Intervistare Paolo è viaggiare verso se stessi. E’ vero. E’ così. E’ indagare l’artista e l’uomo. E’ indagare se stessi, inevitabilmente dopo. E’ rivolgersi le stesse domande e trovare una comunione di risposte. L’uscita dell’ep 500 è l’espediente per incontrare nuovamente Paolo Benvegnù e rivisitare insieme il percorso che lo ha condotto a quest’ultima produzione. E’ appena terminato il concerto dei Proiettili Buoni al Viper di Firenze e Paolo si concede con la gentilezza che lo contraddistingue. Sembriamo un ritaglio di spazio in una coltre di fumo: intorno a noi la confusione di un backstage popolato. Si mangia. Si parla. Si ride. Si beve. Si fuma. Un luogo all’apparenza normale. Un contenitore di inesauribile incanto e meraviglia per me che ascolto e apprendo e custodisco parole sagge. Una lunga intervista per le nostre autostrade perdute. Uno scambio, in cui c’è tutto da prendere e assorbire, con estrema semplicità. Per restituire tutto a chi sceglie di ascoltare e capire. (500 è in streaming autorizzato; foto di Emanuele Gessi e Serena Remondini)
Questo dialogo è per me emotivamente impegnativo per intensità e coinvolgimento.
Lo è anche per me, lo sai. E’ drammatico, quasi tragico.
Uso le tue Parole come guida e come meta.
Sì. Perfetto.
“Possibile che mentre dominiamo tutto, ricostruiamo tutto e distruggiamo tutto” (Il sentimento delle cose). “Fa che tutto sia impossibile da dominare” (1784). “Non era un sogno, è tutto ciò che devi conquistare” (500). Il dominio e la conquista e il contesto metaforico che richiamano sono temi ricorrenti nella tua scrittura. Eppure riesci a scontornarne sempre il senso e la definizione. Come ti poni tu, come musicista, autore e come uomo, in rapporto a queste parole e al significato che gli dai di volta in volta?
Brava, di volta in volta. All’inizio l’idea del dominio e della conquista era proprio da uomo. La mia era una considerazione da uomo: conquistare e dominare sempre. Poi ho scoperto che non si può dominare nulla e dopo sono andato addirittura oltre, purtroppo. Purtroppo. Ho capito che non c’è nulla da perdere e non c’è nulla da conquistare. In realtà c’è solo da conquistar-si. Stare verso l’esterno, perché non c’è niente da perdere né da vincere. E’ necessario però conquistarsi, perché se non si conquista se stessi, non si è. Semplicemente. E negli ultimi tempi ho scritto pezzi che non sono.
“Non hai sentito questa notte i passi di tuo padre danzarti nelle vene… Non hai sentito questa notte le mani di tuo figlio accarezzare”. Non sei mai fermo nell’istante. O meglio, di quell’istante ne riconosci sempre l’origine e il suo frutto in un concatenarsi di eventi che paiono sempre così logici e necessari. Sbaglio?
Non sono logici. Necessari sì. Logici no. Non c’è nulla di logico nella nascita, nella vita, nello scopare, nel fare un figlio, nel concepirlo. Non c’è niente di logico. E’ tutto assolutamente organico. E’ un terremoto. Non può essere logico perché è completamente irrazionale ed è questo il senso. 500 per me è il pezzo più bello che abbia mai scritto in tutta la mia vita. Ed è un punto cardine. Probabilmente per me è il pezzo definitivo. Avrò difficoltà a scrivere altre cose. E’ tutto quello che volevo dire. E’ tutto quello che ho capito nella vita. Essere consapevoli di noi. Da dove veniamo. Dove siamo e dove andremo. Anche se questa è una sintesi davvero troppo resecata, perché non riesco a concentrarmi, è proprio questo il senso.
Le Labbra raccontava la fallibilità dell’uomo di fronte all’Assoluto. In 500 l’uomo è risoluto, determinato, forse meno incondizionato. La donna invece vive ancora le stesse attese di ieri. Una sorta di inversione di ruoli nel gioco dell’Amore.
L’inversione dei ruoli. Da un lato è vero, ma nel senso che io sono una donna che attende. Io sono una madre che aspetta di concepire. Il vero problema del mondo e nello specifico dell’Italia è che c’è troppa noia e le persone non riescono più ad esprimersi e ad esprimere le proprie potenzialità. Questa è la vera attesa. E non è né maschile né femminile. Per quanto riguarda i giochi di ruolo, 500 è la fine della mia educazione sentimentale. In senso strettamente personale e al tempo stesso di questo progetto: abbiamo parlato d’amore e ne abbiamo parlato in maniera struggente, adesso basta. E’ finita. L’amore c’è, esiste, ed è bellissimo, ma sono andato oltre alla concezione di amore che dà tormento. Non ha senso per me, è troppo riduttivo perché sia vero. E’ troppo riduttivo: l’amore è un’altra cosa.
