Sabato 29 Novembre gli Einsturzende Neubauten approdano all’Auditorium RAI di Torino. Solo tre date italiane sono previste per rappresentare la loro ultima opera Lament: una a Bologna, poi una nella capitale piemontese e l’ultima a Roma.
La mia attesa è tra le poltrone dell’Auditorium di Torino, ala destra della sala, sulle balconate. Il pubblico, silenzioso e composto in attesa con religiosa pazienza, riempie la sala verso le 21.10. Lo spettacolo non tarda ad iniziare. Entrano un quartetto d’archi seguiti dai cinque componenti del gruppo berlinese.
Una lastra di metallo su cui viene fatto stridere un pezzo di acciaio taglia l’atmosfera carica di aspettative per l’esibizione. Anche delle catene prendono parte al clangore, mentre, a fianco, Blixa Bargeld mostra delle tavole su cui sono scritte le prime parole che introducono il tema della guerra attorno al quale è stato composto Lament: frasi lapidarie, una sorta di monito o presa di coscienza sul fatto che la guerra non scoppi all’improvviso ma che prenda forma lentamente, si infiltri nelle società annebbiate da bugie. Kriegsmaschinerie cattura e fagocita il pubblico nel dramma musicato delle ‘macchine da guerra’, appunto.
Dagli anni Ottanta la sperimentazione del suono del gruppo berlinese torna, nel 2014, a lacerare le assonanze, a costruire e decostruire l’ascolto classico poiché laddove ci si aspetta la melodia si trova una forma piegata del ricordo, del lamento, dell’immobilità.
Dopo l’ingresso in scena tra sferragliamenti e richiami di chitarre distortissime, così vicine a rappresentare l’infiltrazione di manipolazioni e violenze che costituiscono il nodo della guerra, Bargeld e Hacke aggiungono la voce a tutto ciò: un urlo, all’unisono. E poi parte la marziale Hymnen che vede l’alternarsi di inni nazionali diversi, da quello tedesco, quello inglese a quello canadese. Qualche istante dopo parte un curioso duetto articolato sotto gli effetti di un vocoder in cui Hacke interpreta Kaiser Wilhelm e Bargeld lo Zar russo Nicholas II nel loro dialogo telegrafico. Una danza febbrile e infinita verso gli abissi delle intenzioni. Qualche minuto per il settaggio del palco e poi inizia una danza tribale guidata e scandita da percussioni ovattate, quasi lasciate sullo sfondo, mentre la voce di Bargeld annuncia l’ingresso di ciascuna nazione che prende parte alla Grande Guerra. Si chiama Der 1. Weltkrieg (Percussion Version) e lascia la sala completamente ipnotizzata nel silenzio. Il racconto continua immerso nel buio, dove lo spettro del suono può espandersi, lacerarsi in dissonanze e ricomporsi in rotondità brevissime. Si crea un’atmosfera sospesa tra il tempo che incede traballando su delle stampelle che in realtà sono uno strumento musicale suonato da Hacke come strumento a corde; così come avanza tremando al ritmo di ticchettii dei tacchi di scarpa di Jochen Arbeit mentre dei tubi in metallo appena sfiorati ipotizzano la risonanza come l’eco di destini ineluttabili. On Patrol in no man’s land riarrangia i suoni di un combattimento ed è una rivisitazione inquietante del brano degli Harlem Hellfighters, un gruppo afroamericano dell’esercito. Prende vita, poi, un polifonia alienante e plumbea che va avanti per un po’ fino a sfumare sul tintinnio di catene. E’ la personale Battaglia di Verdun vista dagli Einsturzende composta da tre sezioni: Lament, Abwärtsspirale e Pater Pecavi. La prima, appunto, è la più sepolcrale e oscura. La seconda è dissestata da chitarre che rincorrono la distorsione, si è dentro la guerra, nelle più sanguinose vicende. Nella parte terza c’è un disciogliersi in melodia quasi aspirante a qualcosa di solenne con in sottofondo delle voci dei prigionieri di guerra, registrate durante la loro reclusione in Germania. Queste recitano la parabola biblica del Figliol prodigo, ciascuna nella sua lingua. How did i die incede con cadenza regolare recitata da Blixa: il brano è scritto dal poeta e giornalista tedesco Kurt Tucholsky perseguitato dal regime nazista per la sua origine ebraica e le sue posizioni pacifiste. Basso e archi enfatizzano il peso delle parole che scrutano l’esperienza della fine dell’autore in un crescendo febbrile e dolente.
E’ il momento di ricevere gli applausi e presentare tutti i musicisti prima di eseguire gli ultimi due pezzi. Blixa Bargeld esce e torna sul palco con una luce rossastra che risalta l’abito di scena: una specie di mantello composto da spezzi di stoffa bianca tagliuzzata. La drammaticità di Der Beginn Des Weltkrieges 1914 irretisce i sospiri del pubblico all’inizio, poi scariche elettriche e bassi graffianti e sibili stridenti irrompono in una danza robotica in cui Bargeld nomina alcuni maestri dell’avanguardia del Novecento come Russolo e Marinetti. E infine, raccoglimento per All of no man’s land is ours, ancora una volta ripresa dagli Harlem Hellfighters: il brano dà voce agli afro americani al ritorno dalla guerra che cantano felici “la vittoria è arrivata, la guerra è finita”.
I saluti arrivano, gli Einsturzende si congedano dal pubblico con eleganza e discrezione.
Lament è la messa in scena di un evento storico immenso e il gruppo berlinese gli ha saputo dare la giusta, obliqua, indagatrice luce attraverso la (de) costruzione del suono.
Home / Editoriali / Echi distruttivi di una guerra: Einsturzende Neubauten @Auditorium RAI (TO) 29/11/2014
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