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Tra misericordia e strafottenza, il Vangelo secondo Primo

 

Tommaso Primo

A distanza di tre anni dal precedente lavoro, Favola nera, abbiamo incontrato Tommaso Primo che si riaffaccia sulla scena con un disco in uscita il 20 dicembre, anticipato dai tre singoli Jesus Christ Supersayan, Blue angel e Fiori nel Sahara. Ci ha raccontato Vangelo secondo Primo, un album molto diverso dai precedenti ma che lascia intravedere una accurata opera di sintesi dei primi 10 anni di musica di uno dei cantautori più interessanti del panorama attuale.

Hai dichiarato che questo tuo quarto lavoro ha avuto una genesi molto sofferta, faticosa, e diversa rispetto alle precedenti produzioni. Nello specifico, cosa è cambiato nell’iter che poi ha portato a compimento questo Vangelo Secondo Primo?
Questo è stato il primo disco fatto non da realtà partenopee, quindi non dalla piccola discografia napoletana, ma dalla discografia milanese, da The Warner Music Italy, da Trigger, che è una società milanese. La prima parte del disco è stata fatta e prodotta da Gianmarco Grande, mentre la seconda da un producer che si chiama Davide De Blasio. Quindi è stato tutto un disco fatto, scritto, pensato nei treni, nel senso che c’era questo viaggio, che poi è divenuto una tematica costante del disco; Napoli-Milano, Milano-Napoli, ed è stata la prima volta in cui ho avuto una direzione artistica, una direzione grafica, dell’immaginario, dell’arrangiamento ed è stato un nuovo modo di lavorare per me, un nuovo modo che poi praticamente mi sta insegnando tanto e continua ancora oggi. Io dico sempre che si tratta di un disco dettato e guidato dal caos. Il caos è una componente importante di questo lavoro perché ogni tanto mi presenta nuovi conti da dover regolare sia dal punto di vista umano, sia dal punto di vista musicale, discografico. Ecco direi che è un disco che rappresenta il viaggio.

E come hai immaginato questo Vangelo? Intendo dire come hai scelto poi i personaggi da imbarcare su quest’arca di Noè intertemporale, per portarli fino ai nostri giorni? Forse Cristo, che hai immaginato così veemente, anche politicamente scorretto, in questo suo manifesto Super Saiyan, non finirebbe in croce, ma probabilmente sarebbe vittima di bullizzazioni reazionarie. Ecco, credi che ai giorni d’oggi questi personaggi sopravviverebbero?
Ma intanto volevo aprire una piccola parentesi sul Cristo, nel senso che è un Gesù Cristo che parla in maniera feroce e reazionaria perché i potenti del mondo sono feroci e reazionari. Quando su Twitter vediamo Trump e Putin e l’altro coglione della Corea del Nord che fanno a gara a chi ha il missile più lungo, che giocano con l’atomica come se fosse il petardo da sparare sotto casa, lì capisci che c’è qualcosa nel mondo che non va. Così come non va il fatto che c’è una parte di potere importante che neghi il cambiamento ecologico e climatico che sta influenzando, secondo me, la natura e l’ecologia. Quindi Gesù Cristo torna in una Napoli che è sempre sotto i riflettori, nelle case popolari, in una Napoli con il maggior tasso di mortalità giovanile per omicidio in Europa e parla ai boss, ai caporione, una cosa che parecchi uomini di sinistra non fanno da tanto tempo. Parla ai potenti del mondo, a Trump, a Putin, ma parla anche a palestinesi e israeliani, ucraini e russi, e parla in maniera cruda, è un po’ come prendere di faccia i mercanti nel tempio.

