Li avevamo lasciati in full band in un tempio dell’arte partenopea, il Pio Monte della Misericordia, poco prima che iniziasse la pandemia, per il nostro ultimo live report in “presenza”, ed è davvero un piacere partecipare nuovamente al rito collettivo e intimo del set acustico del “trio” Sollo, Gnut e Ciaccarella, che come tutti saprete è la chitarra di Claudio, il cui suono si arricchisce col tempo a tal punto da sembrar dotata di vita propria, come un vero e proprio componente aggiunto del gruppo. Il giardino del Black Hole di Volla, alle pendici del Vesuvio, è la cornice ideale per questa reunion tra pubblico e musica dal vivo, distesi sul prato come una pacifica comunità hippie, per un doppio set, pomeridiano e serale, come si usava una volta. La scaletta è quasi del tutto basata su L’Orso ‘nnammurato, come a riallacciare i rapporti con vecchi amici rimembrando l’ultima impresa compiuta insieme, prima di lanciarsi nella nuova avventura discografica, che Gnut ci ha annunciato in intervista un anno fa e che attendiamo trepidanti, ma per ora resta nascosta nello scrigno dei segreti. Ed è senz’altro il dialogo tra due buoni amici quello che va in scena tra Alessio e Claudio, capaci di cambiare rotta all’unisono senza far cenni né chieder nulla, intrecciando voci così diverse in un perfetto incastro che ascende disinvolto dall’Inferno al Paradiso, con invidiabile scioltezza e verve. Tanto che sulle note dello swing disneyano di Inferno pareva che da un momento all’altro Sollo potesse strappare un’enorme foglia di banano e imitare la danze degli oranghi de Il Libro della giungla (ma avrà comunque occasione, in seguito, di lasciarsi “possedere” dal fantasma di Elvis, che lo costringe a mettersi in piedi e dimenare il bacino). In Paradiso, invece, le aggressive ritmiche dell’album rallentano trovando una nuova coppia di accordi profondi nella seconda frase del ritornello. Ma le novità maggiori sono nel rapporto tra le due voci, nel reciproco completarsi e supportarsi, specie quando Sollo contrappunta di pilastri baritonali l’architettura melodica imbastita da Gnut; oppure nella ricca gamma di timbri e accenti scherzosamente onomatopeici che costellano l’irriverente rilettura della tradizione di ‘O Ciarlatano, come nei sussurri confidenziali che si infilano non annunciati nel discorso, anche quando un errore strappa una risata e il caustico commento “tutte ‘o cuntrario“. E così, tra lacrime commosse per le vette liriche di Tutta ‘a vita annanz’ o Ll’ultimo penziero e le risate di gusto ad ogni racconto e battuta, si arriva all’indesiderata conclusione del set. Non prima di un corposo bis, però, “di quattro brani“, annunciano quasi a consolare e dare la giusta soddisfazione ai presenti, gettando lo sguardo al passato più o meno recente di L’ammore ‘o vero e Perfect suicide, con in mezzo il morbido e corale omaggio agli Smith che suona come il migliore degli auspici: Please, please, please, let me get what I want … “this time“.