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Il pop nobile dei Virginiana Miller: intervista a Simone Lenzi

In questa bella giornata (dove, per la verità, la pioggia sembra ancora non essere caduta tutta) abbiamo l’occasione di porgere alcune domande a Simone Lenzi, da sempre cantante dei Virginiana Miller e scrittore, mentre da tempi più recenti anche sceneggiatore per il cinema. Simone risponde alle nostre curiosità, alla nostra voglia di conoscere qualcosa di più sul quel regno che deve venire, cantato e suonato in uno degli album più belli di questo 2013 e probabilmente tra i migliori dei sei composti dalla stessa band livornese.
Queste sono le parole scritte; per sentire le vibrazioni della musica dal vivo l’appuntamento che seguiremo sarà quello di Giovedì 10 Ottobre al Salotto Muzika di Bologna, dove si chiuderà un cerchio, e chissà quanti altri se ne apriranno.

Tre anni e mezzo di distanza: quanti, tra i vari impegni, sono stati veramente occupati dalla stesura e lavorazione di Venga il regno?
Direi un paio. Il disco era pronto da un po’, ma abbiamo tardato perché aspettavamo di capire se avrebbero voluto
Anni di Piombo a Sanremo. Ma non l’hanno voluta.

Per i Virginiana Miller questa è indubbiamente una svolta o almeno così è percepita dall’ascoltatore. Musica e testi sono sempre affascinanti, ricchi, ma comunque molto più accessibili e diretti rispetto ai precedenti lavori. L’esperienza al fianco di Paolo Virzì per Tutti i santi giorni ha influito sulla vostra espressività?
Ogni incontro influisce su quel che fai, in assoluto, e quello con Virzì non è certo di quelli che si dimenticano. Ma non credo che l’esperienza del film c’entri direttamente su come sono venute fuori queste canzoni, che sono nate con una certa spontaneità, quasi da sole, in un tempo relativamente breve.

I temi trattati, però, non sono per niente leggeri. Quasi ogni brano ha un fondo aggressivo, molto critico verso la società, la politica, il mondo più intimo dei rapporti personali. Come si è sviluppato questo equilibrio?
Credo che ci sia una certa cupezza di maniera, magari propria di altri gruppi, che serve soprattutto a intercettare un pubblico di riferimento che è già lì e aspetta l’artista maledetto di turno. Noi cerchiamo di esprimere la complessità emotiva del reale, che è fatta di cose come
Una bella giornata e di cose come Lettera di San Paolo agli operai. Per questo siamo sempre stati un oggetto di marketing difficile…

Tutto il disco, quindi brani, testi, suoni, produzione, appare ai miei occhi come un “pugno battuto sul tavolo”. Al fianco del messaggio che si vuole trasmettere, c’è in parallelo la vostra storia musicale, lunga ed importante. C’è forse la voglia di scrollarsi certe etichette, di abbattere alcune gabbie che il sistema musicale attuale crea intorno ad alcune band come voi?
Magari anche sì. Ma non credo sia il “sistema musicale” che crea queste gabbia, è il pubblico stesso che ama rinchiudercisi in queste gabbie. Le etichette servono per vendere, inutile illudersi del contrario. Chi cerca una strada più autonoma deve essere disposto a pagare il prezzo di tempi più lunghi. Però hai ragione quando dici che si tratta di un pugno sul tavolo: a un certo punto bisogna smetterla di chiedere scusa per essere come si è. Siamo così, se vi piace siete benvenuti, se non vi piace beh pazienza. Il mondo è bello perché è vario.

Lo sguardo sull’attualità: rabbia, scoramento, riscossa. Quale di queste componenti è più presente in Venga il regno?
Direi riscossa. Per quanto è possibile quando sai perfettamente che non c’è alcun sole dell’avvenire all’orizzonte. Però questo non deve esimerci dal dire i NO necessari, fosse solo perché poi si vive più leggeri.

Come si può eliminare la polvere su polvere di polvere di secoli?
Per togliere la polvere bisognerebbe saperla riconoscere. La totale e diffusa ignoranza di ciò che è stato si traduce in questo paese nella coazione a ripetere dell’uguale. Ogni volta gli stessi errori.

Se è vero “sei ciò che mangi”, io penso che sia vero anche “sei ciò che ascolti”. Secondo te è importante la musica nell’identità di un popolo? L’Italia, da questo punto di vista, come è messa?
Penso che la musica dovrebbe trovare più posto nelle scuole, ad esempio. Possibile che abbiamo una tradizione così importante e a nessuno gliene frega niente?

La musica di Venga il regno: piena, rotonda, ricca. Cosa è cambiato nella composizione? Obiettivo prefissato o semplice e naturale evoluzione?
Forse abbiamo semplicemente preso fiducia nei nostri mezzi espressivi. Non ci siamo nascosti dietro complicazioni ed ellissi, e abbiamo cercato di andare dritto alla meta, che però per noi è rimasta sempre la stessa: fare qualcosa che non escludesse nessuno a priori, che non fosse rivolta a un qualche circolo, o una nicchia. Noi siamo pop. Pop è una parola nobile, chi pensa il contrario è perché si attarda nell’adolescenza.

La felicità è una cosa degli altri”, cinismo o una considerazione di felicità diversa dal comune pensiero?
Forse solo l’accettazione di un’attitudine. C’è chi è più portato all’azione e chi più alla contemplazione. A me piace osservare soprattutto.

Nel recinto dei cani: dal testo di questo brano prende nome l’intero disco. “Venga il regno e sia dei Cani”. Puoi offrirci una chiave di lettura?
Si intitola così anche un capitolo di un libro che avevo scritto qualche tempo fa per Laterza. La canzone parla di come si vive quando non si ha un lavoro, non si ha uno scopo e il proprio orizzonte finisce con le sbarre del recinto nel quale portiamo a pisciare il cane, appunto. Ne ho conosciute tante di persone che vivono così. Sono stato uno di loro per un paio di anni, per cui, come dire, so di cosa canto.

Da sempre avete curato con attenzione la componente visuale del vostro lavoro. È possibile avere qualche anticipazione sul prossimo video di Venga il Regno?
È appena uscito il video di
Anni di Piombo, una canzone cui teniamo moltissimo, forse una delle migliori che abbiamo scritto. Il tema era delicato, si parla anche di Moro e di quegli anni terribili. Con Matteo Scotton, il regista, abbiamo cercato di raccontarli oltre la storia. Non è un video “in costume”, infatti. E’ quanto di metastorico resta di quella esperienza orrenda in cui il nostro paese si è giocato tante possibilità che, si fossero realizzate, avrebbero reso il presente un po’ meno disperante.

Anni di piombo – video

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