La musicassetta tirata a nastro nello stereo della macchina, rompeva di note il fruscio, accelerava il battito. Era un novembre di dieci anni fa, ed era grigio il mondo fuori, da qui del finestrino stridevano i colori.
“The piercing radiant moon, The storming of poor June, All the life running through her hair…”.
Era così che mi calavo in questa estensione indefinita di generi e stili, in questo disordine finito di elementi, di suoni, di parole. Come possono essere definiti i System of a down?
Se esistono rilevanti elementi per poterli definire nu metal, ne esistono altrettanti per definirli alternative metal. Ma più di ogni altra cosa ogni elemento conduce alla non definizione, all’originalità, al perfetto caos. Nati nel 1995 a Los Angeles, legati indissolubilmente alla loro origine armena, portano sulla pelle e nella loro arte i dolori del genocidio subito dal loro popolo. Con Tom Morello (Audioslave, Rage against the machine) guidano l’organizzazione no profit Axis of Justice, a favore della giustizia sociale.
Iniziano ad affermarsi nel 1997, quando durante un’esibizione al Viper Room di Hollywood, riescono ad incantare Rick Rubin, proprietario dell’ American Recordings, che gli offre subito un contratto.
Inizia così il loro tour accanto agli Slayer, e nello stesso anno vincono il premio Best Signed che gli assicura un posto all’ Ozzfest Tour del ’98.
Nel giugno del ’98 esce il loro primo album: System of a down.
Un’heavy metal aizzato e rabbioso, una voce caratterizzata da growl curatissimi alternati a lamenti, urla, espressioni vocali crude e paralizzanti. Tormenti di chitarra e batteria senza respiro. Tredici brani folli di mancanza di paura, di paura di mancanza, di matura ribellione, di disincanto, di disinganno, di passione accecante in nero.
Sugar, Spiders e War? furono I singoli più trasmessi. L’album fu doppio disco di platino.
Il 4 settembre del 2001 il capolavoro: Toxicity. Se si pensa alla sintesi esatta degli elementi non si può non pensare a quest’album. Brani che toccano ogni singolo argomento, l’attualità che è l’ogni tempo. Amore, politica, debolezza, coraggio, rabbia, dolore, silenzio, guerra, mercato, natura. Un album che riassume il Tempo, la ricerca del senso. Un cavaliere errante che cerca tutto, che perde tutto, che per tutto lotta e combatte, che di tutto vive e muore.
Tra tutti Chop Suey! è sicuramente il brano più penetrante e tagliente, estremo, vario. Lirica e calci, denti e lacrime. Maledizioni e preghiere. “Hide the scars to fade away the (shakeup)” e subito dopo: “I cry when angels deserve to die…Father, father, father, father…Father into your hands I commend my spirit. Father into your hands… why have you forsaken me?” .
Un altro brano importante è Toxicity, tanto che nel maggio 2006 fu inserita dalla rete televisiva VH1 alla posizione #14 della classifica 40 Greatest Metal Songs (Le 40 più belle canzoni metal).
“When I became the sun, I shone life into the man’s hearts”.
Ricordiamo anche Aerials, con la sua atmosfera di libertà, di possibilità:” when you lose small mind you free your life. Aerials, so up high, when you free your eyes eternal prize.”
L’album contiene una ghost track, Arto, creata da Arto Tuncboyaciyan, nella quale Arto suona di tutto, da una bottiglia vuota di Coca Cola, a percussioni create direttamente dal suo petto nudo, a un vaso pieno d’acqua, dando vita a sonorità tribali e visionarie.
Nel 2002 la band decide di fare una raccolta di demo e di b-side. Esce così, a novembre, Steal this album!.
Non sbagliano un colpo. Ogni album è un successo immediato.
Brani che raccontano, risolvono, chiedono, pretendono. Che si aggrappano e non mollano, che non temono il giudizio. Ogni cosa è al suo posto, il quadro finale è impeccabile, stupefacente.
