hai appena suonato potrebbero essere le canzoni di protesta del terzo millennio. Roba che hai scritto tu dall’altra parte dell’oceano. Ecco, tutto questo dà un senso a quello che abbiamo scritto, registrato, suonato, in studio e dal vivo, ogni notte. Perchè va oltre la musica. E ti assicuro che salire su un palco poche ore dopo aver visitato il Museo Nazionale dei Diritti Civili, dove la segregazione razziale è raccontata in maniera cruda e senza sconti, ti dà tutta un’altra energia.

L’uscita di Live for the working class è mettere un punto sulla tua esperienza nel blues,  marcare una direzione. Quali progetti hai ora?
Se è un punto, è un altro punto di partenza. Credo che questa sia la mia dimensione a livello artistico, in un certo senso. Ho una band fantastica, che è sempre più coinvolta anche nel processo creativo dei brani, che sto già scrivendo, del prossimo disco di inediti e la voglia di tornare in studio è davvero tanta, da parte di tutti noi. Allargheremo un po’ la visuale dal mondo del lavoro alla situazione sociale in senso generale, e purtroppo di materiale su cui lavorare di questi tempi ce n’è fin troppo. Il mio lato sentimentale, tipo I love you, you don’t love me, I got the Blues, per banalizzare il concetto, in questo momento preferisco delegarlo alla voce di altri artisti. In questo senso sto lavorando sui brani di un artista Blues molto bravo, che si chiama Francesco Piu, il cui disco uscirà credo l’anno prossimo. Intanto, portiamo in giro ancora il Live a partire da ottobre, e se nel frattempo qualche brano inedito ci scappa dalle mani, lo testeremo sul palco.

Flowers at the gates – Preview

Ti potrebbe interessare...

Daniele Sepe @Villa Pignatelli - Foto Alessio Cuccaro - 01

Daniele Sepe, Conosci Victor Jara? live @ Villa Pignatelli, Napoli

Forse dopo tre mesi dall’evento bisognerebbe passare a un altro live, ma la nostra voglia …

Leave a Reply