Al suo quarto album Paolo Saporiti sembra voler cambiare direzione, cercare un’altra strada che lo allontani da quella un po’ stretta e forse troppo affollata dei cantautori intimisti, eredi di Nick Drake e Damien Rice.
Probabilmente messo di fronte all’ultimo ricatto ha deciso di cambiare corso. Probabilmente ha sentito che le sue iniziali intenzioni, il suo modo di fare musica, di intenderla, stavano diventando una sorta di gabbia.
Nell’intraprendere il nuovo percorso sceglie di farsi accompagnare da un musicista che della sperimentazione ha fatto il suo mestiere, Xabier Iriondo, che destabilizza il suono, lo spezza, lo distorce e costringe lo stesso Saporiti a modulare la voce verso accenti diversi.
Inizialmente ci trae in inganno il cantautore milanese, scegliendo un titolo in italiano per questo album e lasciandoci presagire una svolta importante. Ma a dispetto del titolo le canzoni sono tutte rigorosamente in inglese, lingua che si adatta perfettamente alle sfumature calde e profonde della voce di Saporiti.
Io non parlerei però per L’ultimo ricatto di un cambiamento radicale, di una rivoluzione sonora, perché se da un lato l’impronta di Iriondo, la scelta di circondarsi di più strumenti musicali nella produzione del disco, arricchiscono sicuramente il sound di Paolo Saporiti, la sua anima rimane invariata. C’è qualcosa di profondamente intimo e personale nei suoi dischi che li rende inconfondibili al di là del vestito armonico che sceglie di indossare. La sensazione che ti lascia addosso è quella di un colloquio intenso e sincero, un mettersi a nudo che inevitabilmente ti scava dentro… Messo di fronte a tanta sincerità, finisci per sentirti un po’ nudo pure tu, un po’ più fragile.
Più che un cambiamento, direi che c’è un arricchimento, un’apertura. Come se quel colloquio con fosse più tra due persone, ma tra più individui. La poesia diventa romanzo, narrazione. E ogni strumento musicale diventa mezzo di quella narrazione.
Il percorso musicale del cantante milanese trova in questo disco una sorta di punto di raccolta. C’è l’esperienza dei Don Quibol in canzoni come War (need to be scared), brano nervoso, inquieto, incalzante oppure in We’re the fuel dove l’incontro tra la sua chitarra, il violoncello di Zeno Bagaglio, e il sax di Stefano Ferrian crea un mix veramente interessante, con un finale quasi jazz. C’è il primissimo Saporiti, quello di The restless fall. Dolce e malinconico in Sweet liberty. Ma proprio rispetto agli esordi qui c’è l’inserimento del noise, del rumore vero e proprio che ci destabilizza e ci incuriosisce. Come in Sad Love/bad love, dove il ritmo cadenzato del folk semi-puro di chitarra e voce (e qui al posto della chitarra c’è il banjo), viene rotto dal noise che penetra nel brano, distorcendolo al punto che esso si spezza, interrompendosi bruscamente. Anche in Never look back le incursioni elettriche di Iriondo sono una sorpresa inaspettata… Improvvise, rompono il ritmo del racconto sonoro che riprende in un ritornello molto melodico, positivo. È uno dei momenti migliori del disco, quello in cui il passato e il presente del cantautore milanese si incontrano delineando la via del futuro. Il folk e il jazz si mescolano in The time is gone, brano molto nero, molto americano. Il disco si chiude con F.R.I.P.P. e a questo punto è abbastanza difficile non commuoversi… La voce di Saporiti è sussurrata quasi parlata sia nel cantato che nel controcanto ed è un suono dolcissimo che ti culla.
Seguo Paolo Saporiti da molto tempo e credo che questo sia il suo lavoro migliore. Maturo, pieno, ispirato.
Credits
Label: OrangeHomeRecord – 2012
Line-up: Paolo Saporiti
Tracklist:
- Deep in the water
- War (need to be scared)
- I’ll fall asleep
- Sweet liberty
- Toys
- Stolen Fire
- Never look back
- The time is gone
- In the mud
- Sad love/bad love
- F.R.I.P.P
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Sweet liberty – Streaming
Paolo Saporiti – l’ultimo ricatto – Sweet liberty by OrangeHomeRecords