Zach Condon, a.k.a. Beirut, torna sulle scene discografiche dopo quattro anni d’assenza dal suo precedente album. Tra le nuove uscite del 2011 questa sua ultima fatica è tra le più attese e tra quelle che destano maggiore curiosità essendo diventato nel corso degli anni fenomeno sempre più in ascesa nel panorama indipendente. Ciò che salta immediatamente all’orecchio in The Rip tide è che, nonostante siano sempre presenti arrangiamenti e ispirazioni presi a piene mani dalla tradizione balcanica, meno accentuati sono i rimandi alla musicalità di Bregovic, optando per uno stile che risulta più personale e che pone l’accento sulle qualità compositive e interpretative di Condon.
A candle’s fire apre con un solenne assolo di trombe mentre le percussioni incalzanti caratterizzano Santa Fe e l’aura di festa e di colori del brano fa rivivere a pieno l’atmosfera che il nome della città natia di Beirut rievoca. La voce profonda e baritonale accompagnata dal solo pianoforte introduce Goshen che si sviluppa in un crescendo di fiati e ottoni, mentre un delicato assolo di violino si mescola a tamburi e sonorità bandistiche in Payne’s Bay. Una melodia più malinconica avvolge la title-track, la struggente ballata sulla solitudine si instaura quasi a voler essere una pausa, una riflessione nel vagare tra i posti più disparati di cui Zach ne è la guida. Vagabond attinge direttamente da scenari francesi più sofisticati e dalle sperimentazioni tra folk e minimalismo alla Yann Tiersen, mentre i cori di The Peacock sono presi direttamente dall’antica tradizione degli spiritual afro. Tenui tintinnii in Port of call vanno a chiudere l’album, la leggera e rarefatta melodia va ad omaggiare canzoni tra le sue classiche come A sunday smile.
Se il precedente The Flying Club Cup era una perla fuoriuscita con urgenza e con impeto dal talento di Condon, e probabilmente più genuina, The Rip Tide ha un’elaborazione più complessa che parte dalla maturità stilistica raggiunta dal frontman, non consacrando però questa come opera definitiva, ma semplicemente andando a definire meglio i contorni del percorso artistico svolto fin ora.
The Rip Tide significa vortice e questa corrente racconta di luoghi e di vagabondaggi, dell’errare e dell’esplorare; è un cerchio che non arresta il suo movimento ma si evolve, il proseguio di un viaggio che nei quattro anni di assenza non si era interrotto ma raccoglieva nel suo diario l’esperienza che via via si andava accumulando per poi illustrarla, andando a terminare in un porto intermedio. Quasi ad indicare che questo viaggio non avrà fine, che la ricerca continuerà e che importante non è la meta ma la strada che si percorre per raggiungerla.
Credits
Label: Pompeii Records – 2011
Line-up: Zach Condon
Tracklist:
- A candle’s fire
- Santa Fe
- East Harlem
- Goshen
- Payne’s Bay
- The rip tide
- Vagabond
- The peacock
- Port of call
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