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Umberto “Maria” Giardini presenta la sua Imperatrice al Piccadilly di Chiaravalle (AN) 09/11/12

È una sera umida e fredda quella del 9 Novembre ed il social club Piccadilly di Chiaravalle si appresta ad ospitare Umberto “Maria” Giardini. Il cantautore marchigiano, che oggi vive a Bologna, torna nella sua terra natale per presentare il suo disco pubblicato il 5 ottobre scorso: La Dieta dell’Imperatrice. Il locale è piccolo e favorisce il crearsi di un’atmosfera intima e raccolta. Si attende quanto basta per gustare l’attesa. E poi Umberto, concentrato ed avvolto nella sua eleganza, imbraccia la chitarra facendosi spazio tra la gente che si è stretta attorno allo spazio del live. L’imperatrice prende forma dalle prime pennellate di chitarra ipnotiche e segue, per pochi minuti, la sua danza di corde frenate in un silenzio che ha dell’elettrico in sé. Dopo il primo, strumentale, come secondo brano il cantautore sceglie Fortuna, ora tolto dall’ultimo disco. Calda e lenta nelle prime note, si snoda in un crescendo di voce che si estende come un’aurora tra i boschi solitari e popolati unicamente da una pioggia di strumenti.  La cadenza dolente della chitarra invade la stanza, ormai gremita dai fans in trepidante ammirazione. L’inizio “Inventa un tempo in cui/ci siamo io e te” predispone l’animo alla contemplazione di un universo Altro musicato in Anni luce, con tutta la struggente nostalgia di cui ci si può nutrire. È la volta di Discographia. E la sensazione di essere ancora sospesi in un bolla di bellezza straniante non cessa. Le chitarre dialogano con grazia, si aspettano: Marco “Marzo” Maracas elettrizza le sonorità ai pedali, mentre il Prof.(sottolinea Umberto) Giovanni Parmeggiani, al piano Rhodes e all’organo, dona il tocco psichedelico. E tutto ciò esplode nella vigorosa Il desiderio preso per la coda: turbini di estasi panica giocati dalle chitarre prendono ampio respiro e spinta dai tamburi e piatti di Cristian Franchi. La vena progressive prende piede. Non esistono più pareti nella stanza, come cantava qualcuno, ma siamo proiettati in ampi spazi di lussureggiante natura  dove il legno e l’acqua dominano incontrastati e sono linfa vitale per esprimere le più umane e concrete storie di comuni mortali. I panorami ed i profumi del Nord tanto amato da Umberto (viaggi in Scozia e in Svezia sono chiavi di ispirazione) si materializzano. L’approvazione del pubblico si scioglie in un applauso sincero. Ritorno alle atmosfere pacate e tuffo nel passato Moltheni, ed Umberto è sereno di ricordare quel passato, con In porpora. Si ridiscendono monti e si segue il corso di fiumi nel flusso di una ballata come Saga: “dimmi che avrai/ oltre mille navi e valchirie/ perchè è quello che mi spetta”. Un ricongiungimento con la parte mancante. Umberto annuncia il primo singolo cha ha segnato il nuovo corso: Quasi Nirvana. Il pubblico risponde cantando ogni singola parola del brano capace di ammaliare con suggestioni sonore simili a sprazzi di sereno improvviso in un cielo plumbeo. Raccoglimento per L’alba, la notte e l’inferno, anche questo brano della precedente esperienza Moltheni. Melodia tesa e testo messaggero dell’inevitabile in passionevoli e conturbanti incontri. Attimi di pausa ed il cantautore prega di far silenzio. Ampio giro di chitarra e piano serico introducono Genesi e mail. La voce di Umberto ha acquistato maggior limpidezza, giunge morbida e rapita come “giungimi in ritardo”, si culla in un canto-volo tra la bianca tundra che riveste il pavimento del Piccadilly, ora. In questa palingenesi elettrica d’altri tempi Umberto rimane sempre concentrato, nella compiutezza gentile di chi è consapevole dell’armonia che crea.  Nel trionfo dei tuoi occhi si assapora la devozione per il corpo, amore di chi si concede in forme in dissoluzione. C’è un inedito poi, Oh Gioventù, ed è davvero un brano sconosciuto che viene accolto dal pubblico attento, silenzioso, una manciata di sorrisi stampati in volto. Umberto ringrazia tutti, è felice di ricongiungersi con la  sua terra. Ed ecco, allora, l’ultimo brano: Il sentimento del tempo. Uno scroscio in perfetta evoluzione prog dove piano e chitarra elettrica compiono virate ad alta velocità. “Tutti i miei limiti” canta l’artista in confessioni ed illuminazioni che si sono pienamente manifestate in questo concerto. L’energia e la folgorazione sonora raccolta dalla poesia in empatia con un mondo distante e di bellezza rara: ossia il ritorno di un intenso Umberto “Maria” Giardini in tutto il suo sincero amore per la musica.

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