L’introduzione se la sono fatta da soli nel rispondere alla prima domanda… tagliamo corto con le presentazioni: dalla provincia di Modena, a voi gli Eleven Fingers!
É uscito prima dell’estate: passato qualche mese ora si può parlare di To remind you con la mente rilassata. Come è nato questo disco e cosa rappresenta per voi?
Daniele (Lele) Merighi: Partiamo da lontano. La formazione Eleven Fingers nasce da un progetto ideato nel 2007 da Stefano Bortoli (chitarra) e David Merighi (voce e piano), per poi prendere corpo un anno dopo con il mio arrivo alla batteria e di Andrea Grazian (seconda chitarra). Per tutta l’estate il progetto esce live con questa formazione fino al momento di registrare il primo EP, We lost everything just to find ourselves, che porta all’esigenza di un basso, Stefano Zerbini, e un’ altra voce, Anna Cavazza: da lì si comincia a lavorare in studio.
To remind you è uscito a maggio di questo anno, come nostro album d’esordio: è come una bella e buona torta di compleanno divisa in dieci fette. Ogni fetta, quindi ogni canzone, è dedicata ad amici e persone che sono state, sono e saranno per noi sempre molto importanti. All’inizio quello che ci premeva era mettere a fuoco la figura di Vittorio Arrigoni, questo giovane che è stato ucciso a Gaza, a 36 anni. Ogni giorno e per anni, ci ha raccontato la lotta per la sopravvivenza di 2 milioni di persone rinchiuse nell’assedio, bombardate e umiliate. Aveva scelto di stare all’inferno per aiutare a rompere il silenzio. Aiutava con parole e immagini chi volesse raccontare la verità. Oltre a Vittorio ci sono venute in mente molte altre possibili dediche, e così è stato: One day per Alda Merini, Again per Jeff Buckley, Behind our best per la nascita dei nostri figli, Dear Tom per tutte le popolazioni colpite dal terremoto. Like a dog without bone è un pezzo contro la pena di morte: al di là dell’atrocità insita in questo strumento, riteniamo che nessun uomo abbia il diritto di togliere la vita ad un altro uomo, né individualmente né come rappresentante della comunità, ed indipendentemente dalla gravità delle colpe commesse.
Durante l’ascolto colpisce la grande quantità di generi musicali che l’intero disco riesce a racchiudere: quali sono i vostri personali riferimenti musicali, e quali riconoscete come più influenti in To remind you?
Stefano Bortoli: Ecco la domanda più difficile, ma sono anni che ci prepariamo alla risposta. Siamo in sei e tutti appassionati di tanta buona musica da quando eravamo bambini. Certo che quando andiamo in giro per i concerti col furgone qualche cd di Motorpsyco, Iron and wine, Pink Floyd, L’Altra o The American Analog Set sbuca sempre fuori da sotto i sedili… ognuno di noi ha il suo retroterra personale, insieme abbiamo trovato coesione nel cercare di far canzoni che suonino bene.
Mi piace ascoltare il vostro disco ed immaginare il vostro live come quello di una band di pianobar: il termine non lo considero affatto dispregiativo. Brani molto vari, generi differenti, un caleidoscopio di immagini e colori che riescono davvero ad accontentare un po’ tutti, comunque mantenendo un vostro marchio ben definibile. In qualche modo vi ritrovate?
Lele: Allora siamo davvero come dei jukebox all’idrogeno?! Certo che ci troviamo alla grande in migliaia di modi; è possibile arrangiare una canzone o musicare un testo poi dal vivo stravolgere tutto. Suonare ci ha insegnato quante possibilità si hanno di insistere su uno stesso recipiente di suoni. Bisogna essere ostinati, ma è la propria capacità espressiva a doversi distinguere. Su White boots oppure Everything is far away ci siamo avvicinati a delle strutture pop-rock, ma non è detto che insisteremo su questa strada. Ci siamo un po’ persi.
Anche l’uso delle due voci protagoniste (una maschile ed una femminile) è un dettaglio non solito nella musica definita “indie”. E’ stata una scelta o un caso?
Stefano: Avevamo voglia di sperimentare la nostra musica assieme ad una voce femminile e Anna ha accettato molto volentieri.
