Due date per assaporare al meglio. Al primo assaggio non sempre si comprende bene il gusto. Spesso, quando si è seduti a tavola è una scusa vera e propria: “Ce n’è ancora? No perchè… non ho capito bene se mi piace o meno!?”, ma in realtà è come chiedere un bis perchè si ha di fronte qualcosa di tanto gradito e soddisfacente da volerne ancora per godere di quel gusto particolare, unico e difficilmente descrivibile.
Pure con gli Hollowblue ho pensato di fare così, nascondermi dietro ad una scusa per non volere ammettere a me stesso di essermi innamorato di determinati suoni e parole.
La scusa era perfetta, con un costruzione a regola d’arte che parrebbe veritiera: il primo dei due concerti non godeva di un’acustica ottimale, quindi occorre ripetere.
In parte è vero, dato che il suono migliore si poteva sentire solo vicino al bancone del bar al fianco del palco perchè lì le note giungevano direttamente dalle spie usate dagli stessi musicisti. Altrove nel locale, l’acustica rimbombava, andando un po’ a coprire la voce e il violoncello.
E così si passa dall’Emilia alla Romagna, senza varcare confini ufficiali se non quello virtuale tra le due subregioni. Seguire gli Hollowblue a Parma e a Forlì in due concerti in locali completamente diversi con l’intento di assorbire tutte le note possibili, dato che forse dovrò aspettare un po’ di tempo prima di rivederli in zona.
Le scalette dei due concerti sono pressoché identiche, ma ciò non riesce assolutamente ad annoiarmi perchè quello che osservo è un vero e proprio spettacolo in cui parole e musica riescono in una perfetta soluzione. Non solo concerto quindi, perchè la presenza di Dan Fante è un valore aggiunto all’esibizione. Un asso che Gianluca Maria Sorace (fondatore della band, cantante e chitarrista) ha trovato per caso nella manica della sua camicia perfettamente stirata.
Tutto nacque dopo la collaborazione con Anthony Reynolds durante la registrazione del primo Ep del gruppo (What you left behind), quando lo stesso musicista inglese diede a Gianluca il contatto di un amico americano. La mente degli Hollowblue non si occupava solo di musica, ma pure di grafica, e il “fantomatico” amico americano cercava aiuto per la realizzazione del suo sito internet. Il musicista livornese conosceva le opere del famosissimo padre di Dan (John Fante, che scrisse, tra i più famosi in Italia Chiedi alla polvere, La confraternita del Chianti e A ovest di Roma), ma non approfonditamente quelle di Dan, anch’egli scrittore di romanzi e poesie. Tra i due, pian piano il rapporto si strinse diventando sempre più saldo, fino a quando Gianluca chiese a Dan di collaborare con gli Hollowblue.
“Cause I’m your master – I’m your magicians – I’m your ruler, and you’re slave. Your my intergalactical fool”.
Queste sono le straziate parole di Dan Fante presenti in First Avenue, canzone che apre entrambi i concerti come pure l’ultimo album della band, dal titolo Stars are crashing (in my backyard).
Ad anticipare l’esecuzione di questo pezzo però, il palco viene lasciato a Dan Fante accompagnato dal violoncello di Ellie Young. Parole spesso dure come il cemento prendono vita in una voce che sa essere tanto roca e tonante, quanto pacata ed elegante.
Lo spettacolo inizia: odore di poesia nell’aria, e a guardare ora la copertina dell’album riesco a sentirlo di nuovo.
Il dipinto di un letto sfatto, con due cuscini e le lenzuola stropicciate: un giaciglio abbandonato di corsa, per fuggire forse. Uno di quei due cuscini, ne sono sicuro, conserva ancora l’odore della persona amata che non c’è più; probabilmente proprio quella di cui parla la poesia di Dan Fante che ha trovato musica e canto in First Avenue.
