Accoglie un abbraccio morbido che costringe le membra, che le predispone al silenzio e al sentire che riconquista la propria dimensione sacrale. Accoglie un abbraccio di carta ricamata di linguaggio ed incanto, un libretto di sala che fa divampare le brame ed insegna alla carne ad assaporare l’attesa, ad esser tesa nell’immobilità, a trasformarsi in rifugio. Accoglie ed avvolge un’aria pervasa dal desiderio, da un desiderio che sta per essere soddisfatto, per trovare realizzazione in un’esperienza di bellezza che pretende l’intimità assoluta con l’anima senziente. “Io sono pronto a farmi tuo ricettacolo: per ogni goccia un oceano di empatie possibili”.
Un’epifania sta per accadere, lo sanno i fremiti che percuotono impetuosi fino ad erompe dal petto e ritrovare poi se stessi e il proprio ardore nei battiti di un cuore di pelli e metalli, custodito da una trasparenza che lo ammanta di delicatezza. Lo sa il sangue che s’addensa e nutre di calore il corpo, sa che è giunto il tempo della meraviglia come evento, come avvento d’estasi. “Chili di silenzio per inaugurare un nuovo gioco (solo agli sguardi è concesso di sperdersi nell’aria)”. Il lento socchiudersi e schiudersi delle palpebre è l’unico movimento che fende gli istanti muti e scandisce il conto alla rovescia che porta e precipita verso l’inizio di un nuovo perturbamento.
Tra i fogli c’è una collana di nomi candidi, bianche gemme in cui si annunciano i canti possibili, ma quando il nome sboccia in suono i sensi si scoprono irrimediabilmente nudi, scoprono che nessun annuncio li preserva o prepara al turbamento, al piacere che sconvolge. La poesia sorge e travolge fatale, senza lasciare alcuna possibilità di difesa, si manifesta attraverso una musica che accarezzando destabilizza, che toglie il fiato per donare il suo respiro. Un nuovo gioco è inaugurato da una voce che onora con la creazione la memoria del Silentium di Mandel’stam e conduce Negli abissi fra i palpiti, illuminando la parola e pretendendo per essa cura, attenzione, amore… quell’amore che rende infinito l’Uno, il solo numero vero. Il sentire percepisce con chiarezza che ciò che sta accadendo è necessario, è la forma necessaria di una sostanza generata dal moto di anime alla ricerca, di sensibilità che si nutrono del cambiamento che è evoluzione costante. A meravigliare ed innamorare irrompe la Notte, sopraggiunge a mordere il cuore, si condensa in gola ed affiora in una lacrima che si posa sulla lingua a far sentire il sale di sensazioni insopprimibili… il corpo la trattiene, ne ha e ne è memoria. È bellissima, in modo quasi insopportabile, la carne e lo spirito si fondono per sostenerne l’intimità ed accogliere il Ricordo che consegna.
Ai sensi Schiele, lei, me riserva voluttà per portarli a perdersi nel vicendevole sedursi degli strumenti e della voce. I gesti di Luca Bergia e Paolo Saporiti sono un suolo di pulsazioni su cui danzano le atmosfere tessute da Davide Arneodo con le tastiere e il violino, un suolo seminato dalle mani attraverso le chitarre. Mani nodose, mani di mirra. Mani morbide, mani di madreperla. È come se in queste si condensassero le gambe, le ginocchia, il ventre, il petto… è come se tutto il corpo, tutta la carne, tutto il sangue fosse nelle dita, quelle di Cristiano Godano e Riccardo Tesio, e tra quelle dita le corde e l’aria a ricevere ferocia e dolcezza. Le falangi sfiorano lente oppure divorano con la frenesia dei battiti d’ali che anelano al volo, irretiscono la percezione e vi effondono nuove spore, nuovi nuclei dal potere germinativo pronti a deflagrare, ad inondare. Travolti dall’infiorescenza delle fiamme e delle cellule, si osservano le molte chitarre che vengono abbracciate, ogni stretta dice quanto siano sostanziali i dettagli, come fin nelle sfumature sia versato senso, e rammenta che “un sospiro può affilare il taglio del rasoio”. Una carezza può essere assordante, lo si apprende dalla mani che graffiano con baci lievi.
Bellezza, manifesto di vite dedicate e dedite all’incanto, si dispiega tra la violenza empia di 111 e il fascino scuro, denso, di Ineluttabile per far sentire come la seducente Marlene Kuntz ha avuto, ha e continua ad avere un’anima dalle molteplici forme che oscilla tra distorsioni ed equilibri, tra oscurità e luci, un corpo in continuo divenire che ha in sé la fecondità dell’apollineo congiunto al dionisiaco e per questo la bellezza la sa far accadere tanto urlando quanto sussurrando, curando o violentando. L’elegante signora dalle membra di musica ha scelto, preteso, il buio caldo ed accogliente dei teatri per donare la sua nudità, ha deciso con cura quale pelle indossare e dare in pasto al sentire. I canti scelti per avviluppare sono quelli che non hanno richiesto di essere violati per farsi portare sulle tavole lignee e tra i velluti, sono quelli nell’essenza protesi da sempre verso una dimensione in cui poter venire accolti da una carne cosciente.
Marlene Kuntz ha voglia di donarsi e questo farsi dono non può concedere nulla alla superficialità, alle distrazioni, richiede tensione e riflessività. Marlene Kuntz ha voglia di dialogare, di aprirsi all’altro. Da questa voglia sono nate le quattro visioni di Musa, i contrappunti letterari di Uno. In questa voglia è sorta la possibilità di vestirsi delle parole altrui e di ammantare di sé queste… è lì che, sublime e folgorante, Impressioni di settembre ha preso corpo. Ed altri dialoghi, da Gaber ai Diaframma, si annunciano possibili, desiderati.
Voluttuosa e superba Marlene Kuntz ha così presentato la via lungo la quale vuole condurre i suoi amanti, per questa sera il rifugio in cui ci si ferma dopo tredici vertigini è il languore de L’esangue Deborah, un brivido in cui restare.
Cristiano Godano, Riccardo Tesio e Luca Bergia, insieme a Davide Arneodo e Luca Saporiti, hanno svelato con gesti inebrianti i colori e i sapori del Live In Love tour, di canzoni ed anime in amore, immerse e fatte dell’amore per la parola, per la lingua che è poesia, per la nota che dà corpo ad immagini, per la bellezza e la sua malia.
Il sangue torna a farsi abbracciare dal silenzio, per sentire una consapevolezza ormai fusa in lui…“Voglio aver bisogno di te: come di acqua confortevole”… e nel silenzio la canta alla grazia di Marlene.
“Tu mi uccidi, mi fai del bene./Ho ancora tempo./Te ne prego,/divorami,/deformami/fino all’orrore…” (Marguerite Duras).