Tommaso, hai definito Fiori nel Sahara, che è poi l’ultimo singolo uscito prima della pubblicazione del disco che uscirà il 20 dicembre, uno dei pezzi più “carnali” che hai scritto, e fotografa in maniera delicatissima quello spiazzamento che la deriva del mondo attuale può generare proprio sui puri di cuore, come può essere una coppia armata solo del proprio sentimento. Con i venti di guerra che soffiano da ogni parte, con le scale dei bisogni completamente capovolte, quale pensi che possano essere le vie di salvezza per tutti i Giuseppe e le Maria di questo inizio millennio?
Io credo che la tenerezza sia un sentimento molto importante nel mondo. Purtroppo a volte è bistrattato, è poco venerato, nel senso che appare demodé, invece è una cosa molto forte che è presente in ognuno di noi, è una parte delle nostre molecole e dei nostri cromosomi, e ne abbiamo un gran bisogno. C’è sempre questo rimando alla tenerezza dentro di noi, anche nei più duri, perché c’è l’umanità ed è una cosa che non può essere eliminata dall’umanità. Noi tendiamo come società a nasconderla questa cosa e invece volevo suonarne la forza e volevo creare l’analogia con ciò che è stato nel passato, quindi una storia scritta 2000 anni fa e la vedo solo come una storia, non come testo sacro che influenza la nostra morale e la nostra etica, ma solo come una storia d’amore. E’ quello che potrebbe succedere oggi, due innamorati che decidono di costruire insieme una casa, un futuro, un ambiente accogliente e poi arriva la follia del mondo a distruggere quelle conquiste con l’economia sfrenata, con le guerre, con i missili, con gli aerei che ti svegliano nella notte. No so dire se la tenerezza sia ancora una risposta forte però è la cosa che dovremmo far vedere a chi decide di ridurre il mondo così. Penso ai potenti del mondo, ecco il mio riferimento al re Erode, che è un po’ simile a un qualsiasi potente del mondo di oggi, a ribadire che le cose non sono cambiate dopo 2000 anni. Probabilmente il libro è diventato sacro proprio perché tocca determinati aspetti della natura umana, però penso che ci sono sempre delle vittime e dei carnefici e credo che nella vita non sia bello essere vittima, perché so cosa significa avere la testa sul cuscino e non riuscire dormire. Conosco quella sensazione, volevo che ci fosse un’empatia con l’ascoltatore a creare il filo della tenerezza che ci unisce tutti.

Tommaso, la tua cifra stilistica è contraddistinta da uno sguardo molto attento ed endogeno sulle dinamiche della nostra terra e della nostra gente soprattutto, che riesci sempre ad inquadrare con poesia, con un occhio critico e, quando necessario, con un invito al cambiamento, come anche in Alchemica preghiera d’amore, ad esempio. Ecco, se tu dovessi scegliere un aspetto del nostro vivere partenopeo, una caratteristica che proprio non riesci a tollerare?
Sicuramente la strafottenza. Sembra quasi che questa città non appartenga a noi, capisci? C’è una fascia di popolazione, e lo dico prendendomi tutte le responsabilità di quello che dico, che è molto simile alla plebe. La critica fa male quando lo dicono gli altri. Purtroppo dobbiamo fare una grande constatazione. C’è uno strato della popolazione che, vittima della questione meridionale centenaria, purtroppo vive senza un’educazione civica ed è una cosa che mi preoccupa. Se tu scendi in strada a Napoli il sabato sera, al Largo Sermoneta, a via Marina, a via Acton, vedi delle scene che sono inconsuete, vedi una patina, una sorta di fenomenologia camorristica, non solo camorrista; c’è l’imitazione di un modo di essere, di uno status, dell’essere guappo, e purtroppo non si limita soltanto all’imitazione, ma anche a un qualcosa che è entrata prepotentemente all’interno del nostro DNA, o meglio nel DNA di una fascia di popolazione e questo lo si deve al fatto che c’è una propaganda di una certa cultura. È una situazione molto complessa, è come se fosse una città in cancrena.

Mentre invece una caratteristica a cui non rinunceresti, a cui sei affezionato del tuo essere napoletano?
La misericordia. Noi ci aspettiamo sempre misericordia: dai santi, da Dio, chiediamo al Santo due miracoli all’anno, poi c’è anche quell’altra santa che fa i miracoli… chiediamo a Dio le cose più futili, di vincere la bolletta, di far vincere il Napoli, e invece dovremmo chiedere altro. Però ci aspettiamo sempre misericordia e mi piace pensare che è un qualcosa che, se ne avessimo la possibilità e la capacità, offriremmo agli altri; credo che ci sia in giro tanta cazzimma, ma non credo che in verità appartenga sul serio a questo popolo, però la conosciamo bene. Fortunatamente c’è la misericordia, che invece è avere una continua empatia per il prossimo e questa è una cosa che non ho rivisto spesso in altri mondi.

