Arrivare a Calusco d’Adda non è complicato grazie alla mia renna che con il suo nasone blu non sbaglia un colpo (io non ho un triangolino o una macchinina sul navigatore GPS… ho una renna. E si chiama Rudolfa).
Le cittadine intorno a Bergamo sono piccoli agglomerati urbani, che si sviluppano su una strada principale: all’inizio del paese e alla fine ci sono le zone residenziali, gli spazi pubblici e poi i capannoni industriali. Quando si scorgono grandi edifici squadrati senza finestre si sa già che ormai il paese è finito, e presto ce ne sarà un altro, forse uguale al precedente. Al suo ingresso ci sarà sempre una rotonda di nuovissima costruzione che ci farà perdere i sensi mentre gireremo a vuoto un paio di volte come trottole impazzite prima di trovare la retta via.
Non ci sono persone in giro il venerdì pomeriggio per questi paesi; i negozi sono aperti, i bar non affollati, noto pure molte banche. Ma non giovani. Tante macchine in movimento ma nessuno “a spasso”.
Dove si nascondono?
Ora riesco a capire cosa vuole essere il Neverland Festival. Solo ora riesco a comprendere a fondo la necessità radicata nel tessuto urbano e sociale in cui gli organizzatori del festival hanno voluto affondare il colpo!
Ora mi esalto sentendomi parte di questo evento davvero speciale. Un’iniziativa di questo genere pare come i fuochi d’artificio sui laghi, che si guardano un po’ con il naso in su… e un po’ anche giù.
Grandi nomi della musica rock italiana per due giorni di concerti rigorosamente gratuiti, da vivere, sudare e ammirare da sotto il palco. E poi, come riflessi luminosi sul pelo dell’acqua, un po’ più in basso rispetto il palco si possono osservare le locandine dei prossimi eventi diffusi sul territorio: una moltitudine di feste che affolleranno l’estate bergamasca. Altri grandi nomi della musica rock italiana: da Benvegnù ai Juan Mordecai (ex Karma), dai Lombroso ai Tre Allegri Ragazzi Morti e tanti altri.
Uno spettacolo che ne anticipa altri e prepara gli animi per i suoi futuri spettatori: ragazzi che hanno scoperto l’isola che non c’è, e non possono davvero viverne senza.
Il Neverland Festival è una vera e propria esaltazione delle “capacità giovanili”. Sotto le magliette dello staff del festival battono cuori giovani di ragazzi che vogliono essere “protagonisti della propria vita” proprio come più tardi i Marta sui tubi augureranno a tutti quelli presenti. Un augurio sentito ed amplificato dalle note della musica suonata per tutta la serata.
Quando cala il sole lo spettacolo musicale è anticipato dalle parole del sindaco di Calusco d’Adda e dei promotori dell’evento di Promoisola: l’isola questa sera c’è, sparirà, ma di sicuro lascerà il segno.
Il primo gruppo che si esibisce ha la grande incombenza di scaldare un pubblico ancora sparuto, ma i Green Bricks sanno il fatto loro, e conoscono bene i modi per far divertire i loro coetanei: sono sei giovanissimi musicisti che solleticano sorrisi con la loro frizzante musica ska. Superate le selezioni tra band emergenti locali, i Green Bricks portano al Neverland un genere che mai si direbbe essere nel dna della città di Bergamo, ed anche per questo stupisce la disinvoltura con cui tengono il palco, divertendosi. Tra i pezzi eseguiti spicca la cover della famosissima Sotto questo sole (Baccini e Ladri di biciclette) che nella loro rivisitazione ska fa divertire il pubblico che sta giungendo numeroso. Daga dett incuriosisce per il cantato bergamasco a me (ahimè) incomprensibile, mentre l’ultima Rock steady d’amor è quasi acclamata dal seguito che la band può vantare. I Green Bricks riescono a colpire e a far passare un po’ di tempo con spensieratezza anche a persone come me non particolarmente amanti di certe sonorità ska che spesso appaiono sterili esercizi di copiatura dei più famosi interpreti del genere (Giuliano Palma e Roy Paci in primis). I Green Bricks forse hanno dalla loro parte la gioventù, che li rende spensierati di natura e non per professione.
Dopo pochi minuti il palco del Neverland offre l’altra faccia della medaglia del panorama musicale locale: i Gea. La rock band bergamasca, che può vantare una storia più che decennale, offre al pubblico la tecnica e la potenza di un suono spigoloso e graffiante. Vero sudore e vere smorfie di sofferenza si dipingo sul volto del più classico trio che il rock possa offrire: basso, batteria, chitarra e voce. L’imponenza fisica e sonora si fa sentire. E scuote. E scava le interiora con pezzi inediti che andranno a far parte del nuovo album della band (registrazione prevista tra settembre ed ottobre). Il canto in italiano di Figli di Sannata e della più famosa Cocktail si alterna con l’inglese degli altri pezzi a dimostrazione che la lingua è un mezzo importante, ma non indispensabile: la musica dei Gea parla una linguaggio di viscerale potenza, forse non universalmente apprezzabile, ma di indubbio impatto sonoro ed emotivo. La musica si muove dentro i tre musicisti come bestie in gabbia, che solo sulle pelli della batteria e sulle corde di basso e chitarra riescono a trovare libertà.
