Home / Recensioni / Album / Direction Zappa – Daniele Sepe

Direction Zappa – Daniele Sepe

Daniele Sepe - Direction ZAPPADaniele Sepe lo avevamo intervistato lo scorso primo maggio e dopo oltre un anno di pandemia l’analisi che facemmo non è migliorata di una virgola, anzi, il settore della musica dal vivo continua ad essere tra i più colpiti, senza che si profili all’orizzonte una soluzione o almeno un diverso modo di affrontare il problema. Così mentre le catene di montaggio e di vendita dei beni di consumo continuano a restare aperte, come pure i luoghi di culto, i concerti restano vietati sine die, relegati e compressi in carrozzoni mediatici in cui la musica è poco più di un accessorio e le novità che pure si affiancano a vecchie glorie imbolsite vi giungono non perché capaci di imporsi all’attenzione del pubblico, ma solo per un meccanismo di cooptazione dall’alto, circostanza che ahimé stronca sul nascere ogni velleità rivoluzionaria. Esattamente all’opposto di quanto si propone di fare Sepe con questo generoso concerto tributo al genio di Frank Zappa, tenutosi al Festival “Ai Confini Tra Sardegna E Jazz” nell’estate del 2016, che non a caso, dopo una esilarante presentazione della band (a ciascuno dei componenti viene conferito il titolo di “uomo d’onore”) sulle note di Amò, si apre con la ruvida dichiarazione anarchica di Jimi Hendrix, If six was nine, “If all the hippies cut off all their hair/ I don’t care, I don’t care/Dig, cause I got my own world to live through/ And I ain’t going to copy you“. È proprio questo brano che ha fatto conoscere Dean Bowman e Joe Cristiano a Daniele, che li ascoltò per caso mentre lo provavano per un concerto in piazza a Napoli, dando il via a una collaborazione confluita nell’album Woodoo Miles (2016). Esclusa a priori la possibilità di provare a replicare l’arrangiamento di Hendrix, che sarebbe risultato in ogni caso una copia sbiadita, l’hard blues della prima parte si dilata in una jam jazzata che abolisce la coda lisergica, puntando sul timbro densamente black e grosso di Bowman, che si lancia in acuti vibrati alla Demetrio Stratos, e sulla chitarra misurata e rispettosa di Joe Cristiano, con le incursioni del sax di Sepe e della tastiera liquida di Tommy De Paola (la formazione è completata dal fidato Davide Costagliola al basso e dal grande Hamid Drake alla batteria, che abbiamo incrociato nell’album The cat with the hat). Lo stesso approccio di rilettura fluida è tenuto naturalmente anche nei confronti dell’omaggiato Zappa, evitando con cura riproposizioni pedisseque, cercando piuttosto di emulare lo spirito delle multiformi e ben documentate versioni live offerte dal geniale compositore italo americano. Lo stesso Sepe dichiara nelle note di copertina “Zappa ho avuto la fortuna di ascoltarlo dal vivo, nel suo tour italiano del 1982. Ricordo una band incredibile, tre scalette diverse di due ore ognuna, e la cosa che mi impressionò era il maestro concertatore, che nel bel mezzo di un brano, poniamo a 164 Bpm, quando avvertiva che era ora di cambiare musica, saltava in aria insieme alla sua chitarra e quando toccava terra partiva un altro brano, ad un altro Bpm, come se fosse la cosa più semplice e naturale di questo mondo“. Un amore che attraversa da allora tutta la produzione del musicista partenopeo, che aveva già partecipato a un primo gustoso tributo al personaggio Zappa nel 2006 con The Perfect Stranger. Frank Zappa, concerto-spettacolo in collaborazione con Teatro Segreto e Scatola Sonora. Ma lì c’era forse un eccesso di verbosità, mentre è la musica che dovrebbe parlare, come avvenuto finalmente in questo progetto dal vivo, che si allarga, come visto, a una serie di episodi che definiscono il clima culturale in cui fiorirono le Mothers of Invention e le mille variazioni sul tema messe in piedi da Zappa nel decennio successivo, con un occhio di riguardo al jazz che lo influenzò: il Mingus di Fable of Faubus o il Davis di In a silent way, fino al Charlie Haden di Song for Che, tutti capolavori nel repertorio usuale di Sepe in studio e dal vivo. Così, mentre Sofa #2 deve molto al sax di Brecker e l’inquietante funk politico di I’m the slime si dilata in raffinata improvvisazione, Ho No è forse la performance più zappiana