Ho sempre avuto una certa predisposizione per le persone dal “ciuffo”, inteso come taglio di capelli. Non mi riferisco alla frangia, badate bene, ma a quei ciuffi lucidi, fluenti e vaporosi che sembrano creati appositamente per intersecarsi a misura con le dita della propria mano, in un eterno gioco di “copro occhio” – “torno sulla fronte”. Probabilmente la mia predisposizione è dettata anche da una certa percentuale di invidia dato che la mia riccioluta conformazione tricotica mi impedisce tale velleità stilistica, ma tant’è che le persone ciuffate e le loro mani-pettine, riescono spesso a colpirmi. L’elucubrazione da salone di coiffeur di cui sopra era inevitabile che mi nascesse sotto il palco del Bronson, Madonna dell’Alber (Ravenna), durante il concerto di Dente e del suo ciuffo, un sig. Ciuffo per la precisione.
Dente all’anagrafe è Giuseppe Peveri, cantautore di Fidenza dalla erre arrotolata, con 5 album in valigia; l’ultimo, Almanacco del giorno prima, uscito nel gennaio del 2014 per RCA Records, lo ha visto prima in una serie di live nei teatri, adesso il Grand band epilogo tour tocca locali e club.
Il Bronson è affollato; il pubblico femminile, ciuffo addicted, è numeroso, ma non è unico; Dente infatti con gli anni ha acquisito riconoscimenti e credibilità generalizzata, che non si ferma più soltanto ad un pubblico teen friendly, ma spazia tra età, stazze e caratteristiche diverse.
Il cantautorato Dentesco (concedetemelo, siamo a Ravenna) è composto da linee morbide, molodiche e romantiche, con quella semplicità rassicurante che riesce a farti volare via con la mente mentre lo ascolti, anche se analizzando i testi, ironia, finezza compositiva e disincanto son sempre lì, pronti, a farti visita (“che begli occhi che hai, chissà come mi vedi bene”, per citare una passaggio di esempio).
Un’ora e mezza di pezzi vecchi e nuovi; sul palco ci sono 7 elementi, di cui 3 fiati (sax, tromba e flauto traverso), che riempiono e orlano, raffinando brani come A me piace lei, Buon Appetito e Chiuso dall’interno. La voce non è sempre perfetta ma l’atmosfera e le sinergie che si creano nella performance dipingono un quadro piacevolmente rotondo, pulito e semplice, nell’accezione buona del termine. Semplicità rispecchiata anche dall’allestimento del palco: luci essenziali, le più essenziali in assoluto; lampadine classiche montate su supporti di metallo, per ricreare un’atmosfera d’intima quotidianità.
Dente interagisce con il pubblico, si prende le sue pause tra un brano e l’altro, in cui dialoga e ironizza, come da tradizione di certi cantautori emiliani. Purtroppo l’audio non è dei migliori; il pubblico è rumoroso, e spesso le sonorità si confondono con grida e rimbombi, ma a questo, noi popolo del live, siamo fin troppo abituati.
Un concerto piacevole, e piacevolmente allestito, in cui abbandonarsi e farsi cullare con serenità come in una nenia fluttuante ed avvolgente. Non ci sono colpi di scena, i beats, passando da Invece tu, Da Varese a quel paese, Baby Building, rimangono pressochè invariati dall’inizio alla fine, le melodie si accavallano ma è questo il cantautorato di Dente, leggero, nell’accezione 60s del termine, quanto meticoloso. Questo è il cantautorato di Dente e del suo Ciuffo.
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