Come liquido scuro sospinto dalle maree, parole di voce e memoria, di coscienza ed occhi, si dispiegano sorgendo da un non-luogo, dischiudendo uno spazio in cui le assenze non fanno che annunciare un’imminente pienezza. In un fondo nero e morbido d’inchiostro versato, la promessa delle parole trova la sua soddisfazione, s’appaga del venire alla presenza di corpi scrigni di poesia. “Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso” (Franz Kafka)… tale è l’Amor fou, quello che insegna quanto una lama ardente possa essere voluttuosa carezza, quello che scivola morbidamente ed inesorabilmente nella carne facendone ferita da suggere, lacerando per portare fin nel profondo la propria luce accecante.
L’Amor fou è esso stesso carezza, una carezza di cinque dita. Ognuna dà un sapore, somministra un piacere e porta l’anima ad offrirsi nuda e vulnerabile.
Arresi alle proprie fragilità, spogliati di ogni difesa, si accoglie un cuore di pelli percosse e di corde avviluppanti. In ex-stasis, portati fuori di sé, ci si abbandona ai gesti che tramutano gli impulsi elettrici in demoni e sogni, in un oceano onirico in cui fluttuare, affondare, perdersi, bruciarsi. Percorsi da un sussulto, ci si espone senza remore alla stretta di lacci fatti di vibrazioni. Ad ogni respiro si cede e consegna l’anima per prenderne un’altra in sé, per ricevere ed ingoiare un soffio di senso che a fior di labbra sboccia in voce.
Tra i vertici e le miserie di corpi vittime di giorni ordinari e momenti esiziali ci si concede alla voracità del cannibale, se ne diventa complici oppure lo si scopre come identità del proprio essere… ci si lascia sfiorare dalla sua pelle morbida e per un istante ci si dimentica della violenza e della crudeltà che in lui riposa tacita, si avverte solo la forza dolce con cui conduce lo sguardo al cospetto dell’essenza.
L’ascolto dei suoni e delle parole si fa così contatto che rende le membra tremanti come acqua raccolta tra le mani, dipinge quadri di luce in cui ritrovare, in forma di raggi, la carne del mondo ed attraverso l’estasi porta l’anima presso la bellezza, la lega all’incanto.
Una chitarra suonata con le vene e la furia, con la cura della sapienza e dell’amore, accompagna il racconto di un uomo che porta con sé, in sé, le parole di Pavese e la passione destinata al non perdono di Pasolini. Le visioni evocate dai battiti di legno e metallo scivolano dentro, insieme alla voce che dice degli slanci e delle fughe di Adele H., nome che presentifica una follia dal corpo di donna, figlia del seme di Victor e degli occhi di chi dell’amore sapeva far vedere ogni volto.
Lungo il flusso di un desiderio consumato e poi abbandonato ai margini di una piazza violata si ac-coglie, assaporandone ogni sfumatura, una musica fatta di eleganza ed impetuosità, di deflagrazioni che destabilizzano e malie che attraggono.
“È là, proprio al fondo del crogiolo umano, in quella regione paradossale dove la fusione di due esseri che si sono veramente scelti restituisce a ogni cosa i colori perduti del tempo degli antichi soli, ma dove infuria anche la solitudine per uno di quei capricci della natura che, attorno ai crateri dell’Alaska, vuole che la neve rimanga sotto la cenere, è la che, anni or sono, ho chiesto che si andasse a cercare la bellezza nuova” (André Breton). È lì, in quel profondo, che riluce il suono dell’Amor fou e, mentre mostra in quanti corpi si può incarnare, quante vesti o pelli può indossare, mantiene tra le ciglia e le ciocche, sulle labbra e nell’iride, l’infiorescenza del suo essere, la beltà della sua propria sostanza. Senza timori, questo folle amore, di cui ogni espressione ed ogni tratto è suonato e dischiuso, offre con grazia il suo sguardo, denso mare da cui emerge l’essenza che riposa alle radici. Dolcezza e frenesia, con le loro membra candide o sporche, si scoprono figlie di un unico sentire che dalla lingua e dalla punta delle dita si fa udibile, senza mai celare od offuscare il palpito di luce e senso da cui tutto erompe.
Ci si lascia vincere ed avvincere dalla bellezza conturbante, dalla sua delicatezza così come dalle sua foga.
Portando i propri passi tra vortici ed abissi, tra rivoli di sangue e corde urlanti, tra possessioni ed ossessioni imperanti, abbagliati, sedotti e dominati dal suono, si resta nel furore come dentro il cuore di un gorgo, di un rogo, immobili in un attimo eterno, quello in cui si trat-tiene in sé chi si ama facendosi culla.
Si ritrova poi d’improvviso il respiro e giunge il bacio di una nuova onda a ricordare che ci sono meraviglie più reali del reale.
L’ultimo abbraccio dell’Amor fou fa percepire nelle viscere tutte e undici le carezze de La Stagione del cannibale che cinque dita hanno messo a riposo nel ventre.
Leziero Rescigno, Luca Saporiti, Giuliano Dottori, Cesare Malfatti ed Alessandro Raina con undici tocchi hanno creato per la poesia una dimora di carne e musica, un giaciglio in cui accogliere parole che sanno di sentenza, di anelito, di preghiera…“questo è l’ultimo atto e poi sognami”… non rimane che prestare obbedienza. (Lost Gallery)
Brava Vale sempre delicata nelle descrizioni…