La magia si compie nel momento esatto in cui, perfettamente conscio di essere in quel preciso luogo in quel preciso momento, è come se ti trovassi altrove.
Sei libero di scegliere il colore delle pareti, di annusare tabacco o fiori, di accomodarti alla finestra più alta e spiare il mondo, di immaginare il fiume, le luci gialle della città, magari Praga, forse Madrid.
Puoi lasciare il letto disfatto, la tavola sparecchiata, camminare a piedi nudi sul pavimento o sull’asfalto.
Puoi inventarti un vestito rosso e uno scialle di lana nera, la perfetta solitudine di un pomeriggio di pioggia, un prato in fiore da abbracciare e da stringere (Lucida). La maschera dei soliti giorni la puoi abbandonare lì, sul comodino, sul marciapiede o sul sedile accanto al tuo. Bastano una chitarra, un contrabbasso e quella particolare voce che tocca le corde del silenzio infrangendolo di malinconia. Tre dettagli dentro alla penombra, a cui un certo buio si addice quasi languidamente, e tutto è da capo, da dentro, da re-imparare e sentire. Ti ritrovi A rubare il fuoco / Per poi nasconderlo su un’isola perduta / Che è solamente tua (Nel cuore del vulcano). Scopri che somigliano tanto ai tuoi i rancori e i segreti che, su quelle mattonelle lucide, si muovono lenti e fragili (Rancori e Segreti). Giuliano Dottori, con la preziosa cura di Marco Ferrara, mette in scena la sostanza buona dei sogni e della polvere sulle scarpe, dell’illusione e della fuga, dei ritorni e dell’attesa. Cinque pezzi (Nel cuore del vulcano, Rancori e segreti, Lucida, Mi specchio in te e Le cose semplici), venti minuti di poesia semi-acustica (Primavera Live 2008) che non riesce a nascondersi, che non può farlo. Con la semplicità di una mano quando si appoggia al petto, ogni brano è un gesto d’istinto dentro ai dettagli di una disarmante consapevolezza: gli accordi, come dita, afferrano; l’accompagnamento, come respiro, trattiene; la voce, come sguardo, ferisce curando (Lost Gallery).
La magia si compie, nuovamente, nel momento esatto in cui, perfettamente conscio del calore che si accumula attorno a te, della presenza di volti e mani e obiettivi, senti l’esatta consistenza dell’energia che si prepara, si accumula, pronta a farsi schianto, elettricità, grido. E’ palpabile, è nell’aria insieme all’ossigeno. E’ invadente, come luce bianca che acceca ed insieme svela. Ed ecco che esplode in un attimo, frantumandosi in scaglie di note, di parole pronunciate con l’irriverenza dell’onestà, con la sfacciataggine dei tempi perfetti, dei ritmi che insinuano contatto. Paolo Benvegnù e il suo ensemble si appropriano dello spazio, del movimento, delle età di questa sera e ne fanno musica, solo musica, tutta musica dal ventre, rock d’amore assoluto. Vedi la bocca arrotondare le parole, appuntire le lame, srotolare i sensi. I passi sbattono sul palco, le corde tagliano l’equilibrio, lo ricuciono, il rullante sentenzia gli strappi, li inculca, i piatti li infrangono, la melodia disfa i contorni poi li innalza, li abbatte, li spoglia. E’ tutta potenza delle canzoni, una ad una, da La schiena fino a La distanza, attraversando gli universi di Amore santo e blasfemo, La peste ed Il Nemico; è tutto un rincorrersi di parole perfettamente sensate, di una poesia che non si appoggia sul cuore ma lo invade, lo sfinisce di senso. Interno notte, Cerchi nell’acqua, Jeremy: la grazia, la pirotecnica del cuore, la naturalezza della lotta. Sintesi di un modello matematico, 5 secondi, Il mare verticale: l’impeto del tutto che in potenza si ricompone, precipita, sfida la memoria, il riposo, le stagioni; l’urgenza degli istinti primordiali; la salvezza nella perdizione, la fame assolta dalla sete. Suggestionabili è una granata che deflagra l’ordine e sprigiona impeto: un arrangiamento che stordisce tramuta la confidenza della ribellione in un’ammissione di colpevolezza, in cui il peccato è la verità, il torto è l’aver avuto ragione. L’effettistica, i timbri, i monologhi armonici, la tempesta ritmica non lasciano il benché minimo spazio al ripensamento: le fronti sudano, le labbra si tendono, la voce abbandona ogni pudore e schiaffeggia, limpida e prepotente. Tutto potrebbe finire qui. I muri sono pregni. Milano è altrove, definitivamente, almeno questa sera. Ma Il sentimento delle cose riapre l’uscio immaginario di questo tempo di liberazione ed è ancora musica di tendini, di mani, di talenti liberi, liberati; è ancora musica d’impulso e di pelle, di piaghe e premure: è L’ultimo assalto, è Cosa sono nuvole, è Simmetrie. In un momento, Paolo Benvegnù si porta sul bordo del palco, da solo, con la sua voce e la sua chitarra e Catherine gli esce dal corpo come uno spirito, si incarna in vibrazioni di un’intensità irragionevole e si impossessa di ogni singola fronte rivolta verso di lei. 1784 trattiene le fronti lì, in alto, ancora un po’. E’ la canzone ad averla vinta, sono le canzoni il vero segreto di questi cinque corpi che non lesinano su nulla, che non si risparmiano: Guglielmo baratta semitoni con Luca e Paolo, Luca intuisce le bacchette di Andrea e rimarca i tocchi di Guglielmo, Andrea lima le distanze fra ogni singolo accordo, Igor sottoscrive la verticalità dei suoni, Paolo amalgama, destruttura, dialoga, concatena, mette corpo dove resiste la pausa del respiro. A mani nudi, a piene mani, l’atavica purezza rock dello scambio fra i cinque sostiene e innalza le canzoni: il fine giustifica i mirabili mezzi.
Il finale è un abbraccio collettivo, una burla elettrica, chiassosa ed elegante, una revisited version di Troppo poco intelligente in cui ciascuno concede alle proprie braccia, al proprio veicolo di bellezza l’estro creativo di un po’ di sana follia: su un ring immaginario sono in cinque a prendere a pugni le certezze di un certo modo di fare musica.
E adesso voltatevi, riprendete la via di casa e non stupitevi, non fatelo, se stringendo le mani una sull’altra per il freddo che ancora punge sentirete un certo benessere scaldarvi le ossa più del cappotto. Non stupitevi. Non fatelo. E’ la magia che persiste, che non vuole smettere di compiersi. (Lost Gallery)
Donna!
Grazie.
Leggendo sentivo la smania nei nervi.
Ricordi elegantemente restituiti.
Ricordi impressi in mani strette.
Grazie.
Ricordi elegantemente restituiti.
Ricordi impressi tra mani strette.
Grazie.
Due grandi nella stessa sera.
E presto li vedrò live.
Grazie Rob.