E allo stesso modo si invertono i contenuti. Il movimento, il viaggio, il divenire lasciano il posto alla stabilità e all’esigenza di questa. La terra è pazza ma è un porto sicuro. Nel mare c’è lei, ma nella sua vulnerabilità, nel suo continuo mostrarsi diversa da sé, l’acqua è simbolo di estrema fragilità.
Può darsi. Invece il senso che io gli avevo dato è che se tu scavi la terra, sotto c’è vita. La terra è brulicante vita. Il mare potrebbe essere la stessa cosa ma è pieno di ciò che l’uomo proietta sul mare. Prova a pensare alle saghe dei marinai. E’ una speranza. Semplicemente il mare indica speranza. L’ho capito dopo tanti anni che per me il mare è speranza. Perciò la terra è pazza di vita, il mare no. Il mare è per l’uomo la felicità quando lo si raggiunge, quando lo si solca davvero. Quando lo si conosce. Quando lo si subisce e lo si domina. Ma è il dominio della propria paura, non della paura del mare. Si può avere paura verso qualsiasi cosa, ma non del mare.
La stessa metamorfosi avviene a livello strettamente musicale. Se Le Labbra altro non erano che 11 momenti dinamicamente differenti, l’ep 500 da questo punto di vista è più insistente verso una certa direzione strumentale. Gli arrangiamenti sono più irruenti nell’accompagnare la forza dei testi. Questo non si traduce però mai in suoni duri, anzi.
Sì, è vero. E’ proprio così.
La dolcezza resta sempre una delle chiavi con cui apri il tuo mondo verso l’esterno. Che cos’è per te la dolcezza?
La dolcezza. Eh… La dolcezza è abbracciarsi. È svegliarsi la mattina, ri-svegliarsi. Ed essere felice. Dolcezza è un termine edulcorato. La dolcezza è protezione. Protezione e risveglio di felicità. Se non c’è questo, non c’è dolcezza e non c’è vita. La vita è un eterno scontro. E la vita non è uno scontro; la vita è incontro. E se non si capisce questo si è idioti. Ma non l’idiozia di chi non può capire nulla. E’ l’idiozia di chi sceglie di non capire nulla. E’ terribile, è la peggiore delle idiozie. E’ stupidità. E’ la mancanza di coraggio. Siamo sempre lì. Gli uomini mancano di coraggio. Gli Italiani in particolare.
Ho trovato il cuore di 500 in 75 giorni e precisamente nella seguente frase: “tutto è irraggiungibile nella Bellezza”. Ho sempre creduto il contrario. La disillusione che si cela dietro queste parole mi colpisce molto. Me ne parli?
È il contrario. È proprio l’illusione. Tutto è irraggiungibile: è tutto talmente bello che non lo puoi descrivere. Appena trovi la cosa che sembra essere la più stupenda del mondo, muta. È mutazione e varia. E varia in continuazione. E perciò la bellezza è irraggiungibile in questo senso. La chiave vera è però nella seconda parte del pezzo, dove tutto è possibile. Tutto è possibile, basta volerlo. Ed è vero. E’ semplice.
Paolo Benvegnù e i numeri. Fin dagli anni degli Scisma hai manifestato un forte interesse per i numeri, come se fossero in grado di esprimersi più delle parole in certi casi. Tu stesso in Marzo 13 poni limiti alla parola. Che ruolo hanno in te numeri e parole?
Le parole spiegano le azioni o le non azioni. I numeri per me sono simboli. Quando gli uomini hanno inventato i numeri gli hanno dato dei simboli ben precisi. Io ho sempre dei numeri davanti. E sono quelli, sono sempre quelli. Li ho usati, si sa. Almeno io li conosco e quei pochi che conoscono le mie parole li conoscono. Questo ep parla di un’attesa durata 500 giorni. E’ durata 680 giorni. Sarebbe potuta durare 680 minuti o 5 secondi, non è quello l’importante. L’attesa che all’inizio è incantesimo. E poi, quando l’attesa si protrae in maniera deleteria, è solamente distruzione dell’incantesimo. Succede che uno crede e poi va oltre. Oltre al sentimento. Oltre al sentire. Ed ogni movimento successivo alla fase della disillusione, perché esiste anche questa fase, è un movimento armonico molto semplice. Come prima di attendere.
