Stefania Pedretti e Bruno Dorella non sono sicuramente due novellini quando si parla di musica. Entrambi sono conosciuti per i loro vari progetti (?Alos, Ronin, Bachi da Pietra) e da quasi diciotto anni portano avanti una band che li accomuna: OvO. Più di 900 concerti alle spalle, un numero imprecisabile di uscite discografiche tra album, collaborazioni, singoli e pezzi su compilation arricchiscono i curriculum dei due musicisti.
Il 9 dicembre 2016 è uscito Creatura, il nuovo lavoro in studio degli OvO. Un album che unisce una forte componente elettronica a una voce urlata, graffiata, quasi primordiale. La tecnologia a servizio dell’istinto. Abbiamo avuto il piacere di poterne parlare con Bruno Dorella, che ci ha spiegato da dove arriva la loro Creatura e raccontato molto altro.
Non abbiamo mai avuto il piacere di intervistarvi perciò partiremo con una domanda classica. Chi sono gli OvO?
Piacere. Stefania Pedretti, voce e chitarra, e Bruno Dorella, percussioni ed elettronica. Abbiamo iniziato per gioco nel Dicembre del 2000 e siamo ancora qui. In mezzo un migliaio di concerti in 3 continenti e 8 album.
Parliamo del vostro album uscito lo scorso dicembre. Che tipo di Creatura è quella che dà il titolo al disco?
E’ la Creatura nata con le sperimentazioni elettroniche di Abisso. L’inserimento dell’elettronica e un cambio di approccio compositivo ci avevano portati con quel disco in recessi che non conoscevamo, che abbiamo affrontato un po’ inconsapevolmente, addentrandoci appunto in un Abisso. Creatura è un po’ il compimento di quel percorso, la nascita di qualcosa di consapevole e compiuto, molto complesso e organico.
Satanam è il primo brano tratto da Creatura. Ci volete raccontare l’idea che sta dietro il video che l’accompagna?
Volevamo rappresentare un mondo di freak, personaggi dall’identità sessuale dubbia e dai costumi misteriosi, un mondo in cui gli OvO si trovano a loro agio. E’ una sorta di comune ispirata a Pink Flamingos di John Waters, o alla bella scena del funerale dei reietti di My Own Private Idaho di Gus Van Sant. Gli OvO intervengono a dare al tutto un’aura rituale.
Nel vostro sound si nota una presenza massiccia dell’elettronica, soprattutto nell’ultimo album. Una componente molto attuale, abbinata a un “cantato” quasi primitivo. Come riuscite a conciliare queste due anime della band?
Spero di non contraddirmi se dico che ci è voluto molto per arrivare a questa cosa, che alla fine però era naturale. O, se preferisci, è stata una cosa naturale su cui abbiamo lavorato molto. Non è molto diverso da come lavoravamo prima. Qualunque cosa io suoni, diventa inconfondibilmente OvO appena Stefania apre bocca o attacca il suo plettrone sulla chitarra. Alla fine io sono il lato razionale, lei quello istintivo, io quello elettronico, lei quello primordiale.
Negli anni, siete passati da una sorta di autoproduzione, con la vostra etichetta Bar La Muerte, a etichette importanti come Load e Blossoming Noise, per poi approdare a Dio Drone, realtà più piccola e giovane. Ci volete spiegare il perché di questa scelta?
In mezzo c’è stata l’importante parentesi Supernatural Cat. Di base, dipende anche molto da chi è interessato a far uscire un nostro disco. Quando ci autoproducevamo con Bar La Muerte era molto bello, avevamo il controllo su tutto ed eravamo in pieno spirito DIY, ma è anche vero che in quegli anni ben poche etichette ci avrebbero prodotti. Dopo invece sono arrivati i contatti con le etichette che hai citato, tutte molto importanti nel nostro ambito d’azione, ed è stato un privilegio incidere per loro. Quando poi, per vari motivi, abbiamo capito che non si sarebbe potuto far uscire Creatura per Supernatural Cat, abbiamo pensato a un’etichetta che rappresentasse al meglio il DIY contemporaneo in Italia. Ed ecco Dio Drone. Qualche mese prima il povero Naresh, boss e unico impiegato dell’etichetta, si era lasciato sfuggire che sarebbe stato pronto a rovinarsi per far uscire un disco degli OvO… ed eccoci qua.
