Home / Editoriali / Il momento necessario: D. Muldoon feat. C. Basile, D-Day acoustic session @ Dynamo (MI) 24/01/08

Il momento necessario: D. Muldoon feat. C. Basile, D-Day acoustic session @ Dynamo (MI) 24/01/08

C’è un momento per ogni cosa, il momento esatto per una decisione, per la direzione da scegliere o il colore da indossare. C’è il luogo e il tempo giusto per quel passo, per quell’incontro, per quell’attimo che chiede di essere messo a memoria. C’è, o dovrebbe esserci, il lasso di tempo opportuno al silenzio, la parentesi dal rumore, l’occasione per trattenere un segreto, per dedicarsi all’ascolto, prestando attenzione ai dettagli, alla penombra e alle voci che ama restituire.

C’è musica da ascoltare con le mani a riposo, gli occhi sulle corde delle chitarre, la voce ferma in gola a trattenere l’eco di un certo piacere: musica per gentili ascoltatori, note di concetto, d’impulso, di passione che chiedono il silenzio necessario ad essere intese, ad emozionare, a potersi compiere nell’atto di darsi, di essere usate, condivise. Ci sono voci talmente calde da farti dimenticare che fuori è solo inverno, che in cima ad una scala c’è la solita Milano, il solito caos, la solita fretta.
La voce di Dave Muldoon è così, avvolgente e leale, nemica e sorella, confidenza e pugno al mento. Annulla le distanze fra il racconto e la memoria personale di chi porge orecchio alle roche fantasie dell’ugola, alla fumosa essenza del ricordo, all’afflato senza orpelli del fare musica come esigenza, come unico modo possibile di interagire con le proprie urgenze. L’urgenza del viaggio, forse della fuga; l’urgenza della sete, del vizio, della passione. L’urgenza dell’ironia perché i cambiamenti, le assenze, le svolte e certi miraggi conservino il sorriso dentro la malinconia, il buon umore dentro la disillusione. Ad impreziosire le sue Prophets, Little boy blue, Lucky, Little bit older, ballate di grande immediatezza ed eleganza arrangiate per l’occasione in chiave marcatamente blues, l’impagabile chitarra di Cesare Basile (produttore artistico dell’album in fieri di Muldoon). Un oratore e due strumenti, due accenti. La ruvida raffinatezza degli arrangiamenti giunge due volte stemperata in sottili dissonanze, in pungenti sfumature acustiche, in stridenti divagazioni armoniche. La voce e la chitarra di Dave, interprete dalla spugnosa sostanza rock che lascia intuire un certo estro jazz, raccontano fotogrammi di vissuto, non di sogno, e mostrano il fianco con una nota di velato romanticismo. Le chitarre di Cesare Basile ricamano il chiaroscuro arancio/blu del locale di strappi di rosso, di scaglie di vetro, di seducente amarezza: le corde vibrano d’anima; non c’è perdono per loro, non c’è via d’uscita. C’è la musica come antidoto al rumore, afrodisiaco dell’ascolto, occasione di silenzio e appagamento. C’è un momento in cui, solo dentro alla luna in piena tatuata sul muro, Basile canta Odd man blues e la senti, quasi senza pelle, percorrere i respiri e metterli al muro; intona una Dal cranio che ti schiaccia alla sedia, e vedi la croce ed avverti la distrazione, quanto basta per farsi del male; omaggia un amico del Cantico dei tarantati ed è un omaggio di classe, di petto. L’atmosfera è quella singolare delle situazioni insolite. La lingua che si parla qui, questa sera, è una lingua che scavalca la forma e restituisce una certa sostanza. Quando l’affascinante Georgeanne Kalweit (pittrice e cantante statunitense, che tra il ‘90 e il ’95 ha lavorato con i Mo Stipiti Funk di Milano e nel quinquennio successivo si è dedicata al lunge-jazz con i Torch Porch, Los Angeles) viene invitata da Dave a rendere unica una meravigliosa Here to stay si avverte la sensazione che l’attimo sia stato colto in tutta la sua dirompente magia, che una voce possa esplorare la zona d’ombra di un accordo e trasformarlo in pura poesia.
Un’ora, un’ora soltanto, di distanze annullate, di ricordi newyorchesi e poi d’oceano, di pub fumosi e vento berlinese, di sterrate vie isolane, della metropoli e della provincia che le respira addosso, di pellicole in bianco e nero ritoccate a inchiostro di china, sbobinate a fior di pelle dalle mani calde di voci rare, dalle abili dita di corde preziose, sagge.
Il giovedì sera, per un’ora, un’ora soltanto, è il momento del pentagramma, l’occasione dei timbri, delle note, il luogo delle buone maniere e, perché no, della buona compagnia: è il D-Day e, downstairs, si consuma una crociata per la cultura dell’ascolto, continua una rassegna musicale che offre l’occasione di dedicarsi, artisti ed avventori, dentro ad un giorno qualunque, un’ora di emozione, di bellezza, di condivisione.

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Un solo commento

  1. Davvero bello l’appuntamento del giovedi al dynamo,cesare e dave superbi..recensione del concerto perfetta…pura emozione.

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