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E se fosse “solo” un gioco? intervista a Franco Naddei (FrancoBeat – Santo Barbaro)

Da tanto tempo volevo fare questa intervista per parlare con Franco Naddei del suo Mondo Fantastico. Ora l’occasione è doppiamente ghiotta visto che a breve uscirà l’album Navi del progetto che Franco divide con Pieralberto Valli: Santo Barbaro. Seguiremo l’ordine cronologico, ma inevitabilmente ci perderemo in questa ricca chiacchierata che allunga lo sguardo oltre il campo della musica. (Terzo paesaggio e Limericks sono in streaming autorizzato)

Mondo Fantastico è più che un disco ed anche più di un libro; tu e Vanessa Sorrentino siete gli ideatori… ma come è nata questa inusuale idea di ripercorrere e reinventare l’opera di Gianni Rodari?
Rodari è sempre stato rinchiuso nel ruolo di scrittore per l’infanzia, ma in realtà è stato un solido intellettuale, uno dei grandi scrittori del nostro ‘900. Io l’ho riscoperto per caso nel momento in cui mi è ricapitato in mano un suo libro di filastrocche. Il fatto che Rodari scrivesse con la linearità di un bambino, ma con la struttura del pensiero di un adulto mi ha colpito dentro. Spesso si cerca la semplicità senza trovarla limpida come la si vorrebbe, e a volte questa semplicità ci abbandona da adulti, come ci abbandona la dimensione del gioco. Cantare le parole di Rodari mi ha messo voglia di giocare con la mia materia che è il suono. All’inizio pensavo bastasse fare un disco di canzoni per cercare di scoprire quando e come, crescendo, si rompa quel meccanismo di leggerezza e semplicità che si ha da bambini. L’idea del libro è nata proprio per l’esigenza di spazio, e per porre la stessa domanda a chi scrive storie per bambini, a chi le illustra. Il fatto che il tutto passi attraverso un oggetto, il libro, e se vuoi anche il CD fisico, che oggi sono quasi oggetti retrò, è una specie di provocazione. L’odore della carta stampata è già motivo scatenante di immagini, ricordi, toccare le pagine e ascoltare la musica fisicamente sono un’esperienza che non passerà col tempo.
L’ispirazione per tutto è stato il libro Grammatica della fantasia, che Rodari scrisse come sorta di prontuario del linguaggio della fantasia, come la chiamava lui prendendo spunto da Novalis.
Vanessa, che conosco da tempo, scrive e lavora coi bambini. Ha scritto lei stessa delle belle storie per il libro e si è presa la briga di trovare gli altri folli che avessero voluto cimentarsi in questo gioco creativo collettivo.

Mi incuriosisce tantissimo un lato del tuo essere artista: non sei propriamente un cantautore, ma un musicista che riconosce un’enorme importanza nella parola. Come vive in te questo binomio, senza alcuna conflittualità?
Io non lo so se sono un artista, faccio solo quello che mi viene, con tutti i mezzi che posso. Poi non mi sono mai sentito un cantautore, tanto più che la mia etichetta di genere è “Pop da biblioteca” proprio perché ho scoperto che mi piace mettermi in bocca parole altrui, per sentirle mie cantandole o reinterpretandole. Ogni mio lavoro è una specie di concept album, ma il soggetto è il libro o l’autore preso in esame. Mi piace cercare libri e documentarmi, immergermi nelle parole, immaginarne il suono dentro a una canzone. Che poi ci possa essere un bel singolone pop con un testo di Flaiano o Marchesi mi diverte.

Altra caratteristica splendida di Mondo Fantastico è il “lato ludico”, sia quello più necessario rivolto ai bambini, sia quello del tuo approccio musicale e creativo. Puoi raccontarci il processo che ha portato alla realizzazione di quei brani?
Grazie per lo “splendida”! Il lato ludico l’ho provato sulla mia pelle, e mi sono lasciato letteralmente guidare dai testi, quelli sì, splendidi di Rodari. Il gioco si è fatto subito pericoloso, perché le filastrocche suonano sempre un po’ stupidine ai distratti, e non volevo che il suono le banalizzasse. Prendi Filastrocca impertinente, letta dall’occhio adulto ci ho sentito un mantra, che conosciamo ma che non ascoltiamo, e lo sappiamo. “Chi va storto non va dritto, e chi non parte in verità in nessun posto arriverà”, micidiale.
Alcuni brani sono nati in session di improvvisazione. Il suono dei clarinetti e del clarinetto basso di Achille Succi mi rendevano quel senso fiabesco circondato da suoni di tutti i tipi, vecchi e nuovi. Volevo fare un disco dove potevo divertirmi, spostandomi dal centro, ma godendomi l’orchestra. Ho passato belle ore coi miei amici a suonare e inventare, ho passato altre ore a girare pomelli e a impastare tutti i suoni. Mi sono divertito, ho giocato, ho fatto quello che Rodari ci invita a fare il più possibile, e spero di aver fatto incontrare mondi che prima non si conoscevano. In fondo qualcuno mi ha messo catalogato nella “musica d’avanguardia”, quindi vuol dire che ci son parecchi bambini che hanno ascoltato il mio disco che ascoltano l’avanguardia, non è male no?

