Home / Editoriali / Ma il tuo scialle stanotte / E’ una persiana crudele: Lo.mo + Cesare Basile Live @ Circolo Sancho Panza (VA), 17/05/08

Ma il tuo scialle stanotte / E’ una persiana crudele: Lo.mo + Cesare Basile Live @ Circolo Sancho Panza (VA), 17/05/08

Piove. Piove un’acqua densa, invadente. Su quest’angolo di Lombardia, fra questi tetti di Varese, dentro alle scale del Sancho Panza: piove. Entra, la pioggia, fino a dove si paga pegno per un po’ di buona musica. Entra ed imbarazza il momento con l’arroganza che solo la natura riesce a concedersi senza che tu possa avere qualcosa in contrario. Ferma il tempo e lo trattiene dentro al rumore di lamiera sbattuta, nel sottofondo degli scrosci. Lo protegge, il tempo, risparmiando la caverna, il luogo degli accordi. Siamo in molti, siamo qui a prendere, a fare nostre le loro storie, ad ascoltarci raccontati, visitati, scoperti. Visitati nel luogo della fuga dalla voce grave di Roberto Binda, dalle sonorità di questi Lo.mo in ottima forma, perfettamente intonati alle attese. Scoperti nel segreto dell’indugio dalle mani sporche di Caino, dalle confessioni di Cesare Basile, delle dita sapienti di Lorenzo Corti.

Il tre nel segno ci lascia accomodare fra le parentesi di un’intuizione noir, clandestina; i Lo.mo misurano lo spazio, il suono, le ombre. Piano, voce, basso, chitarre: una dimensione appagante, senz’angoli di fiato, in cui è più facile sentire il peso di ciascun tasto, di ogni corda pizzicata. La bellezza sinuosa, insinuante, di Un altro mare viene a cullare, a travisare il peso degli orizzonti. Chitarre e pianoforte si misurano in un battito d’onde che innamora, che desta. Lucio Bardi (ospite d’eccezione della formazione) ci regala, come sempre, il gusto di una maestria intatta, di una passione acustica di rara energia. Piaceri singolari, Pensiero magico, Una sangre: una ad una prendono corpo, si alzano, ci vengono incontro. Non offrono un’alternativa, non schivano l’offesa e Roberto Binda lo scrive, ce lo racconta: della voglia di abbandonare un posto, di andarsene via, dei sensi di colpa che poi ti stringono i fianchi, che tolgono freschezza al respiro, lo manipolano d’ipnosi, di bugie. Sono storie, tutte, con un denominatore comune: la sconfitta e quanto la sconfitta nasconde nelle proprie tasche; il riscatto che ne viene, che deve venirne, fosse solo per mano di una memoria attenta, che riesca a non concedere troppo al perdono. Sono visioni, zattere, zavorre. A volte sono doni, come Una storia incompiuta, omaggio ad Anna Maria Ortese ed al suo Il mare non bagna Napoli, omaggio ad un amico che ha saputo innescare la miccia della curiosità; come Piccola strada, pacato addio in bianco e nero, addio a sé, a un noi corrotto d’aspettative, deluso e fragile, bisognoso di semplicità, d’essenziale. Talvolta sono diari, custodi di sensi e sapori, come Il gusto del ricordo, foschia di battiti e premura del commiato. Ci salutano così, i Lo.mo, invitandoci a restare, lasciando il testimone a bordo palco perchè altre chitarre lo raccolgano, perché l’eleganza di una voce sottile lo afferri e ce lo ri-conduca. E’ con la sua Gli Agnelli che Cesare Basile tasta il terreno polveroso di questa sera di diluvio e silenzi rumorosi. E’ con il suo Canto dell’osso che accorda i polsi e le parole all’estro particolare di Lorenzo Corti. Li ascolti, non puoi fare altro, e il testo messo a memoria è un mormorio che non osi tramutare in voce. A tutte ho chiesto meraviglia ottiene riverenza con una ritmica che è tutta di cuore, di dettagli rubati alla maestria di un arrangiamento scarno, scarnificante. Un cuore che pulsa, che morde alle caviglie le certezze e la paura, che le trattiene per re-inventarle nelle orme lasciate dalla Donna al pozzo, da tutte quelle donne cui questo pezzo osa restituire intatta la dignità dell’attesa. I piani armonici paiono toccarsi, i lacci di note stuzzicano capotasti sornioni, le tastiere fermano scale folk nella risonanza dei sensi, dei presagi. Cesare Basile ha il capo chino, guarda altrove, gli occhi piantati nel punto esatto in cui la lieta novella diventa carne: appeso lì, All’uncino di un sogno, un cappello di lemmi perfetti, calato sulle ciglia del presente a distillare le lacrime, a setacciare la luce; a guardarci da lì, una croce e l’ombra di chi vi è rimasto inchiodato (Dal cranio). Qualcosa deve essere ancora detto, qualcosa deve essere ancora suonato: sul tappeto di composti rancori de Le feste di ieri si prepara il ludico rintocco de Il deserto con tutta l’ironia che riesce a stringere nella smorfia dei ritmi, nell’incalzante ridere delle corde; 19 marzo scansa la logica dell’opportunità e apre alla scelta, all’urgenza: gli strumenti abbracciano le parole e le liberano, rincorrendone il senso con un tocco di follia. Sono in due, sono solo in due, ma a non averli di fronte potresti essere tratto in inganno, potrebbe non essere così. I suoni salgono, riempiono ogni angolo, lo smussano, lo indossano: Storia di Caino è lì, è energia, è liberazione, è una bestemmia di dolore. Si porta dentro la tempesta a cui Per nome concede, di lì a poco, la grazia della quiete, di un tocco di delicata poesia. Apocrifo schiaffeggia, come sempre, e sono schiaffi che mirano alle facce, ai pensieri che le facce provano a nascondere; Il fiato corto di Milano allarga le braccia, si arrende, misconosciuto atto d’amore verso una città fatta a pezzi, tradita e traditrice, nemica e compagna d’espiazione, testimone di solitudini schive ed ingombranti, custode d’ombre e di segni, di violazioni e tremori, su cui veglia la luna di Sul mondo e sulle luci. Sul fondo delle pozze, questa sera, hanno tremato gli occhi di molti: hanno tremato sui riflessi di corpi nudi, denudati, di cerchi lasciati da bicchieri bevuti a metà, di un sogno rappreso nell’istante dell’asfissia, di un assolo di hammond (La suonatrice di hammond), di una scelta necessaria, di un tormento. Molti occhi hanno tremato d’emozione, di sorpresa, di gratitudine, impedendo al diluvio di cancellare le tracce di una musica che è d’anima, di terra, antica dell’antichità che solo certe pietre preziose riescono a custodire.

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2 commenti

  1. … un laccio che lega silenzi che parlano…

    come se nulla potesse cambiarci
    e chi lo sa forse nessuno è cambiato

  2. Stai alla scrittura come quei surfisti all’onda. La tua mano ci lascia e ci riprende infinite volte per tirarci a te senza sosta.
    Hai un po la stessa dote di Basile.
    Riesci a descrivere le tue sensazioni in modo denso e vischioso.

    A Basile ci sono particolarmente affezionata in questo periodo, la sua voce mi culla spesso nei miei viaggi. Nei miei pensieri.

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