Visto che, con o senza rotazione tv, mezzi come YouTube consentono buona visibilità, ormai non esiste album musicale senza (almeno) un videoclip: questo vale anche per il vostro disco?
Lele: Già con l’uscita del cd è stato pubblicato un videoclip della canzone che dà il titolo all’album, interamente girato e montato da Diego Gavioli (chitarra dei Fragil Vida). Il tema principale, chiaramente, è quello del ricordo. Le foto, in quanto oggetti della memoria, sono i principali attori. Queste riprendono vita nei nostri pensieri, si animano, coabitano e interagiscono con le nostre percezioni presenti. Allo stesso modo si comportano i personaggi che affollano i ricordi del nostro protagonista. Si è deciso di usare prevalentemente la tecnica definita “motion graphics” che, attraverso un’elaborazione digitale di immagini statiche, permette di animarle.
In questi giorni a Bologna si realizza la nuova edizione di 45girifilm festival e la band partecipa con un proprio brano. I Fragil Vida (progetto musical-teatrale di cui David e Daniele Merighi fanno parte fin dalla sua origine) hanno partecipato alla precedente edizione: potete raccontarci l’esperienza ed i risultati ottenuti?
Lele: L’esperienza con i Fragil Vida è stata molto positiva in quanto abbiamo conosciuto e collaborato con ragazzi molto appassionati che in parte ci conoscevano solo per le canzoni e altri magari ci avevano visto solo ai concerti.
45girifilm è una delle tante iniziative che si avvale della collaborazione con il MEI, ad ora unica rilevante entità “collettiva” che ha come obiettivo la promozione e lo sviluppo di una scena musicale indipendente. Avete partecipato al Supersound di Faenza: cosa ne pensate?
Stefano: Ciò che riesce a fare il MEI è da lodare, pur con le giuste critiche a chi comunque si sbatte per far emergere veramente le band emergenti e le buone cose che ci sono in giro. L’ iniziativa di quest’anno del torneo di calcetto delle etichette indipendenti è stata magnifica. Una giornata intera a Faenza vissuta insieme, di giorno a sfidarsi in campo e di sera a suonare sul palco: “Tutto molto bello”!
To remind you è il primo album della band, come pensate si svilupperà il progetto nei suoni e nelle attività?
Lele: Adesso vogliamo continuare a lavorare in sala prove, all’interno del nostro caro Circolo Musicale LATO B di Canaletto (Mo). Registrare un nuovo disco, magari anche su vinile, anche se tutti abbiamo tanti impegni a cui star dietro. Proveremo a fare tanti concerti e proveremo anche a stare a casa con le nostre famiglie. Quattro persone su sei nel gruppo hanno figli, ma quando ci troviamo in sala prove siamo come dei ragazzini che prendono in mano un qualsiasi strumento per divertirsi! Rimane il più bel passatempo che esista oltre al fatto di essere una vera e propria fortuna quella di perdersi con amici a creare canzoni, passare ore e giornate a fare questo. Noi ci riteniamo molto fortunati di ciò e mai abbandoneremo questa fortuna, le emozioni che si condividono prima, durante e dopo il palco sono momenti difficili da spiegare.
L’uso della lingua inglese e non di quella italiana spesso è segno di una precisa scelta: mettere al centro la musica. Cosa ha di speciale la vostra musica, per voi che la suonate?
Stefano: La scelta di cantare in inglese deriva principalmente dalla musicalità della lingua stessa, oltre alla voglia di creare un progetto non in italiano. Sì, abbiamo messo al centro la musica senza alcun dubbio. Poi le parole. I testi parlano di separazioni e di ritrovarsi, di crolli e ricostruzioni, di terremoti e mancanze, di parole e silenzi. Una voce femminile e una maschile dialogano tra dolcezza suadente ed esplosioni di rabbia.
Stupore e disincanto convivono osservando e analizzando un mondo che quasi sempre suona male, cui spesso sfugge il concetto di giustizia.
Suonare la nostra musica è una cosa meravigliosa, e riuscire ad emozionare chi ci ascolta è davvero qualcosa di speciale… che ci riempie di brividi.