Nel volume che compone Mondo Fantastico, una tua nota sottolinea l’importanza di tuo figlio come “protagonista nascosto”. Cosa intendi?
Mio figlio Romeo è nato nel 2007, io ho cominciato tutto prima di sapere che sarei diventato papà, per cui l’ho fatto pensandolo sempre, tanto che l’ha consumato sin da piccolo (lui lo ha avuto in anteprima!), e ora il suo racconto preferito è Gastone spazzino dei cieli.

Parliamo ora di Navi di Santo Barbaro. È il secondo album nel quale collabori con Pieralberto Valli e qui ti occupi solo della musica. Spiegaci il tuo lavoro in questo disco.
Sapevo che la parte del testo era sicuramente in ottime mani, quindi io mi sono buttato sugli arrangiamenti, per poi svilupparli a 4 mani; ci siamo contaminati e stimolati. A differenza di Lorna del 2010 che era praticamente tutto suonato dal vivo, in questo disco l’elettronica ha trovato posto in molte forme. Io ho anche una certa età, e volevo dare una mia visione del mondo elettronico che così freddo non è, se usato con calore. Ne è seguito un lungo viaggio, brani che rimbalzavano da un mondo all’altro, smontati e rimontati come giocattoli componibili, fino a trovare una forma compiuta, sia dal lato testuale che da quello musicale e di panorama sonoro. Un lavoro durato quasi un anno, dove il mio ruolo è stato di fratello maggiore musicalmente invadente, un po’ spacca palle ma rispettoso.

Se prima si parlava di una componente ludica, ora è più propriamente “sperimentazione”. Che differenza c’è? Qual è la più difficile da realizzare?
Nessuna differenza per me. È come avere giochi diversi fra le mani, sperimentare è divertente, anche se a volte escono suoni non proprio rassicuranti! Si tratta di onestà di linguaggio: non ho approcci diversi a prescindere, ogni progetto ti chiama il suono che vuole. Con Santo Barbaro ho sicuramente rispolverato qualche vecchio arnese elettronico, che poi finirà nel prossimo disco di Franco Beat o chi per lui. Se non facessi quello che faccio, e con gente che stimo, non mi evolverei mai. Ogni volta è un ottimo pretesto per imparare e mettersi in discussione.

Navi è un disco realizzato esclusivamente a quattro mani o ci sono collaborazioni? Se sì, quali? Se no, perchè questa scelta minimale?
Siamo stati un duo per un bel po’ di concerti, avevamo capito quale fosse il nostro suono e volevamo andare avanti da lì. Compaiono il violino di Igor Buscherini e il violoncello di Tatyana Mukhambet, il contrabbasso di Roberto Villa in un paio di brani, il resto, il bello e il brutto, è tutta farina del nostro sacco. La vera collaborazione è quella con Toni Demuro, illustratore sardo davvero bravo che ci ha fatto le immagini ad hoc per il disco.

Ci sono differenze tra il disco e la realizzazione dal vivo? Immagino che sia un progetto, nella sua essenzialità, molto difficile da portare in una dimensione live.
Sul live ci stiamo lavorando ora. Finora i nostri concerti sono stati molto performativi, e i pezzi remixati continuamente a seconda dell’umore, del luogo in cui eravamo, dell’aria che respiravamo. Questo disco è complesso, nella sua apparente semplicità, ma ci stiamo facendo aiutare da un paio di musicisti per avere un set più d’impatto, e suonato, per godersela un po’ sul palco in mezzo ai mille fili e aggeggi vari.

Due parole per CosaBeat, unico produttore di Navi: cos’è CosaBeat e perchè la scelta dell’autoproduzione?
Innanzitutto è il mio studio di registrazione, il mio “lavoro vero”, da ormai 15 anni. Cosabeat non è una vera e propria etichetta, ma io credo ancora che per fare un buon disco ci vuole pure un buon studio, e che comunque è solo una parte dell’investimento che si fa nel produrlo. Nel nostro caso stiamo investendo su quei bravi ragazzi di Sfera Cubica di Bologna, che curano la comunicazione stampa e il booking.
Di questi tempi il ruolo dell’etichetta è a me ignoto. Pare non esista la mezza misura, e se parliamo degli indipendenti non apriamo di tanto lo spettro. Purtroppo nessuno ti può garantire nulla, e allora l’autoproduzione ci porta a misurarci con noi stessi, che non abbiamo bisogno di tanto se non della volontà per fare un disco. Poi passeremo le notti a parlare di quanti pochi soldi abbiamo fatto col disco “tale”, ma sicuramente avremo molti aneddoti di una porzione importante della nostra vita da raccontare. Spero sempre che questa onestà intellettuale riesca a fare sopravvivere me e i progetti in cui credo nel modo che meritano, spero di non sbagliarmi o di esser riscoperto solo dopo che sarà morto!

Dove portano le Navi? La tua, di preciso, verso cosa pensi si stia muovendo?
Dipende da quale scegli di prendere, e non è mica detto che devi stare sempre sulla stessa, no?

Santo Barbaro / FrancoBeat – Preview

Terzo paesaggio – Video

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