Nella vita sono convinta sia meglio non avere troppe certezze: gli imprevisti sono quelli che danno a tutto quel pizzico di sale in più che ti permette di assaporare al meglio quello che ti viene offerto. Ma dal 2002 c’è un punto fisso che mi accompagna in ogni momento: la musica degli Afterhours. Loro sono una certezza. La certezza che c’è ancora chi fa musica per passione. La certezza che ad ogni live mi arriverà una scarica d’adrenalina, di quelle che ricordano cosa vuol dire essere vivi. Una certezza alla quale non rinuncerei mai.
Così quando leggo che ci sarà un loro concerto in zona prenoto subito i biglietti e inizio ad assaporare l’ansia che a poco a poco cresce col passare dei giorni. Arriva il 23 settembre. Indosso la mia maglietta, quella nera di Germi che ormai ho consumato.
Il Fuori Orario ha una veste nuova, mi ci vuole un po’ per orientarmi e capire in quale sala si terrà il concerto, ma una cosa non è cambiata: non ci sono barriere. Ti godi il concerto appoggiato al palco in uno scambio di emozioni continuo con chi sta sopra.
Ore 22.30 circa. Sul palco salgono sei musicisti e partono le note de La verità che ricordavo: un microfono che rotea nell’aria e la botta allo stomaco che arriva puntuale. Non è la prima volta che assisto un loro live. Ormai in nove anni ho avuto la fortuna di poterli seguire molto, ma ogni volta che li vedo salire sul palco è come se fosse la prima. La voce di Manuel Agnelli ha qualcosa di unico, riesce ad emozionare come poche altre, anche se all’inizio qualche problema tecnico non permette di godersela al meglio. L’estate, con quel testo che fa venire i brividi, e poi la carica urlata di Germi. Il pubblico inizialmente sembra non essere dei più caldi (forse anche per colpa dei problemi tecnici, appunto), ma con lo scorrere dei brani anche l’adrenalina inizia a circolare e chi sta davanti al palco non può fare altro che assorbire l’energia di chi sta sopra. “C’è qualcosa dentro di me / Che è sbagliato / E non ha limiti”. L’unica cosa che non ha limiti è la voglia di musica, la voglia di stare sotto QUEL palco. La sottile linea bianca, con il suo assolo che toglie il fiato, Ballata per la mia piccola iena sono brani che mostrano lo spirito degli Afterhours, una band che riesce a trasmettere energia ogni volta che suona e che si dona completamente al pubblico come solo chi da più di vent’anni ci mette l’anima in quello che fa. Un paio di brani tratti dall’ultimo lavoro in studio, I milanesi ammazzano il sabato (E’ solo febbre e Pochi istanti nella lavatrice), fanno la loro comparsa in una scaletta che spazia attraverso i pezzi più conosciuti della band per poi toccare anche alcune chicche che live non si sentivano da un po’. La band è impeccabile. Xavier Irriondo, ormai rientrato a pieno titolo, è un vero animale da palcoscenico: i suoni che riesce a sprigionare dalla sua chitarra sono stilettate che colpiscono duro il pubblico. Il battito furioso di Giorgio Prette e il modo coreografico di stare sul palco di Roberto Dell’Era sono elementi ai quali non si può più rinunciare, così come la preziosa chitarra di Giorgio Ciccarelli. “Cadere all’ingiù, vedere da lì/ Le cose al contrario su te”: Bungee Jumping, con il violino di Rodrigo D’Erasmo, che arriva impeccabile ad affondare il suo archetto nell’anima di chi ascolta, è una delle tante perle che indossano gli Afterhours. Perle che vengono donate al pubblico che le raccoglie avidamente. Milano circonvallazione esterna, Pop, Siete proprio dei pulcini, Il sangue di Giuda portano dritti verso la conclusione della prima parte del live, che arriva preceduta da una versione mozzafiato di Pelle e da Quello che non c’è. La band lascia il palco, ma il pubblico non si muove e li richiama a gran voce. Così rientrano con un trittico da cardiopalmo: Non si esce vivi dagli anni ’80, Male di miele e Dea. Gli Afterhours regalano uno show intenso ed emozionante e il pubblico risponde gridano e saltando, nonostante le raccomandazioni da parte di Agnelli a non schiacciare chi sta davanti. Un Agnelli davvero in gran forma, stranamente comunicativo, con tanta voglia di divertire e divertirsi. Arriva il momento di Bye Bye Bombay, durante la quale la band si fa accompagnare da Stefano Pilia dei Massimo Volume, dopo di che la band saluta. Pochi minuti e Manuel sale sul palco accompagnato da Rodrigo D’Erasmo per regalarci una versione acustica della splendida Bianca. “Io voglio far qualcosa che serva” (Il paese è reale): forse essere stati al Fuori Orario è servito per avere la riprova che gli Afterhours sono l’unica rock band in Italia ancora in grado di stupire, di lasciare il pubblico attonito davanti a tutta l’energia che riescono a sprigionare. Una band compatta, che sul palco si muove all’unisono. Sei musicisti che per due ore si fondono in un corpo unico regalando sensazioni indescrivibili. Ci sono molti modi arriva a chiudere il concerto. La band abbandona per l’ennesima volta il palco e, ancora una volta, il pubblico non si muove, non ne vuole sapere di andarsene, non vuole lasciarli andare via. E così tornano per Voglio una pelle splendida e un finale pieno di ringraziamenti.
Gli Afterhours hanno dimostrato ancora una volta di essere unici. Se è vero che God is sound, allora gli Afterhours sono la musica rock più vicina al divino che si possa immaginare! (Foto di Emanuele Gessi)
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