Tornate indietro di 45 anni, mettete sul piatto il vinile che avete appena acquistato oggi 5 agosto 1966 e vi ritroverete ad ascoltare una delle opere più futuristiche e più innovative per l’epoca e per la musica che verrà. Fate un balzo avanti negli anni attuali, riascoltate lo stesso disco e rimanete pure estasiati nel constatare quanto quelle note abbiano pesato in quasi mezzo secolo di cultura con i loro stravolgimenti schematici e intuizioni visionarie.
Nella probabile impossibilità di stabilire con esattezza quale sia l’effettiva migliore opera dei Beatles, Revolver va di certo ad incastonarsi tra le loro fondamentali e quella che, con Rubber Soul, segna la netta demarcazione della maturità artistica dei Fab Four. Qui trovano spazio la crescita e le sperimentazioni personali di Lennon, McCartney ed Harrison creando così un album per niente monotono, ma al contrario caratterizzato da singole tracce completamente differenti tra loro che vanno ad esplorare gusti e terreni variegati.
George Harrison inizia con il firmare la prima traccia Taxman in cui si evince quanto la parte più acida sia d’ora in poi una componente assidua della creatività del quartetto. Un pezzo sul blues questo di apertura in cui padroneggia l’assolo di chitarra di McCartney. La creatività di Harrison trova in questo disco la definitiva conferma del proprio talento compositivo andando a realizzare anche I want to tell you e Love you to, dove, in un viaggio impalpabile tra le sonorità indiane da cui è rimasto folgorato dopo aver appreso il suono del sitar, l’andamento vorticoso e le atmosfere sognanti terminano in un turbinio accelerato.
Un clima tetro e malinconico viene ad incombere con Eleonor Rigby, dove Paul McCartney affronta il tema della solitudine e dell’anzianità. Gli archi presenti evidenziano l’influenza della musica classica che in quel periodo Paul approfondiva; i cori e la ripetuta “Look at all the lonely people”, a rimarcare lo sconforto per lo stato di desolazione, fanno della traccia una delle più celebri del gruppo e uno dei gioielli più sperimentali di McCartney. La sua creatività sigla nell’album la dolce Here, There and Everywhere, con note che sembrano evocare quelle da torpore da spiaggia dei cugini americani Beach Boys e la solare Good day sunshine che ammicca notevolmente alle sonorità dei Kinks. Altra vetta artistica è For no one dove da sfondo spicca il suono del corno francese e il ritmo, sempre a rilevare la classicità da cui l’autore è fortemente contagiato, che è cadenzato come quello di un’antica ballata. L’allegra Got to get you into my life canta dell’uso di marijuana a cui McCartney era dedito, le trombe sono in perfetto stile chansonnier francese mentre la coda è un guizzo di puro soul. La famigerata Yellow submarine è un’allegra filastrocca per bambini, piacevole e leggera, scritta da Paul e cantata da Ringo Starr.
Se Harrison viaggia verso vie mistiche e McCartney è orientato alla classicità, Lennon da sfogo alla sua inventiva qui caratterizzata dalla componente psichedelica e che della futura psichedelia musicale sarà la base. In I’m only sleeping è evidente la spirale lisergica da cui John è affascinato e che riproduce con toni soffusi, cori e con il geniale inserimento del risultato del suono di alcune parti del nastro fatto girare al contrario. L’effetto della beata indolenza, dell’abbandono volontario a esperienze allucinogene è perfettamente reso in una delle tracce più belle dell’album. She Said she said è un viaggio acido così come dichiarato da Lennon stesso, uno dei primi brani in assoluto in cui si comincia a dare una nuova definizione di rock accostando aggettivi come psichedelico e, appunto, acido. Doctor Robert è briosa e fresca, sempre dominante è il tema delle droghe; così come brillante è And your bird can sing considerata però dall’autore Lennon la meno valida di quelle da lui composte.
La finale Tomorrow never knows può essere considerata come il sunto conclusivo di tutte le esperienze empiriche presenti nell’album. C’è l’apice lisergico di Lennon che in una spirale ipnotica canta “Turn off your mind, relax and float down stream” citando il libro The Psychedelic Experience da cui è stato pesantemente influenzato accompagnato dal sitar di Harrison. Sonorità primordiali vanno a braccetto con sperimentazioni sonore e tape loops andando a comporre il brano-manifesto del disco.
Riconosciuto sin da subito il valore artistico dell’album e l’innovatività presente in esso, 45 anni dopo Revolver è più che attuale nel suo precorrere tempi e sonorità da cui si trae ispirazione tuttora e incastonandosi già da decenni tra le pietre miliari della musica che abbiano mai visto la luce.
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