Seguiamo la produzione di musicale di Gianluca Maria Sorace da quando ci stupì con l’esordio degli Hollowblue e poi con i successivi album fino alla metamorfosi in Stella Burns. Gianluca non ha mai nascosto la sua grande personale passione per David Bowie, così un pomeriggio nella sua abitazione a Bologna abbiamo voluto parlare della forza unica che caratterizzava l’artista inglese e dell’intreccio con la vita dello stesso Gianluca, dal privato all’influenza sulla sua creatività. Abbiamo riportato il testo di questa lunghissima chiacchierata avvenuta pochi giorni dopo l’uscita di Blackstar e ancor meno dal triste annuncio della morte di David Bowie.
Nonostante la lunghezza di questo articolo consigliamo di leggerlo tutto d’un fiato, perdendosi anche in questa mutevole e splendida strada.
[credit foto: 1 G.M. Sorace, ph © A. Sorace – 2 D. Bowie, ph © M. Sukita, 3 D. Bowie, ph © J. Rownlands – 4 D. Bowie, ph © B. Duffy]
Vorrei iniziare questa chiacchierata parlando del disco tributo a Bowie che avevi realizzato nel 2007. E’ una piccola perla da riscoprire in questo maledetto 2016. Tutto ebbe inizio partendo dal sito RepetitionBowie.com, un’esperienza attualmente conclusa, vero?
Lì c’erano una sessantina di cover di gruppi italiani e quel sito non era niente altro che un contenitore per interpretazioni di brani di Bowie. A quel tempo ero in contatto con Velvet Goldmine, il fanclub italiano di Bowie e io stesso avevo realizzato una cover di Five Years; vedendo che diverse band si interessavano a proporre le loro cover ho pensato di realizzare questo sito. Oltretutto io ero (e sono tuttora) ossessionato dalla figura di Bowie, quindi il progetto nacque spontaneamente. Purtroppo quando è scaduto il dominio me lo sono lasciato sfuggire… ed ora c’è un sito porno! Comunque ho comprato il “.it” e rimetterò in piedi il sito originario.
Dal sito al disco tributo: in che modo è avvenuto il passaggio?
Nel 2006 io ho cominciato a lavorare con l’etichetta di Varese Midfinger Records e fu proprio quest’ultima, riconoscendo il seguito che aveva il sito ed il fanclub di Bowie, a proporre di realizzare una compilation coinvolgendo principalmente band legate all’etichetta. Per cercare di garantire un richiamo anche internazionale, hanno partecipato pure delle band straniere, o italiane ma con risonanza all’estero come i Drink to me, i Mama Shamone. Pensavo che l’etichetta avesse un legittimo interesse economico alla base di questo progetto ma in realtà è stato realizzato principalmente per passione e volontà di aggregare realtà musicali anche molto differenti. Nel progetto è stato coinvolto, presente anche nella tracklist come musicista, Chris Roberts che è un nome di rilievo nel giornali. Ha scritto una presentazione del progetto per il libretto interno del disco.
Quale fu il riscontro di questo disco?
Avendo coinvolto il fan club italiano, ovviamente il riscontro è stato più che positivo. Ufficialmente è uscito l’8 gennaio 2007 per i 60 anni di Bowie ed abbiamo fatto due feste di presentazione, a Milano e a Roma. Bowie in quel periodo era fermo e da tre anni non faceva nulla, quindi anche il nostro progetto, girando intorno al suo nome, ebbe un buon riscontro per un po’ ma poi risentì di questa sua assenza.
Che progetti hai riguardo il sito? Sui brani che ti venivano inviati svolgevi una selezione?
RepetitionBowie.it tornerà, e sarà sempre un contenitore per le cover, per quelle che già c’erano e per quelle che in questi anni sono state realizzate e che verranno da qui fino a chissà quando…
L’idea ovviamente era di fare una selezione tra i brani ricevuti, ma fortunatamente a suo tempo non ce ne fu bisogno perchè brani brutti non ne sono mai arrivati. Forse una nota negativa sta nel fatto che generalmente le coverband presentano versioni molto fedeli ai brani originali: alcune versioni presenti nel sito avevano un approccio didascalico.