Gli OvO godono di un’ottima considerazione, soprattutto all’estero. Quali sono, secondo voi, i limiti maggiori del mercato italiano per un progetto come il vostro o, più in generale, per progetti che fanno della sperimentazione il loro punto di forza?
Non è vero che abbiamo una reputazione migliore all’estero, è un mito che va sfatato e che fa comodo solo alle band che vogliono darsi un tono (“faccio fatica a suonare in Italia ma ho trovato due date all’estero = l’estero è meglio”) e ai detrattori cronici che sanno che se dai contro all’Italia ti applaudono tutti. Noi abbiamo fatto circa un migliaio di concerti, di cui la maggior parte all’“estero”. Ma che cos’è l’estero? L’America? L’America è durissima, così come la Gran Bretagna, il sistema anglosassone è spietato per i gruppi. E’ bellissimo suonarci, il pubblico è molto preparato, ma non direi che è meglio. La Germania? Uno dei pubblici più ottusi che esista. La Cina, la Russia? Bello, ma hanno anche fame di musica, è normale che i concerti vadano alla grande visto che sono mercati nuovi. Il Botswana? Boh. E’ vero però che il mercato italiano è marginale, e questo si riflette molto anche sul credito che viene dato ai gruppi italiani all’”estero” (inteso come mondo occidentale mediamente ricco), che purtroppo è molto basso.
Il vostro progetto è attivo da diciotto anni circa. Com’è cambiato il panorama musicale durante questo periodo e cosa hanno fatto gli OvO per adattarsi, per non essere travolti dal cambiamento?
Abbiamo vissuto il periodo in cui questo tipo di musica, che non so nemmeno ben definire. Trovava tutte le porte chiuse, dai locali ai centri sociali. Nei centro sociali si facevano solo reggae, ska o manierismo punk/hardcore. Abbiamo seriamente contribuito a sdoganare queste sonorità più abrasive, questa sorta di noise + rock che non è noiserock (per non confonderci con la scena di New York e Chicago degli anni 90, i Sonic Youth eccetera). La scena di Providence era l’unica cosa simile allora, infatti siamo poi finiti a incidere per Load. Abbiamo passato un paio di netti cambi generazionali. Nel 2010 ci siamo accorti che i nostri amici non venivano più ai concerti. Venivano magari a salutarci prima, o ci chiedevano di vederci il giorno dopo a colazione e pranzo. Al concerto però c’era altra gente. Ora si sta verificando un altro cambio e non so ancora dirti come sarà perché per ora i trentenni vengono ancora a vederci, mentre i ventenni sembrano più assorbiti dal rap e dalle droghe economiche. Però allo stesso tempo sono più svegli, partono già disillusi, ci piacciono.
La componente live è fondamentale per il vostro progetto. Provate a descriverci un live tipo degli OvO, in modo da invogliare chi non vi ha mai visti dal vivo a recarsi a un vostro prossimo concerto.
Di solito invitiamo telepaticamente al concerto. Se vi viene voglia di venirci a vedere, probabilmente è perché vi stiamo chiamando mentalmente. Dopo i riti di purificazione con acqua prelevata da vasi del cimitero, si passa agli atti di penitenza. Stefania frusta tutti, mentre io gioco alla cavallina con chi mi pare. Alle 17 si prende il tè, alle 19 aperitivo di grandissima classe con vini selezionatissimi. Poi si cena, di solito radici e tuberi. Si va a piedi al concerto portando gli strumenti, si chiudono le porte, si lasciano i vestiti all’ingresso, e quello che avviene non lo possiamo descrivere ai non adepti, dovete venire voi al concerto, telepaticamente invitati da noi.