La foja, l’impeto irrequieto e dinamico che costringe a muoversi, non mettere radici, partire alla ricerca di qualcosa che forse non esiste (cercanne chell’ ca nun saje), per non essere sopraffatti da quella forza che scuote il torace e freme mentre tende gli arti per lo scatto. È naturale che la band partenopea intitoli un album, il terzo, ‘O treno che va, chi meglio di loro? Musica perfetta per lunghi viaggi in autostrada, quando al riparo dei finestrini si grida a perdifiato fino a smaltire ansimando quel fremito di foja che invade chi vive di musica.
Si parte in quarta con Cagnasse tutto, più che un urlo rivoluzionario la vivida rabbiosa scoperta di quello che non va (ma è acqua ca nun leva sete), giocata su un riff hard martellante, rasserenato da dolci mandolini tremuli e rovesciate note elettriche. Calde tinte blues, che riecheggiano nell’armonica suonata da Edoardo Bennato, accrescono il pathos del crudo e accorato racconto di una vita incompresa, Gennaro è fetente, che ricorda la desolazione de Il mare di Pino Daniele (lasciatelo parlare ha tante cose da dire / ha capito che la lotta non deve finire).
Ma l’album è un invito a non essere Chin ‘e pensieri, ché i Foja, con il basso corposo e dinamico di Giuliano Falcone, il canto di Dario Sansone, diretto come la voce di un amico, li scacciano via con la leggerezza di Country Joe che contestava la guerra in Vietnam con una filastrocca. Infatti ‘O treno che va è la musica dei Foja, ricetta efficace, profonda e spensierata, contro paranoie e assillanti problemi quotidiani (lassamme ‘a casa tutt’ ‘e guaje).
Anche se non mancano le ombre lunghe e ardenti di un amore non corrisposto, ed è amaro il Buongiorno Sofia, oscura ballata orchestrale che richiama l’aria decadente di Father John Misty, tinta dai fiati scritti e diretti da Daniele Sepe, che nel finale cita la chiusura di Shine on you crazy diamond, puntando lo sguardo verso nord. Così l’Aria ‘e mare ondeggia tra una chitarra e un mandolino che suonano come una versione mediterranea del folk d’albione e dell’intro di Maggie May di Rod Stewart, mentre un attacco squillante di strofa strizza l’occhio a Fat man dei Jethro Tull. Una sequenza che accelera vorticosamente nel ritornello con le staffilate del mandolino di Luigi Scialdone, che riempie il suono qui come altrove, marchiando con segni variegati e indelebili il sound della band. E poi, inaspettatamente, tra le melodie nostrane delle corde e gli stacchi calienti che lo introducono, l’assolo torrido di Ghigo Renzulli crea uno strano corto circuito con certe pagine dei Litfiba oltre la wave.
Le note stoppate del blues sfociano con A chi appartieni in una classica canzone napoletana da finestre aperte di notte a picco sul mare. Un soffio romantico di perdita e malinconia che potrebbe funzionare voce e chitarra e invece si riempie di suoni impetuosi, fraseggi e passioni. E anche qui risuona il sax di Sepe che accompagna la band anche nell’inversione di marcia del rock caraibico di Famme partì, energia Clash e coralità Wailers chiusa da un acido indiano spacciato dai Beatles di Within You Without You.
La banda di una processione ci ricorda che è Dummeneca, e allora scendiamo allegramente con Sansone a passeggio per i vicoli di Napoli (‘a tutt’ ‘e vasce è addore ‘e genovese / senza ‘na nuvola e senza pise), cullati da una voce suadente e fraterna tra festose armonie messicane. Giacché il treno partenopeo risale il centroamerica attraverso villaggi polverosi dove ritrovare le gradinate di una coppia di amanti, di Tutt’e duje, fino all’America desertica di Nunn’è cosa.
Altrove una voce tremula come l’ultimo Di Bella si accorda alle coloriture delle tastiere di Antonio Fresa e Daniele Chessa, Nina e ‘o cielo è un corso d’acqua sotterraneo da cui partono dolci improvvisi zampilli che scorrono fino a sprofondare, inghiottiti dal gorgo ventoso e buio di chi resta sempre qua, immobile (te vuò sperdere / ma poi riest’ sempre ccà).
Statte cu’ mme è un instant classic da cantare all’istante, un’implorazione da urlare, senza violenza, per pura passione, tra le trame di un banjo country e i rintocchi onirici del rhodes di Antonio Fresa. E se l’amore ha trovato il suo corso felice, l’incredulo amante (nun credevo ca ‘na vita me traseva dint’ ‘a vita) rivolge all’amata un delizioso sussurro, Duorme, una ninna nanna che è una promessa salvifica e un sipario magico che cala a coprire gli attori soddisfatti di uno spettacolo appena concluso, mentre il pubblico in sala trattiene il fiato con la speranza che si riapra ancora.
Credits
Label: Full Heads / Audioglobe – 2016
Line-up: Dario Sansone (voce, chitarra acustica, cori) – Ennio Frongillo (chitarra elettrica) – Luigi Scialdone (mandolino, banjo, chitarra classica, chitarra 12 corde, chitarra elettrica, toy guitar, mellotron) – Antonio Fresa (piano, organo, rhodes) – Giuliano Falcone (basso) – Giovanni Schiattarella (batteria) – Edoardo Bennato (armonica) – Emidio Ausiello (percussioni) – Ercoletti (percussioni aggiuntive) – Ghigo Renzulli (chitarra solista) – Fabrizio Piccolo (chitarra elettrica) – Alessio Sollo (cori) – Armand Putfuli (violino) – Domenico Mancino (violino) – Giovanni Navelli (viola) – Aurelio Bertucci (violoncello) – Daniele Sepe (sax, cor, santone indiano, sitar) – Gianfranco Campagnoli (tromba e trombino) – Alessandro Tedesco (trombone) – Ilaria Graziano (cori) – Libera e Viola Velo, Neripè, Sara Sossia Sgueglia, Andrea Tartaglia, Tommaso Primo, Maurizio Capone, Stefano Piro, Daniele Sepe, Gnut, Nelson, Vincenzo Prebenda (Coro dei viaggiatori) – Alfredo D’Ecclesiis (armonica) – Giuseppe Giroffi (sax baritono) – Daniele Chessa (woodblocks, mellotron, synth, organo) – Fabio Renzullo (tromba)
Tracklist:
- Cagnasse tutto
- Gennaro è fetente
- Chin’e pensieri
- Nunn’è cosa
- ‘O treno che va
- Buongiorno Sofia
- Aria ‘e mare
- A chi appartieni
- Famme partì
- Dummeneca
- Tutt’e duje
- Nina e ‘o cielo
- Statte cu’ mme
- Duorme
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