Credo che la bellezza del disco, invece, sia proprio la diversità dei brani, forti di reinterpretazioni con stili molto differenti. Il filo conduttore è talmente solido che è stato possibile azzardare e divagare…
Certo, i brani scelti riescono a stare bene tutti assieme pur essendo molto diversi. Allora mi ero un po’ documentato e non mi risultava che nessuno avesse realizzato prima, in Italia, un disco di tributo a Bowie… a me sembrava impossibile che nessuno prima l’avesse fatto. Forse il periodo: tuttora se parlo con ragazzi sui 20-25 anni, ovviamente conoscono Bowie, ma non poi così tanto. Forse per via di quel buco di dieci anni che lo ha visto lontano dalla scena.
Questo che dici vale anche per me: sono convinto che le personali passioni per band e artisti siano sempre frutto della fusione tra questi ed un imprevedibile moto interiore: se questi artisti non “arrivano” nel momento giusto la fusione non si realizzerà mai più allo stesso modo che con altri.
E’ vero! Magari tu vivevi la musica degli anni ’90, anni nei quali lui ha realizzato anche cose importanti ma effettivamente non era il suo periodo d’oro… Ora però sono curioso: tu come percepivi la sua musica in quel periodo?
Io ascoltavo grunge, quindi puoi immaginare come per me fosse distante. Anche se poi c’erano degli agganci (penso a Cobain che canta The Man Who Sold The World) ma in generale quel tipo di musica era lontanissima dalla mia. In un qualche modo la tenevo a distanza. A certe età si è molto “quadrati”, no?
Sì, è normale, tant’è che pure io ero monomaniaco. Però la cosa interessante dell’essere maniaci di David Bowie è che si ascoltava e si studiava un artista estremamente vario, che ha mutato generi e stili. Ascoltarlo da ragazzino mi ha portato naturalmente a conoscere tante cose che senza di lui avrei, forse, poi scoperto molto più tardi in età adulta. Il folk, il rock, il pop, il plastic soul. Secondo me è stato l’unico ad essere veramente trasversale in modo così completo. Lui ha fatto anche un disco di musica classica… ha cantato un’opera di Bertold Brecht! Ha fatto anche molto l’attore, ed era pittore… è andato dappertutto. Dappertutto.
Anche il suo lato attoriale lo conosco molto poco, purtroppo. Puoi parlarmene?
Oltre al cinema, ha lavorato anche come attore teatrale. Ha impersonato Elephant Man, sul quale David Lynch poi ha fatto il celebre film. Bowie però era attore sul palco, e non aveva nessun trucco. La deformità caratteristica del personaggio era assunta da lui solo tramite la postura, così che finiva gli spettacoli con crampi per tutto il corpo.
Pensando a tutte le attività che ha svolto, mi viene in mente anche il web: lui fu uno dei primi nella musica ad usarlo in modo massiccio.
RepetitionBowie (il disco) ha avuto il suo spazio anche sul sito ufficiale di David Bowie, vero?
Sì, è così. Avevo cercato di mettermi in contatto e mi rispose il redattore del sito. Rispose in modo quasi commosso, facendo tanti complimenti al progetto e in particolare a Letter to Hermione che avevo realizzato con gli Hollowblue. Si trattava della persona che seguiva il sito ufficiale da quando Bowie aveva deciso di buttarsi nel web. David era stato uno dei precursori di un sistema con utenti registrati a pagamento che potevano usufruire di contenuti extra: ora è la normalità, ma siamo nel 2016 e non nei suoi ’90! Su molte cose Bowie è stato profetico. Per esempio in un’intervista tra il ’93 e il ’95 disse che un giorno la musica sarebbe diventata come un rubinetto: lo apri ed ascolti, con un abbonamento. E’ effettivamente quello che accade ora! Ovviamente non sarà stato l’unico ad immaginare questo scenario, ma di certo era una persona molto attenta, curiosa, che captava e comprendeva i mutamenti, spesso anticipandoli.
