Uno spiazzo asfaltato recintato da una rete di filo di ferro. Banchetti che vendono vino buono e a buon prezzo e altri chioschi che servono maccheroni al ragù. Intorno a noi, ragazzi dall’aria allegra si scambiano battute, mentre, da capannelli di gente sparsi sul campo, si leva acre l’odore del fumo.
In alto, la luna osserva e a prima vista sembra indifferente e distratta come la maggior parte degli astanti che assistono al dibattito del giovane Francesco Caruso, il leader dei Disobbedienti, che apre il concerto della Banda Bassotti. Un dibattito pieno di concetti come “organigramma della lotta di classe”, “ riappropriazione della nostra coscienza militante” e altre cose simili, di cui mi chiedo quanti fra i ragazzini brufolosi giunti a Grottaminarda per il concerto, capiscano il senso e il significato.
Caruso invita sul palco la coordinatrice nazionale del movimento ed ecco altri paroloni, altri Marco Biagi, Berlusconi, Cofferati, CGIL e compagnia bella.
I ragazzi sono sempre più storditi dal fumo e dal vino ma alla fine scatta, immancabile, l’applauso.
Dopo l’inizio in sordina di uno sconosciuto gruppo locale di cui, fortuna loro, non ricordo il nome… ecco salire sul palco la tanto attesa Banda Bassotti.
La Banda Bassotti, un’ensamble oramai famosa negli ambienti rock della musica politicamente impegnata e da anni alla ribalta per i loro concerti divertenti e spesso movimentati.
Movimentati spesso drammaticamente a giudicare dagli incidenti scatenati da un gruppo di neo-fascisti, come al solito stupidi e violenti, al loro concerto di Roma tenutosi a giugno a Villa Ada.
Qui al CSA GrottaKapovolta di neo-fascisti nemmeno l’ombra anche se nessuno mi toglie dalla testa che i due tipi appoggiati al muro, con barba e aria distinta, fossero agenti della Digos.
Del resto, se lo erano, si saranno divertiti anche loro perché la Banda inizia subito di slancio e con stile. Il pubblico salta e si diverte. Nemmeno l’ombra di risse e il pogo non è mai esasperato. Tutti ballano, si tengono le braccia sulle spalle mentre dal palco Pikkio, benché penalizzato da un’equalizzazione penosa, saluta i ragazzi e si lancia in balletti sfrenati.
I pezzi volano via così, fra divertimento e impegno.
L’apogeo del coinvolgimento arriva su pezzi storici della Banda Bassotti: Stalingrado è gridata da tutti mentre Amore e odio si lascia prolungare in una girandola di cori.
I fiati sono incalzanti e appassionati, le chitarre di quelle che si ricordano pur non essendo virtuose e i difetti tecnici dell’impianto non penalizzano un concerto nato all’insegna del divertimento.
Alla fine ecco arrivare anche le immancabili Bella ciao e Bandiera rossa.
Eppure a me è successa una cosa strana. Stavolta invece di guardare il gruppo, guardavo il pubblico.
I ragazzi ridevano e gridavano, si dimenavano, si arrabbiavano. Parlavano dei drammi della classe operaia, dell’insoddisfazione dei diseredati del mondo…eppure la maggior parte di loro, prima del concerto, parlava dei troppi esami ancora da sostenere all’università, uno di questi si lamentava perché i ricambi della sua macchina, una smart, costavano troppo. Alcuni si raccontavano dove avevano passato le ferie estive e quanto avevano fumato durante le vacanze. Alcuni avevano cellulari da centinaia di euro, altri avevano i pantaloni finto-vintage con il D&G sulla tasca di dietro.
Intanto nella piazza del paese, mentre qui si teneva il concerto della Banda Bassotti, si stava svolgendo la festa patronale. Mi è sembrato che i veri figli del proletariato si trovassero ai festeggiamenti per il santo più che al comizio. Mi è sembrato che i veri figli del proletariato non facessero le ore piccole a saltare davanti a un palco gridando “Venimos a defender la rivoluçion cubana”. Ma soprattutto, mi è sembrato che la maggior parte dei questi figli della rivoluzione da centro sociale, più che figli della rivoluzione, fossero solo figli di papà con tanta marijuana nelle tasche e poche idee nella testa, se non slogan e frasi fatte.
Le università, i centri sociali e le sedi di partito dovrebbero essere le fucine da cui vengono sfornati gli intellettuali della nuova sinistra. Nelle dittature sudamericane, ma comunque nelle dittature in genere, la prima fascia sociale che veniva sistematicamente eliminata era proprio quella degli intellettuali, perché le idee fanno paura. Questi intellettuali qui non fanno paura davvero a nessuno.
Me ne esco così, inquieto e pensieroso, varco i cancelli che mi riporteranno a casa e stranamente mi accorgo che ho due pensieri nelle testa.
Passo davanti a un ragazzo che fischietta Bella ciao e penso a una canzone di Guccini che diceva che a canzoni non si fan rivoluzioni. Il secondo, molto più drammatico e oscuro, mi viene in mente dopo che una ragazzina dall’aria sensuale e saccente, con il piercing sulla lingua, mi chiede se ho da darle una cartina. Le rispondo di no e dopo che se n’è andata penso:”Sei troppo vecchio per queste stronzate, Cristiano.”
Grande live report! I tuoi dialoghi interiori sono mitici!