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Break it Yourself – Andrew Bird

In un momento storico in cui, di fronte alle molteplici possibilità offerte dalla tecnologia, il ritorno alle origini sembra esser mosso più da una motivazione ideologica che realmente artistica, frutto più di una scelta che di una reale esigenza, diventa difficile riconoscere la qualità dei lavori degli artisti che si incamminano tra questi sentieri. E se è vero che anche Andrew Bird, cantautore, violinista e polistrumentista americano, ha scelto una specie di ritorno alle origini per il suo nuovo e sesto lavoro, Break it Yourself, è altrettanto vero che qui la qualità sembra proprio esserci eccome. Il suo ritorno parte proprio da un vecchio granaio nell’Illinois, a poca distanza da un Mississipi che della verità di quel country e blues è stato traghettatore, un registratore a otto piste e una formazione ridotta a soli quattro elementi per potersi semplicemente guardare in volto mentre si suona. Ed è proprio questa sorta di ritorno alle origini a costituire grande prova di maturità per il nostro Bird, poiché qui, espunti tutti gli orpelli spesso superflui, si tratta di tornare al nucleo più profondo della canzone, semplice, diretta, emozionante in sé; si tratta di svelare le qualità più intime di una scrittura che il non più tanto giovane cantautore mostra di possedere appieno. I suoi brani sono belli e per questo funzionano. E il resto viene da sé. Certe sonorità rustiche e rurali dell’America del country sembrano nascere proprio dal suo modo di comporre, che spesso prende iniziativa proprio dal violino pizzicato o arpeggiato; gli altri strumenti, che siano la batteria tenue, le chitarre tremolanti e scivolose e lo stesso violino o il basso, non possono fare altro che andare ad abbellire una struttura che funzionerebbe anche già da sé e a svelare tutte le influenze della tradizione: country, bluegrass, tex-mex, folk, jazz, pop, rock e world music. A conferma della qualità della composizione il fatto che, anche quando ci si “perde” tra parti strumentali eterogenee che sembrano totalmente estranee al brano nel quale si inseriscono, ci si rende conto che altro non sono se non il risultato di un lavoro che è stato palesemente costruito insieme agli altri, suonando e sperimentando e, per questo, non intaccano minimamente la forma canzone, che è sempre quella che rimane impressa. È un po’ quel che avviene nel mezzo di Desperation Breeds o Give it Away o nei brevi intermezzi strumentali posti tra un brano e l’altro. Spicca Lusitania per il duetto riuscitissimo con Annie Clark, in arte St. Vincent, sul dondolante motivetto fischiettato dallo stesso Bird.
In definitiva Break it Yourself è un ottimo lavoro, il cui ritorno alle origini non può essere considerato uno stallo nel percorso artistico di un cantautore che, invece, mai come stavolta, ci dimostra di saper scrivere ottime canzoni. E’ un disco dal quale bisogna lasciarsi conquistare per tutta la durata dei suoi quattordici brani, una meravigliosa rarità di questi tempi.

Credits

Label: Mom+Pop/Bella Union – 2012

Line-up: Andrew Bird (voice, violin, guitar, whistling, glockenspiel) – Martin Dosh (drums) – Jeremy Ylvisaker (guitar & keyboards) – Mike Lewis (bass). ).

Tracklist:

  1. Desperation Breeds…
  2. Polynation
  3. Danse Carribe
  4. Give it away
  5. Eyeoneye
  6. Lazy Projector
  7. Near Death Experience
  8. Things Behind the Barn
  9. Lusitania
  10. Orpheo Looks Back
  11. Sifters
  12. Fatal Shore
  13. Hole in the Ocean Floor
  14. Belles

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