Tornando ai brani del disco: effettivamente anche secondo me la tua (vostra) Letter to Hermione è l’interpretazione meglio riuscita. Ce ne sono di belle, alcune bellissime, ma quando inizia quel brano, si respira un’aria quasi spirituale. Si sente un trasporto diverso, più profondo.
Sì, forse è così davvero. E’ un brano che però abbiamo registrato velocissimamente, ed infatti la qualità audio non è delle migliori. L’abbiamo realizzata in due sere: una sera mi sono trovato con Luca Faggella che ha registrato in modo splendido la chitarra elettrica e mi ha dato qualche idea, poi io ho lavorato agli arrangiamenti, la registrazione della batteria e del basso con gli Hollowblue… tutto molto veloce. La cosa bella della menzione sul sito di Bowie fu proprio che presentarono il progetto del tributo, ma soprattutto poi parlarono di quel brano e del disco degli Hollowblue. Questo mi fece un enorme piacere.
Delle altre band coinvolte nel disco tributo, invece, mi fa sorridere accorgermi ora della presenza di nomi che io poi ho conosciuto solo molto più tardi: Edwood, Mimes of Wine…
Erano tutte band in contatto con Midfinger Records. Gli Edwood poi pubblicarono per l’etichetta degli Hollowblue, invece Mimes of Wine ho avuto il piacere di incontrarla dal vivo per la prima volta solo poco tempo fa qua a Bologna. Oggi purtroppo Midfinger Records non c’è più. Samuele Franzini era partito bene, pieno di entusiasmo e belle idee, ma poi sai com’è ora per le etichette indipendenti. E’ veramente difficile.
Il panorama delle etichette indipendenti è completamente cambiato. Come vedi la situazione attuale?
Rispetto agli anni ’90 ora quante sono le etichette indipendenti? Pochissime. E poi non hanno reale potere di investimento per poter seguire le band, spesso è solo un marchio, legato ad un gruppo. All’estero invece è un sistema che un po’ continua a funzionare. Ho amici musicisti in Francia che mi dicono che se hai un’attività musicale e vai in tour, lo Stato ti paga, hai sovvenzioni, sei tutelato, quindi tutto il sistema musicale ovviamente ha modo di crescere ed essere piuttosto autonomo.
In questo modo le istituzioni riconosco un ruolo a chi fa musica, sia dal punto di vista economico che sociale. E’ una cosa che manca in Italia… penso alla proposta che era stata avanzata (tra i primi anche da Manuel Agnelli) di imporre alle radio una percentuale minima di trasmissione di brani “autoctoni”.
Probabilmente sarebbe un sistema anche eccessivo, ma di certo muoverebbe qualcosa, mentre ora è tutto fermo. Ora è una questione di resistenza. O sei ricco di famiglia, oppure hai resistenza. Io non rientro nel primo caso, quindi devo resistere. Alla fine sono poche le persone che continuano fino alla mia età a fare i musicisti, perchè non ci guadagni. Al massimo puoi avere qualche ritorno dalla SIAE, ma nulla in confronto a quanto spendi per poi fare un disco.
Parlami della tua passione per Bowie: riesci a ricordare il momento esatto nel quale tutto iniziò?
Avevo dodici anni ed ero in Sicilia dai miei zii. Ascoltavo Ziggy Stardust su una cassetta di mio cugino: mi piaceva ma non capivo molto bene… poi una volta, a sedici anni, un mio amico che invece si era fissato mi passò delle cassette con sopra registrati quattro album. Non li avevo ancora ascoltati quando, giocando a calcio ricevetti una pallonata nell’occhio e venni ricoverato per una settimana. I medici dovevano mantenermi la pupilla dilatata dell’occhio colpito. Lì per lì non ci pensai, ma mi ritrovai in ospedale ad ascoltare David Bowie, vedendo in un modo strano, con una pupilla dilatata ed una normale proprio come lui! Bowie ebbe quel problema da quando, per una scazzottata, prese un pugno che gli paralizzò la pupilla: una sciocca coincidenza, ma… mi piace ricordarla.
