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Dal Parnaso a Teignmouth: i Muse

Nell’antica Grecia le Muse erano nove, ognuna protettrice di un’arte. Abitavano il Monte Parnaso ed erano venerate e invocate dagli artisti, al fine di avere la giusta ispirazione e dare così vita alle opere che ora ben conosciamo. A distanza di migliaia di anni, i membri dei Muse nascono a Teignmouth (Devon, Inghilterra) e sono tre: Matthew Bellamy, Christopher Wolstenholme e Dominic Howard e l’ispirazione certo non manca loro. Come hanno dimostrato il 14 marzo scorso, data dell’ultima uscita discografica dei Muse. Si tratta di Haarp, un cd/dvd rigorosamente live, che ferma la loro doppia performance al Wembley Stadium di Londra nel luglio del 2007 nel corso del Black Holes and Revelations Tour. Imponenti giochi di luci e un grande palco hanno caratterizzato quest’ultimo tour che ha trovato un forte riscontro da parte del pubblico, sempre numerosissimo ad ogni spettacolo.

Ma questo rappresenta solo l’ultimo episodio di una carriera decennale, baciata sempre da un enorme successo.
La scuola è il luogo delle prime scoperte, dei primi confronti adolescenziali, delle prime scelte indipendenti. È il luogo dei primi incontri e scontri, della voglia di mettersi alla prova per emergere. Per Bellamy e compagni non è stata solo questo: è il 1992 quando per gioco mettono insieme la loro prima band, i Gothic Plague, in seguito diventati anche Fixed Penalty e Rocket Baby Dolls. Sotto quest’ultimo nome, nel 1996, ormai studenti universitari, partecipano ad una sfida tra bands concorrenti che li incorona vincitori. È il loro primo successo, ma li convince che quella potrebbe essere davvero la strada giusta. Tutte le loro decisioni iniziano così a condurli verso la loro storia come musicisti: prima di tutto lasciano l’università per dedicarsi completamente alla musica. In secondo luogo cambiano per l’ennesima volta nome per assumere quello definitivo di Muse e iniziano a solcare numerosi palchi della loro Inghilterra. In questo modo riescono ad attirare l’attenzione su di loro e nel 1998, grazie ad alcuni felici incontri, registrano i loro primi due ep, Muse e Muscle Museum sotto l’etichetta Dangerous. L’esito, specie del secondo ep, è fin da subito decisamente a favore della band, ma non sembra bastare. Le case discografiche britanniche sono sì curiose, ma non al punto di portarli nelle loro fila. Sono quelli gli anni degli Oasis e del brit-pop, genere che riscontra il maggior successo e da cui però i Muse sembrano piuttosto lontani. Loro osano, sapendo di correre il rischio, e scelgono di sperimentare suoni che rimandano all’elettronica, senza perdere di vista il gusto per un certo lirismo. I loro modelli sono i Radiohead, gli americani Smashing Pumpkins e Nirvana, solo per citarne qualcuno. Ed è proprio l’America, attraverso
la Maverick Records, a dare piena fiducia ai Muse, organizzando prima una serie di concerti e mettendoli sotto contratto subito dopo. La conferma avuta Oltreoceano concede loro una maggior credibilità anche in Europa, dove, al loro ritorno, trovano una serie di contratti per registrare il primo vero e proprio disco. È John Leckie, già produttore di Radiohead e The Verve, a seguire la nascita nel 1999 di Showbiz. È un manifesto delle loro velleità artistiche. Pur alternando generi completamente diversi, è in grado di rendere evidente quella che poi sarà la linea di distinzione dei Muse: sono tre musicisti capaci di proiettare all’infinito il loro potenziale, ottenendo un suono pieno, orchestrale, accompagnato dalla particolare voce di Bellamy, alta ma mai fuori tema, mai spropositata. Tra il 1999 e il 2000, i Muse viaggiano al seguito di Foo Fighters e Red Hot Chili Peppers aprendo le loro date americane. Il loro tour li porta ad esibirsi poi in tutta Europa e in Giappone recuperando così un sempre più elevato numero di fans. L’unico che si permette di dissentire è Tom Yorke, voce dei Radiohead, che non vede nulla di originale nel primo lavoro dei Muse, ma solo un mero tentativo di imitazione dei suoi lavori. Nonostante questo, i giovani Muse continuano ad accumulare esperienze su esperienze che li portano molto velocemente a registrare Origin of Simmetry, il loro secondo disco. È un disco più duro, più netto, che vuole riflettere in qualche modo il caos emozionale e concreto che li circonda: nel giro di poco tempo le loro vite sono state letteralmente stravolte. Sempre in viaggio, sempre a suonare, a scrivere, a volte senza nemmeno la reale consapevolezza di ciò che sta succedendo. La loro bravura è stata quella di rendere uno stato d’animo confuso con grande armonia e di riuscire a farlo nonostante i limiti inevitabili di una triade, superati con la sperimentazione di altri strumenti di uso meno abituale. Il tour che segue diventa l’occasione per l’uscita del primo dvd live, Hullabaloo, con la loro performance a Le Zenith di Parigi. Insieme viene prodotto un doppio cd, contenente, oltre al medesimo show, anche una collezione di tracce b-sides.
Il 2004 è l’anno d’oro per i Muse con la consacrazione da parte della critica e soprattutto da parte del pubblico. È l’anno dell’edizione di Absolution e il titolo è già un programma. La sperimentazione continua negli arrangiamenti e i temi trattati non sono che l’evoluzione naturale del contenuto di Origin of Simmetry. È un disco apocalittico che asseconda l’interesse per la scienza e il sovrannaturale insito in Bellamy: sua madre era solita organizzare sedute spiritiche nel soggiorno di casa influenzando notevolmente i pensieri del figlio. I brani sono accattivanti, con ritmi e suoni capaci di avvicinare un pubblico più variegato. Il successo è assicurato e confermato da un tour sempre sold out, dalla partecipazione a grandi Festival e dai numerosi titoli che la critica conferisce loro. Curioso il tributo che a fine 2004
la Tallywood Strings, sostenuta dalla Vitaminic Records, offre alla band: si tratta di The String Quartet Tribute to Muse, un disco puramente strumentale, in cui l’orchestra esegue alcuni pezzi del gruppo. Ormai i Muse sono diventati delle vere star e non si sottraggono nemmeno all’impegno politico, esibendosi sul palco parigino del Live8 nel luglio del 2005.
Nel 2006 esce il disco Black Holes and Revelations, parzialmente registrato presso le Officine Meccaniche di Mauro Pagani a Milano. Decisamente rock, è il disco dei grandi singoli. È un disco in movimento, in divenire, come se i Muse stessero ancora cercando il proprio sé più interiore da mostrare. Lo strumento di questa ricerca è ancora la sperimentazione e l’unione dei generi: dalla ballad più tradizionale all’elettronica più spinta, dalla batteria sempre più roboante all’introduzione degli archi.
Questo è forse il vero segreto della band, la capacità di stupire sempre senza tradire se stessi e la loro arte. E dalla sommità del Monte Parnaso le Muse sorridono beate.

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