Il tempo a volte è un ladro, a volte un amico gentile. Nel suo caso è stato sia l’uno che l’altro. Profonde rughe solcano il suo viso e la chioma bionda e riccia che lo caratterizzava nei lontani ’70 si è imbiancata di neve. Barba ispida sul suo volto a conferirgli un cipiglio druidico, qualche chilo in più messo nel suo lungo cammino per le strade del mito. Ma la voce sembra poco aver subito le ingiurie degli anni. Certo, non è la stessa di una volta, ma si è arricchita di grazia quieta, di rilassata maturità. Una voce che, al tempo, cantava di scale per il paradiso e martelli degli dei e che ora ha incontrato sabbie che si alzano dal deserto e fortunati cantastorie. Ed ha incontrato lei. Come avvengono gli incontri, le grandi collaborazioni? Come si decide una linea da seguire?
Penso sia tutto nel feeling, nel senso dell’essere affini, nel sentirsi due realtà diverse ma simili.
E’ così che dovevano sentirsi Robert Plant, un nome che da solo sta ad indicare la leggenda di un’era musicale, e Alison Krauss, la regina del bluegrass.
E quali stili più lontani tra loro, quello di Plant che, nato dal blues nei lontani anni ’60, diventa poi il germe da cui nacque l’hard rock dei mai dimenticati Led Zeppelin per spostarsi poi verso derive etniche; quello della Krauss, ben radicato nelle radici del profondo bluegrass e la cui voce è ormai da anni il marchio distintivo.
Cosa nasce da un impronta Hard-rock e un giro Bluegrass?
Nasce Raising sand, un disco che odora di sabbia e di ampi e solitari spazi di malinconia.
La voce e lo stile di Plant, già da tempo proiettato verso orizzonti “word” si sposa più che superbamente con il cristallo vocale della biondissima Alison Krauss, a creare intrecci vocali da brivido.
La struttura musicale è tipica bluegrass. Non c’è un dispendio di elettrificazioni, anzi, si può dire che l’intero Raising Sand risulta alquanto Unplugged.
Se in Rich Woman sentiamo Plant accompagnato solo da un basso acustico e da una chitarra acustica su cui una batteria porta il tempo, in Killing the blues fanno la comparsa una timida elettrificazione e una Pedal Steel Guitar, quasi a sottolineare la commistione di generi. Ed è con il banjo di Jay Bellerose su Sister Rosetta Goes bifore us che entriamo appieno in queste atmosfere lontane ma così americane.
Un’America pulita, non quella che siamo abituati a sentire dai rapper e dall’ennesimo gruppo “punk” o dall’ennesima lolita scosciata e con le tette in bella mostra.
Un’America che ritrova in Throug the morning, throug the night l’ampio respiro del country, la stupenda leggerezza della voce della Krauss.
Un’America che riscopre in Trapled Rose le immagini di vecchi seduti a fumare in veranda mentre cala la sera sui campi.
Un’America rurale, in questo Raising Sand, dove Plant spicca per le sue doti diavolo sussurratore in Fortunate Teller, dove Gone, Gone, Gone ti fa battere il piede in terra mentre cammini in macchina e deceleri. Non c’è tutta questa fretta di arrivare, in fondo.
Un disco in cui la lentezza si assapora tutta e goccia a goccia.
Un disco non facile, sicuramente.
Un disco che si ascolta e poi si mette via, per riprenderlo in determinati momenti.
Un disco per pochi.
Per chi da sempre subisce il fascino delle musiche rurali, Alison Krauss di sicuro non rappresenterà una scoperta. Ma per chi non si è mai perso nel country, non c’è modo migliore per iniziare a correre questa che è, veramente, una “Lost Highways” della musica.
Per chi, invece, come me, ha ancora nelle orecchie il dirigibile di piombo, per chi, come me, ancora rimpiange quei cinque vichinghi che cambiarono la musica, ritrovare Robert Plant invecchiato è come trovare un vecchio professore amato e perso tanto tempo fa.
Credits
Label: Decca Records – 2007
Line-up: Artista Robert Plant & Alison Krauss
Tracklist:
- Rich woman
- Killing the blues
- Sister Rosetta goes bifore us
- Polly come home
- Gone gone gone (done moved on)
- Throug the morning, throug the night
- Trampled rose
- Fortunate teller
- Stick with me baby
- Nothin’
- Let you loss be your lesson
- Young long journey
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