Quale fu il primo suo disco che comprasti?
The man who sold the world il primo, poi tutti gli altri. E’ stato come un innamoramento adolescenziale, che non ha nulla di sessuale. Apri gli occhi per la prima volta e vedi nella persona che hai di fronte tua “madre”. Un legame unico, riconosci te stesso nell’altro. Ovviamente questo innamoramento si è trasformato in una passione, quindi raccolta di materiale, pile di giornali, filmati. Però questa ricerca l’ho fatta non da collezionista, ma spinto da curiosità, in modo forse compulsivo ma soprattutto per conoscere anche altro, Bowie come uno strumento per arrivare a molte cose. Ed è un sentimento comune a molti della mia età che lo hanno conosciuto a fondo.
Ora c’è un moto di celebrazione enorme: spesso è veramente sentito, ma talvolta è pure sgradevole proprio perchè effetto della morte, e non a vero riconoscimento di quanto realizzato in vita…
Sì, è una cosa sgradevole, ma soprattutto ci sono diversi modi di vivere il momento. Luca Faggella ha cercato di coinvolgermi in un bell’evento che ha realizzato a Livorno. C’era la fila di gente per entrare a questa serata celebrativa. Poi ieri sera mi ha chiamato dicendomi che la serata era andata bene, ma alla fine avrebbe preferito restarsene a casa: ha compreso il motivo del mio rifiuto… Sai, Bowie con la sua vita ha insegnato un metodo che travalica la musica. Diventa più che un personaggio da celebrare. Se con il mio progetto solista Stella Burns mi sentirò potenzialmente libero di fare anche un disco di elettronica, o qualsiasi altro genere allontanandomi dal percorso iniziale, è grazie a lui. Così come discendono da lui molti miei aspetti personali, dalla gestualità al modo in cui mi vesto. E anche una mancanza di pregiudizi che si accompagna alla libertà di sovvertire in qualsiasi momento le convenzioni culturali entro le quali ci muoviamo. Libertà assoluta e atteggiamento di sfida verso quello che riteniamo immutabile. Bowie andava molto fiero di essere per i suoi fan un veicolo verso scoperte nuove, nel campo musicale ma più in generale verso le cose che appassionavano lui stesso.
Spaziando così tanto, quanto riusciva a tenere il controllo del suo lavoro? Quanto era suo e dove invece si lasciava affiancare?
Era molto bravo a circondarsi di persone di talento per raggiungere un obiettivo, e questo portava anche a delle rotture. Ad esempio quando annunciò pubblicamente che come Ziggy Stardust non avrebbe fatto più concerti, i musicisti del suo gruppo, The Spiders from Mars, lo vennero a sapere soltanto in quel momento! Eppure con il suo produttore Tony Visconti ci fu una rottura pesante quando Bowie realizzò Let’s dance per il quale chiamò Nile Rodgers degli Chic. Ma anche Tony Visconti, con il senno di poi, ha compreso il perché di quella scelta. Bowie cercava le persone giuste per realizzare le sue idee, e ci riusciva. Però in alcuni casi ha anche fatto quasi tutto da sé, come per Diamond dogs, un album diversissimo dai precedenti, molto moderno!
Parlando con gli altri redattori di LostHighways ci siamo trovati concordi sul fatto che Bowie fosse una persona capace di anticipare veramente i mutamenti della musica. Come riusciva in questo?
Il più delle volte non inventava nulla, ma captava e rielaborava. Riusciva a fare questo con una personalità tale che ogni volta diventava il suo stile, più potente degli stessi musicisti che lo avevano precedentemente partorito. Così ha fatto con l’album Heroes: non aveva inventato completamente quel suono e attitudine, ma le fece sue. Tutta la new wave quindi risulta nata da lui; i Joy Division si chiamavano inizialmente Warsaw, dalla sua Warszawa. Ma la storia della musica recente è piena di figli di Bowie.
Per Blackstar si è fatto accompagnare da musicisti ancora una volta nuovi. Un altro mutamento. Ti sei fatto un’idea del perchè di questa scelta?
