Ma il sortilegio questa notte svanirà (Naufragio sull’isola del tesoro). Svanirà l’incantesimo della realtà quando toglie salvezza al sogno, la fattura del buio quando devia la luce. Lo farà nell’invenzione di una memoria d’immagini ed elettricità, fatta di lame che tagliano la voce, che apparecchiano il senno di poi con l’ironia di un’assoluzione che non include le mezze misure (E’ solo febbre). Si placherà con 27 calici di nettare d’energia e genio, preso a schiaffi, malmenato, da sei coppie di mani, dall’estro dei loro talenti, da un’ugola avida, impassibile, matura, generosa. Le chitarre non si basteranno, questa sera, non si basteranno le pelli di una batteria che lì, in mezzo, pare danzare.
Violino, tastiere, tamburello, corde: si cercheranno, si toccheranno, urteranno le aste e i sensi, le aspettative e il gusto, imbarazzando la mediocrità, vincendo sui luoghi comuni. Lo si sente, è nell’aria. Accadrà. Deve accadere. Accade. Gli Afterhours sono uno corpo, questa sera, lo sono adesso, lo sono da tempo. Un corpo di fibra, d’energia. Cinque cellule nere ed una bianca, sei once d’argento vivo, una miscela esplosiva di rock e visioni, d’allegorie e segni. Ospitano sul palco John Parish con il piacere delle opportunità che non devono andare sprecate; si omaggiano ed omaggiano il loro pubblico della sua classe acutissima e composta, impagabile. I pezzi esplodono, non si lasciano attendere, avvampano, portandosi dentro la cura di un’esecuzione impeccabile, pura della moralità dello schianto. Il passato remoto si aggrappa al prossimo mentre il presente mesce novità al prezzo di un’adrenalina imperitura: Ballata per la mia piccola iena, La verità che ricordavo, Neppure carne da cannone per Dio; La sottile linea bianca, La vedova bianca, Punto G, Tutti gli uomini del presidente. I ritmi si impennano come in una corsa in cui il fiato debba necessariamente venire meno: Pochi istanti nella lavatrice è entropia, è di un passo più in là rispetto a qualsiasi illusione di dolore. “Io sono senza pace / E se non ti piaccio più per che cosa piangerai / Io sono senza voce / Per cos’altro mi terrai / per cos’altro mi vorrai…”. Urla, Manuel Agnelli, lo urla, come non dovesse essere dimenticato. E poi, a spalle strette, prega; prega lo stupore, il silenzio, la paura; prega il privilegio della normalità, la sua, dentro all’ipnosi della fuga (I milanesi ammazzano il sabato). E’ solo un momento, è come una parentesi, ma è necessaria, dentro al blu di una palco che di nuovo vuole schiudersi all’urto delle note, alla pellicola delle nostre pelli tese. Tema: La mia città, E’ la fine la più importante, Bye Bye Bombay, 1.9.9.6.: le piccole scatole in cui abbiamo imparato a vivere franano e, per un momento, ri-conosciamo la nostra voce, la buttiamo fuori, padroni, insieme a loro, di un istante d’estasi, d’abbandono. Un istante che Oppio sigilla, che in Riprendere Berlino trova una compagna di segreti, che con Tarantella all’inazione si inventa fiaba vile, immutata e mutevole, carnale e spudorata; un istante tenuto per mano da una bambina che riesce ad insegnare la vita prima d’averla imparata (Orchi e streghe sono soli ). L’attesa di migliaia di corpi rompe il silenzio della penombra che copre la platea con un brusio diffuso. Il palco è vuoto. La luce bianca di Voglio una pelle splendida ci prende per mano dalla gradinata, acustica e nostra, suonata per noi, e siamo noi, adesso, a far loro un regalo, e cantiamo, per loro, un grazie speciale, un grazie dovuto. Si crea una dimensione particolare, di scambio, su cui Non sono immaginario cuce il dettaglio dell’amicizia, della confidenza: Manuel Agnelli e Giorgio Prette si abbracciano e ci abbracciano lasciando il segno della complicità sui nostri sorrisi. L’atmosfera è distesa, confidenziale. Manuel Agnelli annuncia l’addio di Dario Ciffo (n.d.r. lascia gli Afterhours per dedicarsi al progetto Lombroso) mentre un certo profumo di miele inizia a viziare l’aria ed è, sarà, un regalo per lui: “Ballategliela. Pogategliela”. E i ventri la ballano, la pogano, una Male di miele come non capitava da tempo, vischiosa, ruvida, prepotente. Gli angoli si smussano e John Parish è pietra preziosa su una For What It’s Worth (Buffalo Springfield) emozionante, d’occasione. La splendida ed accattivante Cortez the Killer (Neil Young) si pregia della partecipazione di Cesare Basile, ed è un inciso raffinato e carnale, di voce e chitarra appagante, d’impeto. Il naufragio si compie, le sponde si avvicinano: il tesoro lo abbiamo fra le mani, lo hanno dissepolto loro. Bungee Jumping e Musa di nessuno danno corrente alle torce, ci portano dalle zattere alla sabbia, sulla spiaggia di una notte davvero splendida su cui Quello che non c’è è il tetto di stelle, è uno spicchio di luna gialla, intatta, meravigliosa come a volte ciò che sembra non è. (Lost Gallery)
A R., per la disponibilità e le amichevoli cure.
Ad A., musa preziosa.
A V., con noi oltre lo spazio e le barricate.
A D., per l’emozione quando le brilla negli occhi.
A C., con l’anima rotta ed in fiamme.
Alla Sua chitarra rossa.