Ai primi di luglio siamo qui a recensire un disco che uscirà il 7 di Settembre. Perchè tutta questa fretta? Perchè parlarne ora se poi il disco lo si potrà acquistare solo al ritorno dalle vacanze? La risposta è semplice: non c’è pericolo che i lettori, una volta arrivato settembre, si siano dimenticati di loro. La band abruzzese colpisce con un sound avvolgente nel proprio terzo album intitolato Tajga, a distanza di due anni dal precedente Erotomania. Nove brani, prodotti e supervisionati dall’esperienza di Amaury Cambuzat (Ulan Bator), trovano spazio in un disco sfornato dalla neonata Acid Cobra Records dello stesso fondatore della band italo-francese. L’amicizia con Cambuzat non è un caso e nel disco dei Marigold si trovano facilmente le affinità: atmosfere cupe, suoni che sembrano provenire dal profondo, accenni di psichedelia e new-wave con piglio moderno. Example de violence apre il disco con quasi sette minuti di ansia che solo poco dopo la metà del brano riesce a prendere forma, sfogando la tensione accumulata. Tundra, più aperta e melodica, respira aria gelida dove il canto distorto e il coro si fondono alla perfezione in un paesaggio spoglio e piatto. I raggi del sole giungono sotto forma di suoni effettati, stranianti. Ben fatta ma senza particolari picchi segue Swallow, forse troppo satura di suoni, perde di incisività nella prova su disco. Eleven years non discosta molto dalla struttura del primo brano: il pathos viene creato a regola d’arte, per poi esplodere nel finale, a differenza di Sin che già dalle prime note risulta più facile all’orecchio. Lenta, delicata, canto chiaro e distinguibile: questa canzone rappresenta il lato “pop” della creatività della band che dimostra di saper comporre musica di qualità anche indossando vesti più immediate. Il brano che dà titolo all’album è probabilmente il più intenso e toccante dell’intero lavoro, con il suo piano e la voce abrasiva e vellutata al contempo che danza su un morbido tappeto elettrico e moderno. Degrees unisce la poesia dark al post-rock: influenze di Cure e Mogwai si fondono trovando nuova vita nel corpo dei Marigold, dissolvendosi nei 51 secondi di Novole. L’elegante composizione di Alone innalza l’animo, sfiorando una leggerezza che cerca ossessivamente ossigeno; disperata, un po’ triste, un po’ fiera, un po’ ingenuamente felice, ma sempre perennemente con un peso che non la fa decollare.
I Marigold in questo disco raramente decollano: l’esplosione, se c’è, è fine a sé stessa, mai la detonazione innesca un movimento e il raggiungimento di una meta. Tajga è un disco dolente, afflitto dalla sua incapacità di volare espressa con suoni talvolta rarefatti, talvolta fin troppo pieni. Dal punto di vista artistico, probabilmente questo è il più grande pregio che l’album offre: la musica trasmette, emoziona, entra nel profondo. D’altro canto, a parte pochi brani, la struttura canzone non è mai usata, e pure musicalmente sono pochi gli appigli per far sì che la mente ricordi, facendo riecheggiare la melodia quando meno lo si aspetta. Questo non è un disco da vacanza, ora pensate a divertirvi sotto il sole: quando ci sarà bisogno di svuotarsi delle frivolezze che l’estate volente o nolente vi avrà propinato, a settembre, i Marigold saranno ben lieti di fare un po’ di pulizia nei vostri luoghi oscuri.
Credits
Label: Acid Cobra/Venus – 2009
Line-up: Marco Campitelli (voce, chitarre, synth, 6 string bass, noises) – Stefano Micolucci (basso) – Giovanni Lanci (batteria e percussioni); con la partecipazione di: Amaury Cambuzat (chitarre, tastiere, vocoder, e-bow, effetti) – Daniele Carretti (piano)
Tracklist:
- Exemple de violence
- Tundra
- Swallow
- Eleven years
- Sin
- Tajga
- Degrees
- Novole
- Alone
Links:Sito Ufficiale,MySpace