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C’è un posto senza alcuna restrizione/Che si chiama anima: intervista a Daniele Tenca

Daniele Tenca lancia un positivo imperativo con il suo album d’esordio: Guarda il sole (Ultratempo / Ostress – 2007). Dieci passi di un percorso tra rock classico, che sa sporcarsi in misura, deviazioni di acustico, raggi di colore tirati di gusto da piano, organo, armonica, moog. Dieci passi tra note e parole scandite da riflessioni dolci/amare trattenendo tra le mani la forma sacra della speranza.
Un album ricco di valide collaborazioni, di nomi che rimano con i concetti di conoscenza e rispetto per la musica. Daniele ci fa entrare per un po’ nel suo mondo… (Foto 1 by David Bez; foto 2 by Renato Cifarelli).

Reason to Believecominciamo da qui? Una canzone che diventa l’estensione metaforica di un modus vivendi e uno spiraglio sulle matrici formative della tua musica?
In realtà trovo anche io stupefacente come il pezzo di Springsteen racconti che, nonostante tutto, la gente trovi una ragione per credere; è quasi eroico, in un certo senso. Di sicuro quel ritornello e quella canzone sintetizzano alla perfezione quali sono le mie radici musicali, e qual è il percorso dei dieci pezzi del disco. Poi, anche se ancora adesso ritengo Springsteen l’esempio a cui ispirarsi per la credibilità e la coerenza dei suoi trent’anni circa di carriera, non è di sicuro l’unico riferimento, soprattutto in materia di musiche, arrangiamenti e produzione del mio progetto. Scherzando dico sempre, e l’ho scritto anche nei riferimenti di MySpace per sintetizzare, che potrei essere… un cantautore della costa est degli USA, tipo New Jersey, dopo un master in “Suoni moderni di altre realtà: la Gran Bretagna, per esempio”, e uno stage presso le migliori scuole di Indie Rock italiano.

Guarda il sole è il pezzo che chiude il disco e gli dà titolo. Un imperativo positivo nel segno della speranza (nonostante tutto) in cui si sciolgono le tensioni e i nodi che descrivi?
E’ proprio così. Un’invocazione, un’esortazione. Quasi ci sarebbe da mettere il punto esclamativo al titolo. E’, non a caso, l’unico pezzo in tonalità maggiore del disco, e dà una possibilità al futuro di tutti i personaggi delle canzoni precedenti. Quindi, anche al mio, di futuro, anche se non è sempre facile guardare il Sole. Io ho dovuto tatuarlo sul braccio per tenerlo a mente più spesso.

Non funziona apre le danze, invece. Lo fa come a dettare un po’ le regole del “tuo” tipo di rock in bilico tra andature classiche e contaminazioni sporche…
La parte solista tocca a Stef Burns, mi racconti le dinamiche di questa collaborazione?

Ti dirò, mi fa molto piacere che lo consideri il “mio” tipo di rock, perché a livello di produzione la scommessa era proprio questa, far entrare un po’ di rumore e “stortare” le strutture tradizionali del rock, con un’attenzione poi quasi cantautorale alle tematiche e ai testi. Per quanto riguarda Stef Burns, ci siamo conosciuti nel 2001 a Fabriano, quando con il gruppo con cui suonavo allora, gli oltreConfine, abbiamo aperto per Vasco Rossi. Quando registravo Non funziona, Stef era in Italia per il suo tour solista, e tramite il mio batterista, che gli curava il booking e lo fa tuttora, abbiamo provato a chiedergli di suonare sul pezzo. Lui ha semplicemente detto di sì. Sentirlo suonare in studio è stato clamoroso, e ancora lo ringrazio perché, tra le altre cose, è veramente una gran persona.

Gocce di cristallo è il pezzo che ho percepito come una sorta di battito cruciale del disco. Lo trovo compiuto, equilibrato nelle parole e nella parte strumentale. Come se ti raccontasse in modo molto diretto (insieme anche a In mezzo alle nuvole)…
Gocce di cristallo è la canzone che porta sulle spalle tutto quello che è successo negli anni precedenti all’uscita del disco, è passata attraverso mille arrangiamenti, e dentro ha l’anima di tutti gli amici che hanno suonato con me in questi anni nei progetti che abbiamo portato avanti. Forse per questo sembra che mi racconti così bene. E’ dedicata a Mauro Rostagno e a tutti gli uomini liberi.
Poi, per dirla tutta, tutti i brani mi raccontano, ci sono immagini in alcune strofe che posso ricollegare a eventi della mia vita ben precisi. E ci sono canzoni intere, come In mezzo alle nuvole e Per un’ipotesi, che sono del tutto autobiografiche, e che mi hanno fatto risparmiare un sacco di soldi di analisi.