Blackstar è stato il suo ultimo album in vita, per forza doveva stupirci. Bowie ha abbandonato tutti i musicisti con i quali ha lavorato in precedenza, e ha trovato un gruppo jazz. Quel disco è un testamento. Recentemente Tony Visconti, di nuovo produttore dell’album, ha detto che un giorno Bowie arrivò in studio senza capelli e senza sopracciglia. Loro parlarono, ma ovviamente anche i musicisti capirono. Lo stesso Bowie, dice Visconti, si aspettava di avere ancora qualche mese di vita. Comunque, avendo scoperto della malattia diciotto mesi prima (e forse anche di più), lui sicuramente ha programmato tutto: l’uscita di Blackstar, ma anche di altro materiale registrato in passato… già si dice che nel 2017 uscirà un altro album. Ha deciso di passare gli ultimi mesi in studio, ed evidentemente anche lui sentiva il peso di dover comunicare il suo addio alla gente che lo ha sempre seguito. In particolare gli ultimi brani di Blackstar sono proprio un saluto.
Pur non essendo un fan, ammetto di essere stato molto toccato dalla notizia della sua morte. Ascoltando poi il disco si riconosce che anche in questo suo “andarsene” è stato unico.
Il disco è cupo perchè ricalca il periodo della malattia, ma gli ultimi brani sono sereni. Dietro c’è un messaggio positivo. Penso che nessun altro potrà, con tale intensità e riscontro, riuscire in questo modo a programmare e realizzare il proprio saluto. Sta avendo una risonanza enorme, se ne parlerà per tantissimo tempo, e lo faranno le persone più disparate. E’ come aver avuto la fortuna di condividere lo stesso periodo in cui è vissuto Leonardo Da Vinci e poi assistere alla sua uscita di scena. Un privilegio.
Un commento generale su Blackstar?
Mi piace, più di The Next Days che pur essendo stato un graditissimo ritorno a sorpresa dopo dieci anni era un po troppo “alla maniera di Bowie”. Qui invece ha osato, con coraggio. La prima volta che ho visto i nuovi video ho pensato che la stessa vecchiaia fosse usata come ennesima maschera. Dopo la sua morte ho riflettuto ed ho pensato che forse la vecchiaia era, invece, finalmente “togliere la maschera”, liberarsene. Questo ha un riscontro anche nei testi. Resta il fatto che in questi giorni non riesco ad ascoltare altro che Blackstar. Non sono riuscito nemmeno a registrare; ho ripreso appena oggi.
Ecco, parliamo ora del tuo lavoro. Con il progetto solista Stella Burns stai realizzando un disco di cover. Hai già chiare le idee sui brani da inserire?
Sì, adesso stavo facendo i Divine Comedy, Calexico, Leonard Cohen e La Baronessa di Carini che è la sigla di uno sceneggiato anni ’70 cantata in siciliano (la storia di un omicidio nella Sicilia feudale dei briganti, quindi un po’ una “murder ballad” del “nostro west”). Altri brani che sto facendo sono italiani ma da me tradotti e cantati in inglese: Ciampi e Mino Reitano. Inserirò anche una canzone di un autore israeliano realizzata da Little Tony, una cosa un po’ particolare. Saranno tutti brani registrati con voce, chitarra, banjo, mandolino, pianoforte, archi, batteria grazie al contributo prezioso dei musicisti che da tanto tempo mi accompagnano nei live, Mario Franceschi, Franco Volpi e Davide Malito Lenti. Il mixaggio sarà ad opera di Francesco Giampaoli dei Sacri Cuori. Con loro sto avviando una collaborazione per il mio prossimo album di inediti.
Questi dischi quando usciranno?
Il disco di cover a Giugno, mentre quello di inediti ad inizio 2017.
Dov’è quindi David Bowie in Stella Burns?
Ovunque e da nessuna parte nello specifico. Nella mia musica è più facile trovare Nick Cave invece che Bowie, è piuttosto evidente, ma come ti dicevo lui mi ha insegnato un metodo di approccio all’arte e alla vita, che vale molto, molto di più.