La festa della FIOM si svolge all’interno di Mirafiori dall’8 all’11 Settembre. Il sindacato dei lavoratori metalmeccanici festeggia i suoi 115 anni di attività riprendendosi lo stabilimento. Luoghi simbolo della città industriale e operaia, officina di un futuro possibile.
Torino è un abbraccio non ancora autunnale di foglie già a terra davanti ai cancelli della FIAT.
La decima edizione della festa vede alternarsi convegni, dibattiti, recital, proiezioni di film e musica. Il grande spazio organizzato ospita anche delle mostre fotografiche e di pittura come quella curata dall’Associazione Pittori Vanchigliesi. Sui muri senza vernice ci sono fotografie giganti di cortei degli anni sessanta/settanta: ricordano condizioni e sentimenti i cartelloni degli scioperanti con scritto “Agnelli non avete capito niente, la classe operaia è la classe dirigente”, “Agnelli ci vorrebbe tutti fant… occi!”. Il primo piano in bianco e nero di una ragazza alla linea di montaggio ricorda la stanchezza di un lavoro condiviso ma, allo stesso tempo, alienante. Tra questi stand si aggirano alcuni dei lavoratori di quel reparto saldatura che torna a ripercorrere con lo sguardo i luoghi di un’intera vita lavorativa. La fabbrica che include ma che uccide anche, a poco a poco. Cosa-come-dove produrre ci si chiedeva, ci si organizzava per lottare e contrastare il padrone. Probabilmente questo accadde fino al 1980, poi qualcosa è andato perduto, l’identità di classe si è andata disgregando, come per una sorta di “rimozione collettiva”, si è cercato di ignorare e considerare estinti quei sei milioni di operai esistenti nel nostro Paese. Com’é cambiato il lavoro rispetto a quello della generazione del secolo scorso?
Le giornate di festa a Mirafiori si concentrano su quella presente, sempre più stretta nell’incertezza del lavoro che non c’è, nonostante le burle mediatiche che inneggiano ai miracoli del Jobs Act. Il dramma dell’immigrazione è una responsabilità che non si può evitare e proprio ora la solidità dell’Europa sembra venir meno. In questo scenario di confronto e discussioni importanti, in cui la sindaca di Torino dà buca per “motivi personali”, c’è la musica a dire la sua. Venerdì 9 Settembre suonano i Gang, storica band marchigiana fondata dai fratelli Marino e Sandro Severini.
L’odore di salsiccia e di altre prelibatezze grigliate pervade l’ex fabbrica dando il via al live del gruppo rock attivo dal 1984. Bandito senza tempo ritrova un pubblico che aspetta questa ondata di “sentimenti rossi”, chi ancora col panino in mano, chi con una birra dalle dimensioni coraggiose: si canta. Ottavo chilometro è una ballata che richiama certi antichi giganti “sono quelli dell’ottavo chilometro, partigiani una volta, partigiani per sempre, e la notte li attende, sul sentiero che passa e che va”. Imperversa poi Alle barricate e già ecco che qualche pugno alzato svetta tra le teste lì davanti, sotto al palco, orgoglioso. Sesto San Giovanni scioglie sguardi e sorrisi, come ad aver ritrovato una vecchia compagna di avventura. Finalmente Marino fa la sua attesa “pausa narrativa” e prova a scuotere un po’ le coscienze richiamando in causa quando facemmo fuori il fascismo dal nostro paese. “Le cose bisogna farle nel momento giusto”… noi che aspettiamo a respingere quello che ci fa del male? Prosegue il cantautore di Filottrano, in un dialetto contenutamente marchigiano ma pur sempre arduo per i più, piemontesi. “Continuiamo a mangiare l’uovo ma ci siamo dimenticati della gallina”. Assuefatti alle cose che non vanno, non andiamo alla radice dei problemi. Marenostro brilla come preghiera disinteressata per quegli “uomini neri” che forse arrivano a terra, forse no, rimangono alla deriva. L’entusiasmo e il carisma dei Gang raggiungono, come sempre, il pubblico fino in fondo, fino a farlo cantare a squarciagola Comandante che solletica vecchi impulsi, più o meno sopiti e manifesti, ma sempre chiari, di libertà. Salutano il pubblico con Kowalski, cavalcata folk rock che racchiude un’Italia solcata da diverse epoche, crogiolo di memorie, incrocio di culture e identità diverse, che nel suo infinito sogno di giustizia, vaga, continua a vagare e non riesce ad afferrare la sua lotta.
Quella di Marino Severini è sempre una voce molto attuale, il suo è uno sguardo ancorato alla realtà che sa analizzare e anche prendere un po’ in giro. Noi di Losthighways lo abbiamo incontrato per scambiare quattro parole sulla musica ed il suo rapporto con i problemi sociali, il territorio e il futuro. Presto vi racconteremo di questo necessario incontro.
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