Terminata l’esibizione del power trio bergamasco è giunto il tempo per l’ingresso sul palco di altri tre musicisti che si avvicendano in un curioso scambio geografico: dalla Lombardia alla Sicilia.
I Marta sui tubi possono essere ben felici di aver fan sparsi su tutto il territorio, e trovare anche a Bergamo un folto gruppo di sostenitori che li acclama e li applaude come per ricordare loro che non è un sogno, ma il loro successo è vero (anche se pare quasi una favola nata nel microcosmo di una godereccia via di Bologna che li porta ora protagonisti sui palchi di tutto lo stivale).
Vecchi pezzi affiancano i più recenti, fino alle nuovissime canzoni contenute nell’ep L’unica cosa.
Si parte con i veri manifesti dei Marta sui tubi: Muscoli e dei, poi Stitichezza cronica dove l’umorismo satirico e critico dei Marta sui tubi riesce a riscuotere sorrisi che lasciano sempre un poco di amaro in bocca.
Lo stesso sapore che lasciano lacrime ghiacciate e spremute di dolore di Amaro amore, che come una medicina effervescente gratta il palato e brucia lo stomaco per mezzo della chitarra di Carmelo Pipitone.
Una grande capacità dei Marta sui tubi è di riuscire a toccare le corde della simpatia senza banalità e superficialità, e ciò prevede anche di trattare pensieri, testi e parole spesso cupi od evocativi.
“Io non sono la stella cadente che continua a guardarti precipitare nel vuoto”: parole semplici come queste riescono a carpire l’attenzione di un vasto pubblico che si riscontra e si perde nel leggere la propria vita nelle note. La musica come colonna sonora di esistenze comuni tra risate e bestemmie, lacrime e carezze: questi sono i Marta sui tubi.
Come un Equilibrista, Giovanni Gulino gioca con la voce e gli effetti, camminando sulle vibranti corde di chitarra servite da Carmelo. Ivan Paolini alla batteria scuote il terreno per aumentare il rischio di caduta; mai nessuno dei tre si sbilancia troppo proseguendo in un’esibizione funambolica e furibonda.
L’arrembante L’unica cosa fa saltare il pubblico, mentre Pleiboi strappa sorrisi anche se forse non tutti riescono a scorgere la citazione all’arte dei registi siciliani Ciprì e Maresco.
I momenti più emozionanti sono alternati dai pezzi più folli, si ascoltano così affiancate la splendida Cenere e la quasi comico-teatrale Volè, seguita da Il giorno del mio compleanno; poi di nuovo la serietà e poeticità di La tua argenteria.
“Le case in cui ho vissuto erano cieli chiusi dentro ad una scatola”: Giovanni Gulino sembra parafrasare i più celebri versi de Il cielo in una stanza, facendone assumere significati differenti che descrivono l’abbandono dei luoghi, degli oggetti, delle abitudini, degli affetti, il tutto con un sofferente crescendo che toglie il fiato.
I Marta sui tubi con 31 lune aprono le porte del pop: un’attitudine vera e viva nella loro musica che sa trasformare tratti talmente crudi in pezzi come questo, in cui le due voci si affiancano senza la loro solita ruvidità, stupendo per la dolcezza e la curata armonia dei suoni.
La tensione rimane alta con gli ultimi due pezzi a dir poco immancabili: Vecchi difetti e Post.
I due brani più intensi della band di Marsala chiudono la serata con tanta energia che vede Carmelo ed Ivan come cosa sola picchiare la musica fino a lasciarla esanime a terra, come le chitarre sbattute sul palco violentemente.
Le luci crepuscolari presenti sul palco danno forma e colori all’impalpabile ed indefinita emozione che scarta i sentimenti per farsi avvolgere da semplici sensazioni. Una fuga di domande per rispondere a domande senza risposta apparse guardandosi dentro, nudi, attraverso lo sguardo di Giovanni.
Alla fine dell’esibizione il grazie rivolto al pubblico è qualcosa di vero, e gli applausi altrettanto. Chiedersi quale tra i due sia venuto prima più spontaneo è un po’ come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina. Si sa solamente che senza uno non esisterebbe l’altro, perchè il rapporto dei Marta sui tubi con il pubblico è un rapporto vero, a modo suo d’amicizia.
Lo spettacolo è finito. Domani altre band spanderanno echi di emozioni dal pomeriggio fino a tarda notte.
L’isola risuona di vita e di musica… ed è valsa la pena fare chilometri e chilometri per naufragare fin qui. (In collaborazione con Valentina Colaianni e Ilaria Agrò – Lost Gallery)
Già ero super invidiosa quando mi hai parlato del Neverland Festival e mi hai detto che ci saresti andato….ora che ho letto la recensione vado a sbattere la testa contro il muro! Eh sì, tu c’eri….io no….