dell’album. Dal solo impastato della chitarra di Cristiano al moog quasi prog di De Paola, al sax free di Sepe che va in collisione con la battaria di Drake in un finale di bizzarri e inaspettati cambi di tempo (ma già la struttura complessa della ballad alterna 4/4 e 3/4, con incluse due battute di 7/8) che finiscono quasi per caso in un estemporaneo omaggio a Nino Rota e Le manine di primavera composte per Amarcord di Fellini, divagando come persi nei più piacevoli dei ricordi fino a trovare il tema di King Kong, tra i più celebri brani di Zappa, che concludeva coi suoi 18 minuti l’ultima facciata di Uncle Meat (1969). Da un simile caleidoscopio non deve sorprendere che venga fuori un’improvvisazione afro basata sul tradizionale Ochun che si delinea alla perfezione sulle roche e possenti note cui dà fiato Dean Bowman, guidando l’ensemble dalla Nigeria ai Caraibi. Un saggio di bravura è offerto da De Paola nella colta introduzione al piano di America drink, di cui la band reinterpreta al meglio, inscenandolo con estrema leggerezza, quel morbido jazz da cocktail che metteva in ridicolo le ipocrisie dei radical chic, offrendo l’ennesimo volto della versatilità vocale di Bowman: un terso nitore che ricorda il Candido di Voltaire. In Peaches en regalia è finalmente Joe Cristiano, cui spetta di certo il compito più arduo dell’intera performance, a concedersi un lungo affondo che dal funky iniziale s’infervora in una sfuriata rovente degna del miglior Zappa; trama di cui raccoglie il filo il moog di De Paola richiamando ancora Hendrix con citazioni di Voodoo Chile e agganciandosi al ritmo sincopato delle tastiere di George Duke, asse portante di una delle fasi di Zappa maggiormente presenti in questo live. Una serata all’insegna della libera improvvisazione, come dimostra la lunga sequenza che prende le mosse dalla spiritualità di In a silent way, passando per il riff rock di Eat that question, da Grand Wazoo (1972), riprendendo Davis col tema di It’s about that time che fornisce il tempo al solo di Drake, come avveniva già nella struttura di Nefertiti, smarrendosi poi nell’inquietudine da thriller di contestazione di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, scomposta in mille rivoli che sarebbero piaciuti a Morricone, ritrovando quasi distrattamente il tema di Eat that question per il rush finale. Ma è solo una meritata pausa perché il combo resta sul palco per una lunga escursione funky con Jazz is Teacher and Funk is Preacher di James “Blood” Ulmer, a mezza strada tra James Brown e Ornette Coleman, col fresco slap di Costagliola, il wah-wah di Cristiano, il ritmo straripante di Drake, le evoluzioni roteanti delle tastiere di De Paola, i vocalizzi di Bowman e il sax di Sepe che porta il free di Ian Underwood in escursione sulle Ande di un Sudamerica che resta il suo versante preferito di quel continente.
Ricordiamo infine che Direction Zappa viene pubblicato a breve distanza dal doppio live in studio Lockdown #1 e Lockdown #2, coi quali sullo scorcio del 2020 aveva dato una prima significativa risposta allo stop prolungato della musica dal vivo. Ed è sicuramente un segno di speranza il fatto che entrambe le iniziative si siano concretizzate con altrettante e ben riuscite campagne di crowfunding. Non tutto è perduto.

Credits

Label: MVM – 2021

Line-up: Dean Bowman (vocals) – Daniele Sepe (saxophones) – Gio Cristiano (electric guitar) – Tommy De Paola (keyboards) – Davide Castigliola (bass) – Hamid Drake (drums)

Tracklist:

    1. Applausi
    2. Amò (Intro)
    3. If 6 was 9
    4. Sofa #2
    5. Song for Che
    6. I’m the slime/So it is
    7. Fables of Faubus
    8. Oh No (F. Zappa)
    9. Le manine di primavera
    10. King Kong
    11. Ochun
    12. American Drinks
    13. Peaches en regalia
    14. In a silent way
    15. Eat that question
    16. It’s about that time
    17. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
    18. Eat that question (Reprise)
    19. Applausi
    20. Jazz is Teacher and funk is preacher

Link: Sito Ufficiale Facebook

Ti potrebbe interessare...

powder_dry_24

Powder Dry – Tim Bowness

Sperimentare, osare al massimo nei dettagli estremi senza mai perdere di vista l’accessibilità “pop” dell’ascoltatore. …

Leave a Reply