“Go, drive for a long, and could reach where stars begin”. This summer continua a dipingere l’idea della fuga, mentre il violoncello ha la capacità di far colare tensione e drammaticità come vernice su una tela.
L’appassionato e sconsolato canto di Gianluca Maria Sorace sembra perdere sempre delle sfide con le note del violoncello, che negli Hollowblue è davvero un voce aggiunta, la quale si scontra, combatte, ed appunto spesso vince. In Stars are crashing in Mexico! lo strumento ad arco pare davvero simulare lo schianto di una stella che precipita a grande velocità.
Nelle due date, non vengono eseguiti soltanto brani tratti dall’ultimo album: What you left behind e Baker sono contenute nel precedente ep e colpiscono per la loro incredibile intensità emotiva sempre accompagnata da un’eleganza che ha un raffinato gusto antico.
L’esibizione della band al completo è alternata alle letture di Dan Fante. Il poeta-romanziere americano viene ogni volta coperto di applausi, che talvolta sembrano addirittura stupirlo. Lo sguardo che poc’anzi era tanto serio e distaccato dalla realtà circostante ma immerso nell’essenza delle sue parole, in quel momento di lieve imbarazzo subisce una vibrazione, svelando un sorriso di una sorprendente umanità.
Come introdotto dallo stesso cantante, la voce di Gianluca Maria Sorace, nell’esecuzione di We fall deve fare a meno dell’incantevole duetto con Lara Martelli. Nella versione su album le due voci vanno ad avvolgersi suadenti, una all’altra. Dal vivo, gli Hollowblue riescono a rielaborare il pezzo rendendolo efficace nella sua dolcezza anche senza l’importante presenza della cantato femminile della Martelli.
Tiger alterna momenti leggerissimi, altri più ritmici ed altri ancora fortemente distorti dalla chitarra che per poche altre volte si apre veramente al rock: questo è indubbiamente il pezzo più coinvolgente dello spettacolo. Il pubblico si muove a tempo, batte le mani e sorridere sostenuto dalla freschezza della musica.
Tutti i pezzi si susseguono con eleganza e calibrata energia. A quest’ultima viene data minore importanza nel lavoro in studio, mentre allo spettacolo live riesce ad aggiungere una indispensabile dinamicità che è incarnata nell’eccentrica personalità di Sorace, del quale lo sguardo è nascosto per tutto il concerto da ampie lenti di occhiali da sole e il capo coperto da uno stiloso ma audace cappello in stile cow-boy.
Gli Hollowblue confermano la grandezza dell’album anche nella prova dal vivo, dove i componenti del gruppo paiono cosa sola, sia sul piccolo palco di Parma che in quello più dispersivo di Forlì. Tra di loro si nota la passione, la sintonia e professionalità che è indispensabile a portare avanti un progetto artistico ricco come il loro.
La magia dell’incontro con Dan Fante viene ribadito nel bis, che dopo un’altra canzone compresa nel primo Ep della band (Triplex sin), ripropone First Avenue dove la voce dello scrittore americano si affianca ad un delirio strumentale in cui batteria, basso, chitarra e violoncello si lasciano andare prima di ricomporsi nell’eleganza che contraddistingue ogni brano.
Non è vero che le emozioni più vere sono quelle scaturite da cosa semplici e dirette: l’accuratezza degli arrangiamenti, lo stile e la precisione possono regalare tantissimo se sostenuti da sentimento e generosità emotiva.
Gli Hollowblue donano vibrazioni che con cura entrano nel profondo, unendo la poesia musicale a quella delle note. Gli Hollowblue sono una lezione di stile per cuori ribelli e lo stesso Dan Fante ne è forse la prima vittima.
I colori che si susseguono di nota in nota sono un’efficace terapia dell’animo, da ripetere con costanza. Come andare in palestra. (Lost Gallery)
Non c’ero ma c’eri tu. Bellissimo live report. Hollowblue sono una delle migliori band pop che ci sono in giro attualmente in Italia. Hanno classe.