Nato come concept strumentale e visionario da mettere in scena col supporto delle invenzioni luminose degli artisti visuali Glowing Pictures, l’ottavo album (se si escludono due EP intermedi) della virtuosa chitarrista statunitense mette in campo tutta la sua conoscenza dello strumento. Una conoscenza palmare, fisica, ben oltre la tecnica, e oltre le tecniche complicate e pienamente possedute, utilizzate disinvoltamente in una esplorazione corporale eppure metafisica, già nei soundscapes e nel minimalismo acustico dell’incipit atmosferico (In the beginning). Il corpo della chitarra, che nelle parole della stessa King è uno “shape-shifter”, si trasforma (Thoughts are born) in un set di percussioni: la cassa picchiata dal palmo, dal ticchettio delle dita; le corde graffiate in un contatto naturalmente fisico con lo strumento, visto sin dagli esordi della chitarrista in brani eccitanti come Playing with Pink Noise; un contatto sensuale privo dell’aggressività esplicitamente sessuale di un Hendrix.
E così, fisicamente, Notes and colors forano tastiere circolari col timbro squillante della corda pizzicata dall’unghia e sfociano malinconicamente nelle progressioni cadenzate del post rock di Ooblek. L’energia degli album “indie” della chitarrista ritorna, invece, in Antropomorph con la magia della tecnica mista di arpeggio e tapping: quei bassi netti hanno il suono frizzante che solo una decisa ditata sul manico può dare. L’arrangiamento è curato con minuzia in un tenue raddoppio del tema portante dell’acustica con formazioni che cambiano ad ogni passaggio, ora uno xilofono o una tastiera allegra, ora una tromba sussurrante e organi scivolosi, e diffondono tutt’intorno una confortevole leggerezza. Poi The surface changes innescando un moto irrefrenabile che ci precipita inevitabilmente verso il virtuosismo accelerato di Trying to speak I. Un arpeggio a capofitto che non prende fiato, una girandola simile a un mantra, una danza estatica dei dervishi, che nella ripresa (Trying to speak II) si fa drammaticamente epica col contributo degli archi del quartetto Ethel, che pur essendo newyorkese figurerebbe bene tra gli stucchi e gli ori di un teatro decadente mitteleuropeo.
E si torna a vibrare con la chitarra di pop corn e bolle di sapone che scoppiettano in It runs and breathes, leggera parentesi prima delle guerre stellari e i colpi di laser di Battle is learning, che scuotono e torcono le membra svelando, col suadente cambio d’accordi trascinato sulle corde come una carezza amorevole, l’ultima verità dell’album: We did not make the instrument, It made us.
Credits
Label: Short Stuff Records – 2015
Line-up: Kaki King (Guitars and Drums) – Dan Brantigan (Trumpet) – ETHEL (Dorothy Lawson, cello; Ralph Farris, viola; Tema Watstein, violin; Kip Jones, violin)
Tracklist:
- In the beginning
- Thoughts are born
- Notes and colors
- Ooblek
- Antropomorph
- The surface changes
- Trying to speak I (feat. Ethel)
- Trying to speak II (feat. Ethel)
- It runs and breathes
- Battle is learning
- We did not make the instrument, It made us
Link: Sito Ufficiale, Facebook