“Toccami, non c’è più tempo. Guardami, con disincanto. Baciami, come qualcosa da imparare. Tienimi dentro di te. Cancella la velocità e poi senza un solo movimento scagliami lontano.” Richiesta di verità, di realtà. Di gesti pieni di senso, straripanti senso. Pensiero attualissimo e più concreto che mai. Ma personalmente sento ancora essenziale l’urgenza di sognare e abbandonarmi a qualcosa di più contingente. Esistono, secondo te, dei luoghi che ancora lo permettono o è bene adeguarsi alla velocità del giorno?
Ma no. La velocità è una cosa che abbiamo noi. La velocità è nostra. La velocità, come la lentezza, dipende solo da noi. C’è tutto il tempo del mondo. Un infinito tempo. E non è un problema legato a ciò che viviamo. Piuttosto è un problema rispetto a quanto sappiamo che è importante che in quell’istante accada quella cosa. Il desiderio è desiderio quando si realizza in quell’istante. Non può realizzarsi tre anni dopo, altrimenti è semplicemente altro tempo. Ma non sono tempi legati alla società e nemmeno a noi stessi, perché ognuno di noi ha dei tempi in cui decidere di fare o di avere una cosa. Oppure non averla mai. Quella è una richiesta di abbandono. E se davanti ad una richiesta di abbandono, questo abbandono non si realizza, uno va avanti. Si abbandona nell’abbandono. E va oltre.
Nel silenzio era già contenuta in 14-19. Perché riproporla in questo nuovo arrangiamento anche all’interno di 500?
Sono due i motivi. Il primo è semplicemente che Nel silenzio fa parte di questa manciata di canzoni. Così come questo ep parla di una storia precisa, Nel silenzio fa parte di questa storia precisa. L’avevo scritta in maniera quasi preveggente: l’abbiamo rimessa perché si è verificata puntualmente. Il secondo motivo probabilmente è meno interessante, ovvero volevamo inserire un brano con una produzione diversa dalla nostra. Quindi ci siamo messi in gioco e abbiamo scoperto un po’ di cose: in primis che per suonare ad un certo livello bisogna essere bravi a suonare e bravi a cantare. Questa è la vera scoperta, sebbene incidentale.
“Quando l’esistenza sembra l’unica via di fuga matematica” (Superstiti).
Questo è un bellissimo pezzo di Andrea Franchi.
Vivere sempre, ad ogni costo. Questo è il messaggio che un po’ tutta la tua produzione degli ultimi anni sembra voler trasmettere. E’ così?
E’ giustissimo. E’ assolutamente questo. Negare la propria esistenza è il vero peccato mortale. In Superstiti c’è questa volontà di vita a tutti i costi. Per me è stato naturale cantarlo con tutto l’afflato necessario. Io sono un po’ così. Sono una vecchia signora che canta canzoni.
Ad anticipare l’uscita discografica di 500, il tuo coinvolgimento nella compilation voluta dagli Afterhours, Il paese è reale con il brano Io e il mio amore. Già in passato avevi collaborato con Manuel Agnelli ed è fatto noto la stima reciproca che vi lega. Quale significato dai tu al progetto e alla tua stessa partecipazione?
Il paese è reale è una grande restituzione. Manuel e gli Afterhours si sono resi conto che sono un po’ i portacolori di una certa visione della musica italiana. Potevano fare come tutti e prendere quello che potevano prendere dalla loro partecipazione a Sanremo. In realtà, così facendo, non solo hanno meritatamente preso, ma hanno anche restituito alla musica indipendente italiana una possibilità. Ed è una cosa bellissima. Lo avrei detto anche se non avessimo partecipato. Come del resto è stato il Tora Tora: i primi due anni non abbiamo partecipato eppure ho sempre pensato che fosse una cosa bella proprio perché dai la possibilità, a chi ne ha meno, di avere degli interlocutori. Il vero problema degli uomini è avere degli interlocutori. Questo rende questa compilation lodevole. Per quanto riguarda noi, Manuel ci ha chiamato e noi avevamo questo pezzo che dovevamo fare uscire con l’ep. Allo stesso tempo non volevamo bruciarlo su due piedi perché è un pezzo che ci piaceva molto. E’ forse la prima volta che scrivo a partire dal personale: di solito parto sempre dall’universale. Siamo molto contenti di averlo donato. Anche perché in questo momento ho una sorta di rifiuto per i brani in cui capisco qualcosa e stigmatizzo. Non ho il diritto di stigmatizzare niente e nessuno. Semplicemente la vita di ciascuno è la sua vita e non è la mia, ed è bene così.
