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Helplessness Blues – Fleet Foxes

I giorni degli affanni son finiti; / lascia il vivace orgoglio del tuo corpo / sotto l’erba e il trifoglio […] conduci / tutta quella bellezza dolorosa / al profumato abbraccio della quercia.” (W. B. Yeats) Penso alla conquista di un luogo-abbraccio che sappia riposare la bellezza, che sappia renderle grazie senza necessariamente ignorarne la tragicità, quell’essere fugace che la contraddistingue. Penso ad un dove capace di essere fuori dal proprio tempo, abile al lusso del prima grazie al senno del vissuto; un nido che ammicchi alle aspettative, che non si lasci infangare dall’attesa, che indovini le proprie attitudini dal passato e le declini al futuro. Penso a Helplessness Blues: luogo-abbraccio, dove, nido. Dopo Fleet Foxes, omonimo esordio della band di Seattle, Robin Pecknold e il suo branco di volpi riescono, ancora una volta, a tre anni di distanza, ad arredare di intuizioni oniriche e sofisticate uno spazio altro, che poco ha a che vedere con tutto il rumore di cui siamo testimoni oculari ogni santo giorno. Benedetto sia questo neofolk, se così deve essere chiamato. Benedetto sia questo sub pop, se easy listening può significare, come significa in questo caso, rarefazione e non mancanza d’aria. Quarantasette minuti e novantuno secondi di melodie che porgono il fianco al piacere e l’altra guancia allo schiaffo della leggerezza, di sottile psichedelia, di arrangiamenti sofisticati, colti, eleganti della furia che la sperimentazione sempre cova in grembo; dodici pezzi in cui la voce è prima attrice e deus ex machina, regia e coro, portatrice sana di beatitudine e dolore. Penso allo stile e penso che questo disco, che The shrine/An argument, Helplessness Blues, Montezuma siano questione di stile.
I was raised up believing I was somehow unique / like a snowflake distinct among snowflakes / unique in each way you can see / and now after some thinking I’d say I’d rather be / a functioning cog in some great machinery / serving something beyond me (Helplessness Blues): così scrive Pecknold. Meglio non si potrebbe dire.

Credits

Label: Sub Pop/Bella Union – 2011

Line-up: Robin Pecknold (vocals, acoustic & electric guitar, piano, fiddle, mandolin, hammer dulcimer, harmonium, Moog, lever harp, Prophet) – Skyler Skjelset (acoustic & electric guitar, mandolin, water harp) – Casey Wescott (piano, pump organ, Marxophone, music box, Crumar bass, Moog, Tremoloa, Tibetan singing bowls, harmonium, harpsichord, Mellotron, etc.) – Josh Tillman (Vocals, drum kit, percussion) – Christian Wargo ( vocals, electric bass guitar) – Morgan Enderson (Upright bass, woodwinds); and with: Alina To (violin on 2,10), Bill Patton (pedal and lap steel on 12). Lirics by Robin Pecknold. Music arranged by Fleet Foxes. Additional harmony arrangements by Casey Wescott

Tracklist:

  1. Montezuma
  2. Bedouin Dress
  3. Sim Sala Bim
  4. Battery Kinzie
  5. The Plains/Bitter Dancer
  6. Helplessness Blues
  7. The Cascades
  8. Lorelai
  9. Someone You’d Admire
  10. The Shrine/An Argument
  11. Blue Spotted tail
  12. Grown Ocean

Links:Sito ufficiale

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