Rispetto invece al precedente Favola Nera, che secondo me conteneva vette di assoluta poesia, come Cavalleggeri è New York nella testa di Laura oppure Allora rivederci ciao, ritieni che ci siano dei punti di contatto con quel lavoro? Qui, ad esempio, la Maddalena sembra completare in maniera più matura forse, l’affresco che avevi avviato con toni più sarcastici, se vogliamo, con la Madonna Nera. Così come Mamma Sole sembra quasi affacciarsi sui balconi di Vico Pace
Questo disco arriva anche dopo dieci anni che faccio musica, è un po’ un re-cap di tutto quello che sono stato, quindi c’è la modernità di 3103, c’è sempre il concept album, c’è il singolo forte come Blue Angel. Anche Cavalleggeri ci ha messo del tempo a carburare, invece Blue Angel viaggia con algoritmi alti. Sicuramente c’è anche Favola nera in Maddalena e Mamma sole, sì, c’è un po’ tutto dei miei dischi in Vangelo secondo Primo; oltre alla spiritualità c’è proprio un sacro ed un profano che si mischiano anche alla mia storia. Maddalena è un racconto che poteva stare assolutamente all’interno di Favola nera così come Mamma sole che parla di una donna dei quartieri che è esistita davvero. Nei miei viaggi ho incontrato una Mamma sole che quando c’erano gli americani a Napoli era madre di otto figli, l’ottavo si chiamava Ottavio appunto, non tutti suoi tra l’altro, quando l’opinione pubblica le chiede se è santa o puttana lei risponde “so’ femmena ‘e core come l’umanità”, e questa è una cosa che mi ha spronato a scrivere questa canzone. L’ho voluta mettere non in Favola Nera ma in Vangelo secondo Primo perché credo che ci sia un qualcosa del nostro scherzare con il sacro e col profano, dargli il nome della madonna, mamma sole, una cosa tipica del clericalismo quasi pagano dell’entroterra napoletano, ho voluto dipingere questa donna che secondo me rappresenta il cristianesimo più di qualunque altra.

Tommaso, in E suonne canti dicendoci che “i sogni sono come barche in mezzo al cielo per noi marinai”. Parlami di un sogno che hai realizzato e di uno che ancora invece ancora si trova nel cassetto.
Un sogno che ho realizzato è molto tangibile. Ho comprato la casa di mia nonna, una promessa che le avevo fatto e l’ho potuta mantenere soltanto quando la nonna non c’era più. Mia nonna è sempre stata una donna molto sveglia, ha sempre lavorato tra gli scogli del posto dove sono nato ed è stata incredibile fino a 70 anni, quasi 80, una donna che non si è mai stancata, però nell’ultimo periodo aveva perso un po’ colpi ed allora io le dicevo “nonna la prenderò questa casa ma non come dici tu, ma come dico io”, e l’ho presa. Ho comprato casa di nonna però adesso vorrei “aggiustare” la mia e poterlo fare attraverso la musica, cose tangibili. Parliamo sempre di utopia, ma ogni tanto dovremmo anche parlare di stabilità, di sistema economico e di sistema sociale.

