Drappi neri come pareti non a racchiudere bensì a dischiudere una dimensione in cui lo spazio e il tempo vengono decostruiti, la dimensione che accoglie la poesia in musica di Morgan. In questa sorta di non luogo si smarriscono i punti cardinali per trovarsi con un solo strumento capace di guidare la rotta, un unico insieme fonte di suono che si aderge tra luci che disegnano cristalli. Una vasta gamma di strumentazioni elettroniche, ordinate in sghemba simmetria, sembra stagliarsi come una scultura vibrante, un’istallazione pronta a prender vita e già annunciante un viaggio attraverso l’arte e le sue molteplici forme. L’attesa è spezzata da due porte di luce che si aprono fendendo un buio denso, nel medesimo istante si manifestano alla sinistra e alla destra del campo visivo Morgan e Daniele Dupuis, Mr. Megahertz, artefice di una musica elettronica che fa del flusso elettrico una corrente pulsante di vita. All’unisono i due raggiungono quell’insieme di strumenti che permetterà loro di dispiegare, plasmare ed effondere un’energia creatrice di sogni e visioni.
Sono immersi in una materia dalla quale sanno trarre ogni suono, una materia che sanno tras-formare in onde sonore capaci di tessere un impalpabile ricamo nell’aria o dipingere volte con colori saturi. Tasti e pulsanti riescono ad evocare il legno dei violini e la pelle delle batterie, il sangue della carne e la scossa che anima le sinapsi, metalli e corde, voci e sconosciute sonorità.
La musica inizia a scorrere sorgendo come tempesta, investendo e trascinando, bastano pochi istanti alla sua irruenza per condurre i sensi in un vortice in cui perdere del tutto la percezione del tempo ed ogni sorta di difesa. L’inizio è un’iniziazione, una porta da attraversare per lasciarsi alle spalle la dimensione ordinaria, l’orientamento e l’ordinamento di cui ci vestiamo senza consapevolezza. Oltre la soglia basta porre un piede, quello sinistro, “quello giusto”, e l’intero corpo si ritrova Altrove, lì dove è possibile e desiderabile perdersi nel mondo, anche quando questo significa sprofondare, lì dove la follia “sembra l’unica via per la felicità”. Al di là della soglia ci attende con voluttà l’Amore assurdo, benedizione e dannazione, perdizione e grazia rinvenibili in una sola carezza che sa trasformare un cuore in cristallo, in frammenti di specchi in cui resta il suo riflesso…il petto si fa casa di odori, vetri, sapori, “nastri, carte, fotografie, passamanerie”, spine che possono lacerare carne ed anima, ma non far perdere la “voglia d’esser grato” per un amore dopo il quale non si può più amare. Si lasciano sanguinare le ferite, con la consapevolezza che a volte non si rimarginano e nulla può lenire quella carne aperta, neanche il tempo… questo però può annunciare e portare ad essere una “grande era”, quella in cui noi stessi siamo, quella che ci rende coscienti del fatto che non sono necessarie illusioni per tenersi addosso il proprio dolore e la propria inquietudine, basta solo ricordare a se stessi che “siamo liberi di ragionare, di non farci condizionare, di trascendere di estremizzare”. In questo altrove si impara così ad apprezzare la Decadenza, a vedere la bellezza che custodisce e a scorgere nella distruzione una nuova origine possibile, un’apocalisse da attraversare per ri-trovarsi, per trovare in sé l’essenziale, ciò che sempre resta. In quest’altrove s’impara che La Crisi può essere “un eccesso di lucidità” grazie al quale riscoprire il proprio essere.
Il viaggio lungo in quale ci conducono Morgan e Mr. Megahertz, ci fa attraversare le vertigini del blu, sostare in un appartamento fatto di canzoni e provare capogiri portandoci Da A ad A, un cammino a spirale dove il punto d’arrivo è un nuovo inizio, un moto perpetuo che ci arricchisce di meraviglia. Anche lo stupore ci viene fatto ritrovare in questo viaggio, ce lo insegna nuovamente Morgan grazie ai giochi-strumenti che attendono su di un tavolino di essere colti per poi far sbocciare bellezza, ce lo insegna Daniele Dupuis col suo theremin… le mani suonano un campo magnetico, sfiorano l’aria e la musica accade. Si ritrova il gusto di meravigliarsi tra le luci che raccontano albe colorate di azzurro e cieli d’amaranto, tra i suoni e i canti che fanno quasi perdere i sensi… ci si lascia pervadere dall’incanto, riassaporandolo come da bimbi, quando cala l’oscurità e la musica scaturisce alla sola iridescenza degli strumenti.
Ogni singola canzone è un viaggio che ci lascia addentrare nell’intimità, nostra e di chi abbiamo di fronte, che ci fa percorre l’immensità dei luoghi in cui si con-fondono musica, teatro ed arti visive. A volte i brani hanno la dolcezza dei sussurri che ci si dona su un sofà o delle chiacchiere che ci si scambia intorno ad un tavolo, in una cucina profumata di cibo da condividere, altre volte il canto sembra un grido affidato al firmamento, un urlo soffocato nella terra…ci si sente a casa eppure straniati, si sente dentro quel turbamento che si prova quando si scorge lo stra-ordinario nell’ordinario. Si avverte la logica scivolare via e il perdersi della ragione, così Da A ad A si lascia leggere DaAadA, Dada, e in ascolto degli Animali familiari e dei Demoni nella notte ci si ritrova al Cabaret Voltaire a riscoprire che ogni materia e forma può custodire e generare bellezza. (Foto by Emanuele Gessi)
…Morgan è sempre stato un artista amato-odiato.
Ho sempre apprezzato la sua sensibilità, che si manifesta limpidamente nella scelta coraggiosa di ri-suonare il capolavoro di De Andrè, e ho sempre odiato questo suo porsi un po a futuro intellettuale della musica di un certo tipo, per di più molto glamour.
Un amico diceva che gli ricordava un Battiato futurista.
A me Morgan ricorda Morgan.
Da prendere con i suoi pregi e difetti…
A me invece Morgan ha sempre affascinato proprio per il suo modo di porsi. Lo seguo da quando era nei Bluvertigo e l’ho visto live quattro volte (un paio con il gruppo e un paio da solo) e devo dare ragione a Vale quando parla della teatralità del sig. Castoldi. Non ho visto il nuovo spettacolo, ma spero di poter rimediare presto
E’ bello avere pareri e pensieri diversi, anche completamente divergenti.
Senza discutere la genialità e l’adattabilità di Morgan come artista, il suo ultimo spettacolo non mi ha affascinato. Mie amici mi chiedevano: “Ti stai annoiando?” E io rispondevo “A tratti no”.
La carica iniziale data dalla curiosità andava via via sfumando, di canzone in canzone. Forse la serata di Bologna è stata un po’ sfortunata (problemi tecnici e non un enorme pubblico).
Inoltre, al concerto che ho assistito, i pezzi tratti dal nuovo album sono stati pochi, e la rielaborazione di “Cinque minuti” (pezzo molto rock) in versione elettronica non mi ha elettrizzato. Tutto era abbastanza freddo. Sintetico appunto.
Forse si tratta di una mia insensibilità al suono elettronico, ma quella sera Morgan è stato lontano da virtuosismi, citazioni colte, personalità.
E’ pure vero che non ho mai assistito ad altri concerti di Morgan e Bluvertigo, ma sono convinto che l’altra sera non ho visto il vero Marco Castoldi.
Era Morgan passato allo scanner.
Spero di potere assistere presto ad un suo altro spettacolo. Vorrei tanto cambiare idea.
I suoi album sono magici.