Tu, come definiresti Guarda il sole?
Un disco sincero, coerente e credibile.

Guarda il sole è un lavoro a due nella parte di scrittura, quella dei testi (tua) e quella della parte musicale (tua e di Giuliano Dottori). Ti va di raccontarci frammenti di questo viaggio condiviso?
Io e Giuliano abbiamo calcato non so quanti palchi e scritto insieme non so quante canzoni negli ultimi 8/9 anni, con gli oltreConfine di cui ti parlavo poco fa e non solo; quello che abbiamo condiviso ci ha reso amici, e questa è la cosa più importante. Poi, arriviamo da alcuni ascolti ed esperienze realmente differenti a livello musicale, e probabilmente quello che lui ha studiato e ha dimenticato della musica è più di quanto ne sappia io. Eppure, c’è sempre stata un’intesa tra noi che faccio fatica a spiegare a parole; la spiega sicuramente meglio il lavoro congiunto di scrittura e produzione artistica di Guarda il Sole. Il suo Lucida mi emoziona ogni volta che lo ascolto.

Per un’ipotesi ha un suo riflesso proprio in Lucida di Giuliano Dottori…
Già… Traccia 2, Leggera come sai. Vado a trovare Giuliano in studio per registrare l’armonica su Endorfina, me lo trovo a fare chitarre su un brano ancora senza testo e, magia, sento l’urgenza di scriverci sopra un testo. Lui mi dice di sì. In una notte nasce Per un’ipotesi. Dopo qualche giorno, Giuliano decide di dare un approccio più “leggero” alla canzone, cambia i ritornelli e qualche cosa sulle strofe, e Per un’ipotesi diventa Leggera come sai. A quel punto, data la forte componente autobiografica di ciò che avevo scritto, decido comunque, con l’ok di Giuliano, di usare il testo di Per un’ipotesi, registrandola con Giuliano e la band che ha suonato il mio disco. Io e Giuliano siamo d’accordo su quale delle due versioni sia la migliore, ma non ti diremo mai quale.

Molti altri musicisti hanno contribuito alla realizzazione del disco, tra questi anche Andrea Viti, ex bassista degli Afterhours (poi protagonista del progetto Juan Mordecai)…
Il contributo di Andrea è stato fondamentale per raggiungere l’obiettivo di stortare i pezzi, con le sue ritmiche ha dato la giusta sostanza e la giusta intenzione. Il drumming diretto e senza fronzoli di Alberto Pietrapertosa e il basso di Andrea creano quella tensione tra struttura e stortura che volevo trovare. Non ti nascondo che gli Afterhours sono stati più in generale, a livello sonoro, un altro punto di riferimento importante nella genesi di Guarda il Sole. E poi, vedere in studio la cura quasi maniacale con cui Andrea ha messo giù le linee di basso, mi ha dato un’altra bella dritta su come lavorare sulle parti di un disco.

Cosa pensi delle nuove forme di diffusione della musica attraverso la rete? Il processo di presunta democratizzazione dell’ascolto non ha la conseguenza di ridurre i filtri e abbassare la proposta (da parte di alcuni musicisti) e la richiesta (da parte dei fruitori) della qualità?
Non sto a dirti anch’io che i cd costano troppo, e non ho un ego così grande da mettermi in cattedra e parlare della qualità fornita dagli artisti. Credo che il problema centrale sia che è diventato sempre meno importante educare la gente alla passione per la musica. Le canzoni, alla fine, si sono sempre duplicate, penso alle musicassette doppiate o ai negozi di noleggio cd di dieci anni fa, più o meno. Solo che c’era una voglia di musica diversa, più profonda e più radicata. Dovevi muovere il culo per arrivarci, e quindi selezionavi con più attenzione. Adesso basta un clic da seduti, quindi la soglia della selezione si abbassa più facilmente. E c’era un rispetto per la musica da parte dei mezzi di comunicazione di massa senz’altro diverso. La facilità con cui si accede adesso alla musica, se da un lato facilita la visibilità, dall’altro le fa perdere un po’ del suo valore artistico, e tralascio volutamente i risvolti economici della faccenda, che poi si ripercuotono sulle possibilità reali dei giovani artisti e non certo su quelle di chi già gode dei benefici dell’”età dell’oro” ormai definitivamente tramontata, credo. Il file sharing, come tutti i mezzi tecnologici (pc, tv, cellulari…) e ciò che da loro deriva, di per sé non è il male. Dipende dall’uso che ne fai, come tutto alla fine.

Grazie mille.
Grazie a te e a LostHighways, e non solo per l’intervista e il supporto.

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