Personalmente lo trovo uno dei migliori momenti del disco.
Non lo so. Non tocca a noi dirlo. Io trovo che il pezzo di Roberto Angelini sia molto bello. Quello degli Afterhours anche, è una scelta molto coraggiosa. Mi piace tanto anche il pezzo di Amerigo Verardi e Marco Ancona. Bello il pezzo di Marco Parente. La cosa interessante è che in quel disco ci sono molte sfaccettature. E per chi non ha mai sentito la musica indipendente italiana può essere un buon approdo. È un progetto nato diritto ed è andato diritto dove doveva andare.
Sempre parlando di Io e il mio amore. “L’uomo prega Dio, ma preferisce Giuda… L’uomo spara al suo custode e prega l’aguzzino e intanto ispira le perversioni del vicino.” Cos’è? Incoerenza? Insoddisfazione permanente? Una ricerca che non trova mai tregua? O è solo amore ostinato per la diversità che riesce sempre a generare Bellezza?
Non lo so. No. E’ paura, io ne sono convinto. Preferisco l’umanità quando non ha da mangiare. Ad esempio: adesso in Abruzzo c’è una situazione d’emergenza e saranno costretti a dormire in trenta in una tenda. Dopo questa esperienza vedrai che se un giorno ci sarà qualcuno che chiederà loro una mano, loro gliela daranno. Prima probabilmente questa cosa non sarebbe stata possibile. Semplicemente perché hanno paura. E abbiamo paura. Di che cosa, che è tutto perfetto? Abbiamo da mangiare ed è certo, per noi del primo mondo. Abbiamo da vivere con quasi tutte le libertà possibili. Si può opinare su alcuni comportamenti dei governi del primo mondo, ma fondamentalmente siamo liberi. Siamo abbastanza liberi. E allora io dico: perché non vivere questa vita? Perché buttarla via? Perché, scusami il gergo, pisciare la propria vita? Il problema è questo: la paura. In quel pezzo ci si domanda perché si cerca un Messia se poi lo si confonde con colui che lo tradisce. Peraltro, quanto uomo era Giuda? Io sono dalla parte di Giuda per certi versi, per paura. E’ solo per paura. Io non ho davvero più paura di nulla. E questo posso dirlo. Però, mentre diversi anni fa mi ergevo, vedi Suggestionabili, che è un pezzo dove io stigmatizzo, me stesso in primis, ora non stigmatizzo più nessuno. Non ho più voglia di stigmatizzare nessuno. Vivo la mia vita e so come viverla. Per questo spero al prossimo passaggio di scrivere il disco definitivo. Più leggero. Meno profetico. Cosa sono io se non un’accozzaglia di Parole e Sangue, misto a fango che cerca di trovare il senso? Ma un senso non lo ha. Vediamo, è una bella sfida per me cercare di andare oltre. Umanamente sono arrivato. E se riesco ad andare oltre umanamente, allora riesco anche a scrivere diversamente.
Tu, insieme al tuo gruppo, sei sicuramente un artista trasversale. Prezioso nel lirismo. Ricco come musicista. Profondo nel cantato. A tutto questo si somma una dote non indifferente e non comune: l’ironia. Quella intelligente, capace di far ridere di gusto, senza essere eccessiva o offensiva. La dimostrazione plateale di questa è stata recentemente la messa in scena del terzo episodio della serie dedicata ai lavori umili dal titolo Camerieri.
Per noi Camerieri è stato divertentissimo.
Oserei definire quella serata surreale nei contenuti e nel contesto: mai avrei pensato di ritrovarmi e ritrovarvi in una situazione simile. E lo dico assolutamente con il sorriso sulle labbra. Come vivete questo tipo di evento, che sicuramente non appartiene al vostro quotidiano?
