Serata di melodie assuefatte al gioco beffardo del rumore, del lento liquefarsi del pop alle pieghe incongruenti del rock. E’ il vizio ultimo e magniloquente dell’estetica indie e Cool Club (cooperativa pugliese di programmazione culturale nell’ambito musicale e dell’arte in genere), al solito, ne coglie l’essenza ed apre i sipari della sua personalissima rassegna Keep Cool (che quest’anno vedrà esibirsi sui palchi salentini, tra le migliori realtà della musica indie italiana e non in una sequenza di nove appuntamenti da leccarsi le dita), accogliendo i (P)itch, ormai storica formazione ravennate capitanata da Alessandra Gismondi, che già mesi fa avevamo seguito con attenzione sulle nostre autostrade perdute in occasione di questo loro ritorno sulle scene e che non possiamo fare a meno di tornare a vedere dal vivo.
L’Istanbul Cafè (ormai tradizionale polo di attrazione in zona per eventi di questo tipo) si presta bene a fare da cornice a questi appuntamenti, nonché da reale punto d’incontro per gli artisti della scena musicale salentina. Ad aprire le danze, proprio figli di questa scena, i Pensierinvolgare, giovane formazione leccese che propone un pop rock cantato in italiano, in un registro fresco, diretto e sorprendentemente fluido, e che trova la sua ispirazione nel fecondo calderone del pop britannico come in tanto rock made in Italy. Nei circa tre quarti d’ora della loro esibizione, presentano tra gli altri, i brani che formano il loro EP d’esordio Vale la pena aspettare, auto-prodotto nello scorso anno ed interamente ascoltabile dal loro MySpace. Un’equazione quella da loro sperimentata che ha fatto la fortuna di band come i Negramaro, altro prodotto fortunatissimo di esportazione salentina, anche se a parere di chi scrive, certe scelte melodiche e compositive dei nostri, per freschezza e sincerità, ai suddetti farebbero davvero molta invidia, visti i lidi verso cui col tempo si sono indirizzati. L’esibizione è davvero buona, si sente un forte affiatamento tra i vari componenti, ed un buon lavoro di arrangiamento e di incastro delle varie parti vocali e strumentali, ed anche i (P)itch da un angolo del palco seguono entusiasti; il falsetto rauco e la sicurezza sul palco di Luigi Martina, il buon lavoro alle chitarre di Andrea Martina e Antonio Forte ad intervallare punte di elettronica a riempire i brani, sono il valore aggiunto di una band di cui ci piacerebbe sentir parlare di più in giro. Tutto è pronto per l’ingresso sul palco dei (P)itch, che per questo appuntamento si presentano in forma di trio, quindi in versione semi-acustica con la batteria sostituita dalla drum-machine, per presentare il loro terzo lavoro discografico A Violent Dinner, che dopo otto anni di assenza dalla scena musicale li ripropone in una nuova veste più misurata, intensa ed intima: un indie pop-rock ammaliante, obliquo, intimista e implosivo che per merito di questa veste elettronica si tinge di tinte ancora più calde e avvolgenti, sciogliendo alla fiamma dense gocce di rumore su linee melodiche sempre intense e graffianti. Già dai primi crescendi e dall’avvitarsi del brano d’apertura Pinky II si svela la loro vena spiccatamente chitarristica, devota al noise-rock e che denota d’aver assorbito tanto indie rock d’oltreoceano; i brani che si susseguono, per buona parte estratti dal loro ultimo lavoro, sono tracce di sensualità fatta suono, movenze notturne e sussurri esplosi per troppo languore, Alessandra (ed il suo modo di muoversi sul palco) è la languida icona della sensualità che la loro musica vuol rappresentare, Luca e Christian tessono intense trame armoniche a incastrarsi nella melodia. Brani come la follia al rallenty di Last Days of Happiness o la leggerezza estatica dal sapore farmalcolico di A Violent Dinner li avvicinano di più alle sonorità dei Blonde Redhead, colmi di riff malati, rumore e melodie dilatate. The Forest e la bellissima chiusura col brano Naked, sono le parentesi più sinceramente noise del concerto: Christian indossa una maschera da maialino e inizia a violentare la chitarra con una bacchetta, mentre Alessandra e Luca, complici del patibolo sonoro, contribuiscono ad alimentare la dissonanza. Rispetto ai primi due dischi in italiano, Bambina Atomica e Velluto, baciati in fronte all’epoca dal signor Manuel Agnelli in persona, quest’ultimo long playing ci presenta anche dal vivo una band più matura, che vira in direzione di un sound più studiato, forse meno diretto ma più intenso che in passato. Assistere ad un live dei (P)itch torna ad essere un’esperienza che vogliamo raccontarvi con grande entusiasmo, per le emozioni che sa regalare, e per il piacere di incontrare e scambiare quattro parole con persone meravigliose.