Innervision arriva dopo il primo brano a dare lo slancio verso il colpo di grazia. Un’introduzione che fa già smuovere in sussulto la mente e il petto. Il testo arriva come morfina ed adrenalina iniettate insieme: “Your sacred silence, losing all violence. Stars in their place, mirror your face. I have to find you, I need to seek my innervision.”
Boom! è un messaggio di pace contro la guerra in Iraq. Il video girato da Michael Moore è in rotazione su tutti i canali musicali, sensibilizza, arrabbia, indigna, resta.
“Every time you drop the bomb, you kill the god your child has born”
In crescendo il colpo di grazia arriva nell’ultima traccia: Streamline.
Un addio, spietato, furioso, incalzante. Impossibile non emozionarsi, non sentire ogni nostro addio esplodere.
“My love waits for me in daytime but I can’t see you through the snowblind . But I wasn’t there for you…You are gone. Goodbyes are long. I wasn’t there for goodbye.”
Nel 2005, a distanza di 6 mesi, i S.O.A.D. pubblicarono due cd: Mezmerize (17 maggio 2005) e Hypnotize (22 novembre 2005).
Di Mezmerize, oltre al singolo B.Y.O.B., un nuovo inno alla pace, per la fine della guerra, contro ogni forma di ingiustizia (“Why don’t presidents fight the war? Why do they always send the poor?), ricordiamo brani come Cigaro, “We’re the regulators that de-regulate. We’re the animators that de-animate. We’re the propagators of all genocide.”, e come Question!, “Dreaming! Dreaming the night! Dreaming all right! Do we! Do we know, when we fly? When we, when we go…Do we die.”
Mentre di Hypnotize ricordiamo brani come Dreaming, con la sua esemplare frase: “We’re the prophetic generation of bottled water.”, Hypnotize, che ci avverte: “Mesmerize the simple minded. Propaganda leaves us blinded.” E Lonely Day, che è silenzio e solitudine in musica di rivelazione: “And if you go, I wanna go with you. And if you die, I wanna die with you. Take your hand and walk away. The most loneliest day of my life.”
Nel maggio del 2006, come si vociferava da tempo, i System of a down annunciano la loro separazione. Una pausa di riflessione, un lasso di tempo in cui dedicarsi ai progetti personali, alle proprie idee e direzioni.
Nell’autunno del 2007 Serj Tankian, voce del gruppo, pubblica Elect the dead.
Da sempre fedele alle sue visioni, alla poesia che lo guida e lo scaglia verso i suoi fans (tanto che nel 2002 pubblica anche una raccolta di poesie dal titolo Cool gardens) Serj può, con questo nuovo disco, tirare le redini e liberarsi totalmente, osare e dimostrarsi, sottolineare e smentire.
Prodotto dalla Serjical Strike, è un album più intimista, nel quale è solo lui a suonare tutti gli strumenti, tranne la batteria.
Ma questa caratteristica già da sola basta a rendere evidente la necessità di sentire totalmente il frutto della propria arte, come un figlio accudito e portato alla crescita, passo dopo passo. Curare minuziosamente ogni dettaglio, ogni sfumatura, non lasciare niente di irrisolto, inventare, sperimentare, pulire, colorare.
Saving us è un brano che dimostra in pieno questa meticolosa attenzione e dedizione, mentre brani come Lie Lie Lie e Honking Antilope possono risultare inferiori nell’eccellenza, ma sicuramente non criticabili.
La voce di Serj può tutto, e lui lo dimostra con una facilità eccezionale già dai primi minuti con Empy walls.
Un album che riporta ai System e che se ne distacca, che smentisce chi guardava con diffidenza alle capacità soliste di Serj, che emoziona e guida senza forzare parola dopo parola, nota dopo nota, lì dove ognuno decide di arrivare, con carezze di pianoforte e lancinante presenza. La luce estrema, il flash, l’alba lenta, i fari in corsa.
“Art. is the way to heart. The hearts of man can and will change. That change changes the world.”