The big dream – David Lynch

Vladimiro Vacca Album, Recensioni Lascia un commento

Il genio non va limitato. Il genio deve espandere i propri domini artistici. Quante volte abbiamo sentito utilizzare l’aggettivo “lynchiano” per descrivere il sound di un disco? L’approdo ufficiale del David Lynch solista al mondo della musica avvenuto nel 2011 con l’album Crazy Clown Time era inevitabile perchè le atmosfere dei suoi film sono sempre state caratterizzate da indimenticabili colonne sonore, delle quali alcune parti sono state sempre composte da lui stesso. Inoltre la necessità di lasciare la macchina da presa era stata già espressa nell’arte della pittura e soprattutto per il suo sentirsi fortemente indipendente dai trend cinematografici della Hollywood industriale, quella produttrice di film in chiave blockbuster. Mentre il suo primo disco era veramente figlio delle reminescenze collaborative con Angelo Badalamenti, questo The big dream esprime un suono più personale. Siamo davanti ad un blues mantrico, ad un trip-hop ipnotico-onirico. Massimi esempi sono Wishing well, Say it, We rolled together e The big dream. C’è la magica cover di The ballad of hollis brown che richiama i nomi di Nina Simone e Bob Dylan, una perla piazzata opportunamente al centro dell’album. David Lynch è più cosciente dei suoi mezzi e racconta mondi della mente con la chitarra elettrica e con l’elettronica nella stessa maniera con cui è abile con la sintassi cinematografica, sembra quasi che gli effetti visionari della sua arte primaria ovvero il cinema diventino effetti sonori ad hoc. Ricordandoci la colonna sonora di Twin Peaks, c’è il capolavoro I’m waiting here con la partecipazione della svedese Lykke Li. Possiamo dire senza dubbio che al secondo disco David Lynch convince e regala un’altra pagina del suo immenso talento artistico.