Tommaso, invece in Giuda racconti di questa grande sete di oro, dell’ambizione corrosiva e della smania di possesso che oggi è sempre più presente, specie nelle nuove generazioni, spesso inebetite da cantantucoli dalle milionate di visualizzazioni, o peggio ancora di streaming. Secondo te cos’è che è andato storto in questi ultimi vent’anni per portare a questa clamorosa deriva del gusto e delle ambizioni?
La società e l’umanità. Se a questi ragazzi viene fatto passare il messaggio che l’unico valore è poter comprare delle scarpe, delle case, delle automobili, crederanno che il successo sia solo quello. Ma poi vedo persone comuni come mio fratello che fa il cuoco e che si fa un culo tanto, dalle 5 del pomeriggio alle 2-3 di notte perché non c’è un salario minimo garantito, quando nel sud Italia non c’è neanche una regolamentazione sugli orari di lavoro come a Londra. Immagina dei ragazzi che vengono dalla periferia e si ritrovano con tutti quei soldi in tasca. Io ne conosco tanti, anche di abbastanza famosi, ed a cui voglio un bene dell’anima. Gli dico sempre: guagliù non date adito ad una certa economia di entrare nelle vostre tasche, nei vostri posti e nei vostri spazi, allontanatevi da certe cose, sappiate che il successo non è soltanto quello che ti consente di comprare una giacca di Ralph Lauren, dico un brand che potrei usare io che sono vecchio (ride) o la scarpa Balenciaga, dico loro che il successo è un altro tipo di cosa. Io penso che tutto questo consumismo che ci aggredisce sia una grande rovina anche perché diventa brulicante. Ad esempio io alle volte prendo un panino e vado in zone inusuali come Licola, è il mio modo di stare bene, ma mi rendo conto che così talvolta appaio come il pazzo del quartiere. Loro invece stanno bene così, la domenica da Ikea o nei centri commerciali; questo siamo diventati, schiavi del consumo bulimico, ma c’è davvero tutto questo bisogno di buttare e ricomprare?

Tommaso, l’ultimo disco che ti ha particolarmente emozionato?
Mi è piaciuto molto un disco di Alessio Bondì, che è un cantatore siciliano che fa folk. Si chiama Runnegghiè, mi è piaciuto tantissimo, credo che vada ascoltato con attenzione.

Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo ricongiungimento con il pubblico? Hai già pensato a come strutturare il live per questo riabbracciarsi, tenendo conto che gli spazi, soprattutto a Sud, sono sempre più limitati e limitanti?
Un live senza barriere, mi piacerebbe questa cosa qui. Senza barriere, avere modo di parlare, discutere, suonare insieme, cantare. Soprattutto, un ritorno nei club, perché sento di appartenere alla generazione che ha portato di nuovo la canzone d’autore nei club. Ero un ragazzino quando l’ho fatto, avevo 20/25 anni e lo voglio rifare molto volentieri, mi assumo tutta la responsabilità insieme ai locali, ai posti, perché fortunatamente c’è sempre stata grande passione dal punto di vista del pubblico, però mi rendo conto che ci sono progetti un po’ più piccolini a cui è completamente mancato il terreno sotto i piedi. Vedo degli artisti che ancora fanno concerti in quei tre posti che gli danno lo spazio per suonare. E’ cambiata la situazione anche rispetto a 7 anni fa, la cultura della musica dal vivo è venuta un po’ meno, ci avevamo messo tanto per farla ritornare e poi è successo che con la scomparsa di un certo tipo di cultura quel pubblico che si era generato si sta allontanando. Adesso preferiscono un po’ di basi e cantare, è tutto molto diverso, quindi anche nel mondo trap e rap, io benedico i ragazzi che decidono di affiancarsi ad una band, perché altrimenti questa cosa sparirebbe del tutto.

Tommaso, un’ultima domanda. Il coraggio di cambiare paradigma non ti è mai mancato, anche a rischio di spiazzare la fanbase, che comunque è rimasta compatta nel corso degli anni, riuscendo sempre a leggere la qualità e la profondità di quello che scrivi. Come diceva Camus, posto che esiste la bellezza e che esistono gli oppressi, l’ambizione dovrebbe essere quella di vivere rimanendo il più possibile fedele ad entrambi. E tu anche stavolta sei riuscito nella missione. Ecco, cosa ti aspetti da questo disco, o meglio, cosa ti auguri come risposta del pubblico alla lettura di questo Vangelo? Hai già un primo feedback ?
Fortunatamente il pubblico sta rispondendo molto bene, e non era così scontato. Si ha sempre un po’ paura di fare un disco “rivoluzionario”, io poi sono rimasto bruciato da 3103 che però poi è stato capito dopo; aveva per certi versi anticipato ciò che sarebbe accaduto negli anni successivi, quindi quel disco è stato riscoperto proprio perché la gente è andata a riascoltare e diceva cazzo, era tutto scritto in questa cosa. Spero che si mantenga l’emozione che la gente sta avendo per queste tre canzoni già uscite ed anche per il resto del disco, so che ci sono delle canzoni che piacciono tanto e ce ne sono altre che piacciono tanto a me, quindi dovranno subire anche quelle (ride).

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