Notte nebbiosa, di umido fastidio che trova riparo solo tra quattro mura. È un venerdì alle Officine Corsare, primi di Dicembre, il ponte dell’Immacolata ha portato molti fuori città ma Torino il fine settimana vuole respirare musica. E musica ha, come sempre.
Tra bevute e sigarette, tra una partita a calcetto e amici ritrovati nella sala davanti al bancone inizia il live del Circolo Lehmann. Nero a capo rompe gli indugi. Riverberi psichedelici si diffondono in crescendo, come un flusso che trova le sue correnti migliori tra chitarre e voci a perdersi. Il gruppo inizia a riscaldare l’atmosfera con La festa che preme l’acceleratore sul ritmo ed il lato esistenziale più ironico. Ghego Zola, voce e chitarre, Umberto Serra alle tastiere e tromba, Lorenzo Serra al basso elettrico e sax tenore, e Pax Caterisano alla batteria: prendono possesso del palco con la disinvoltura di chi non si prende troppo sul serio. Ecco, illumina la stanza Maree, sonorità distese tra chitarre pulite e voce trasognata, mentre un po’ di gente ha preso confidenza con l’idea di avvicinarsi ai musicisti. A braccetto poi c’è Cosa ci siamo persi, tutta d’un fiato, sospesa, tra la performance e l’evocazione di immagini lontane. Il Circolo Lehmann è un nucleo, un filo coeso di sguardi complici e sorrisi sornioni che appartengono al lungo viaggio d’amicizia musicale. Dove nascono le balene risveglia dal torpore della nostalgia e respinge tutti nel fondo dell’irreale. C’è spazio anche per qualche cover come Sound and vision di Bowie e La collina dei ciliegi di Battisti suonate con energia come sincerissimo inchino ai maestri. La nostra guerra ammicca ad un prog sintetico che accompagna la storia di una febbrile resa dei conti e, ancora, La casa al mare: “un’ancora di armonia”, introdotta da sapienti tastiere elusive, s’articola in sguardi su vite altrui e poi esplode in una lunga, liberatoria sessione di fiati. Seguono gli arpeggi di Danza, ermetica, lampo di luce. Verso la chiusura va il folk di Niente di nuovo che si districa tra punte amarissime e ritmo d’ampio respiro. Nasce da un sax sonnambulo Marlene, a chiudere il cerchio del live, per poi tuffarsi nell’elettrica marea in piena.
Leggere tra le righe bisogna, con loro, perché l’esplicito non s’addice alla corsa irregolare del rock.
Foto di Elisa Des Dorides