Lì è dove viviamo davvero il nostro quotidiano. Quello che siamo noi come entità e come fratellanza. Siamo cinque fratelli che si trovano a tavola e riuniscono cazzate. Questo serve a noi per alleggerirci un po’ da quello che è suonare concerti e a volte dare troppo senso ad ogni piccola cosa. Certo, noi ci divertiamo molto in quel contesto, ma ciò che uno ricorda sono i concerti belli. Ultimamente abbiamo avuto la fortuna di farne tanti: negli ultimi due anni ce ne sono stati almeno una ventina di concerti memorabili, per me personalmente, e non è così semplice. Questo significa che stiamo crescendo o semplicemente che abbiamo trovato insieme dei momenti perfetti per noi. E non è semplice nemmeno trovare il momento perfetto nella vita. C’è gente che si sposa per trovarli, purtroppo, per poi vivere la propria vita senza trovarli mai. Noi da questo punto di vista siamo contenti, è come se ci fossimo sposati diverse volte.
Ancora. Tu fai parte, insieme a Marco Parente, Andrea Franchi e Gionni Dall’Orto, dei Proiettili Buoni, gruppo che voi stessi definite dai minuti contati, ma che in realtà vi sta dando grandi soddisfazioni. Quali sono i vostri prossimi progetti?
Il progetto futuro per i Proiettili Buoni è un altro disco, se Dio vuole. E’ vero che, per certi versi, questa era ed è una band con i minuti contati. Però abbiamo scoperto delle assonanze che probabilmente prima da lontano non vedevamo più. Le avevamo all’inizio quando suonavamo insieme, poi si sono un po’ perse. Personalmente, le vedo queste assonanze. Proprio sul piano strettamente personale, più che musicale, la vivo come una storia d’amore, di quelle che durano anni, mesi, giorni e sono intensissime e poi scompaiono. La situazione dei Proiettili Buoni è un po’ questa: c’è stato un forte innamoramento, poi un distacco e poi di nuovo un innamoramento. E’ bello il fatto di avere una cosa diversa dalle tue caratteristiche. E le caratteristiche sono quelle di assoluta fedeltà, in generale. In particolare sentimentalmente e all’interno dei progetti musicali, che per me poi non sono proprio tanto disgiunti. Per me un progetto artistico è una storia d’amore. Ha dei criteri diversi, meno fisici o anche più fisici, ma la percezione lavora sempre a quel livello lì. Per quanto riguarda il prossimo lavoro si tratta solo di trovare del tempo, essendo noi quattro tutti molto presi. Abbiamo già delle idee: entro un anno speriamo di riuscire. Vedremo cosa succederà.
Per concludere. I Paolo Benvegnù in realtà sono un gruppo, direi decisamente ben assortito. Con l’ironia di cui abbiamo parlato, condivideresti con LostHighways un aneddoto, uno qualsiasi, che vi riguarda da vicino?
Ce ne sarebbero tanti, ma sono troppo triviali per dirli. Ce ne sono almeno un paio assurdi, ma non si può per le persone che coinvolgono. Certo non per me: non credo di avere più nulla da salvare. I Paolo Benvegnù sono una nave di disperati. È una nave di naufraghi. Per dirne uno, è stato carino quando nella rappresentazione di Camerieri a Milano ci siamo messi a ricreare X Factor, mentre di fronte a noi c’era la festa di X Factor. Però non posso dare altre coordinate a riguardo. La cosa bella e divertente è che quando andiamo in giro ce ne succedono di tutti i colori semplicemente perché siamo dei naufraghi, insieme paradossalmente su una barca. È la saga di Ulisse però senza una persona intelligente e pragmatica come Ulisse a capo. Siamo degli sbandati. Siamo degli imbecilli. Siamo Proci, fondamentalmente. Procioni. Sì.
Grazie di cuore Paolo, per la disponibilità e la sensibilità con cui ti lasci avvicinare.
Grazie a te, alla tua sensibilità. E scusate la situazione, la confusione.
Le sacre parole di chi vive senza pelle il mondo. Sono parole che dovrebbero essere tatuate. Paolo è l’arte. Valentina, è una grandissima intervista e questo è accaduto solo grazie alla tua perfetta analisi della poetica di Paolo.
Grazie.
Ascolto sempre col fiato in gola.
Perchè le sue parole raccontano verità.
In un mondo dove è + facile mettere la testa sotto la sabbia.
Siamo dei Superstiti.
Perchè vogliamo ancora Vivere.
Sempre Grazie.
Per avermi insegnato a non aver paura.
Si esce storditi. Un vortice di pensieri, emozioni per un semplice e infinitesimo affaccio su un microcosmo bellissimo che è l’arte di Paolo Benvegnù.
“La velocità, come la lentezza, dipende solo da noi. C’è tutto il tempo del mondo.”
Tra le sue parole trovo sempre qualcosa che mi scuote…