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Tra il basso e la cinepresa: intervista a Barbara Lehnhoff (Peter Kernel)

Dopo aver incontrato Aris, il chitarrista dei Peter Kernel, LostHighways ha voluto continuare ad approfondire il mondo creativo della band. E’ andato a scandagliare l’origine della loro musica. Il progetto era nato nel 2005 come lunghe improvvisazioni strumentali con in mente sempre l’idea di creare colonne sonore di film muti. Alla radice del loro sound c’è il cinema sperimentale della bassista Barbara Lehnhoff (anche videomaker). E proprio dalla colonna sonora del musical sperimentale Like A Giant In A Towel che parte l’avventura dei Peter Kernel che ha portato all’album d’esordio How To Perform A Funeral. Di quel cortometraggio girato in Super8 da Barbara e proiettato l’estate seguente al Festival Internazionale del Film di Locarno e degli altri video sempre sperimentali come il loro pop che sa di post-rock si parla in quest’intervista con Barbara. Protagonisti dell’intervista sono la sinergia tra suono e immagine e il videoclip come estensione ed evoluzione del cinema muto.

ll confine tra il suono e l’immagine si fonde nei tuoi cortometraggi. Il video Like A Giant In A Towel è nato dai primi brani dei Peter Kernel nel segno della sperimentazione sinestetica. Puoi descriverci la genesi di questo video e le scelte particolari di realizzazione come quella del Super8?
La realizzazione di questo film è stata molto lunga e complessa. Per tre mesi intensi ho studiato la storia del cinema muto, il rapporto tra suono e immagine, e tante altre cose. Poi ho iniziato a mettere nero su bianco le mie idee. Ho scritto un sacco di materiale, ho disegnato lo storyboard e sono andata alla ricerca delle location. Questo mi ha preso all’incirca un mese e mezzo. E poi un mese per riprese e montaggio.
Per la realizzazione del progetto ho combinato le mie due passioni: il video e la musica. In entrambi i casi l’approccio è stato di tipo sperimentale, perché questo è il modo tramite il quale riesco ad esprimermi più liberamente senza dover soddisfare nessuna aspettativa da parte dello spettatore o dell’ascoltatore, e senza dover sottostare ad alcuna regola cinematografica. La finalità del mio progetto è stata semplicemente quella di rappresentare la mia personale visione di un tema quale l’esperienza umana.
Mi rendo conto che ognuno fa le sue esperienze e vive a modo suo ogni minuto della propria vita, e infatti nel mio video non ho imposto il mio punto di vista, ma piuttosto mi interessava mostrare qualche cosa che potesse stimolare l’immaginazione dello spettatore. Quella che è la mia visione non è che la base o il punto di partenza da cui mi sono mossa per rappresentare delle situazioni, delle immagini e dei suoni che possano suscitare una reazione.
Ho fatto un film musicale sull’esperienza umana, per far ripensare un po’ a se stessi, per rimettere in gioco dei sentimenti e delle sensazioni riguardo a temi vissuti da tutti come la conformità, la ribellione, l’innocenza, l’amore, l’odio, la morte, ecc.
Tutti argomenti su cui si potrebbe scrivere per tutta la vita, ma io non mi sento abbastanza esperta in materia per farci sopra grandi discorsi, se non per parlare di come vedo le cose.
La lavorazione di scrittura del film è andata di pari passo con quella della musica; un metodo questo che mi ha permesso di buttare tanti aspetti diversi della lavorazione nello stesso pentolone, così da produrre uno scambio diretto e immediato di influenze.
È proprio il rapporto tra immagine e suono che ho plasmato nel mio film. Non ho fatto un semplice videoclip musicale, ma un vero e proprio film musicale di circa venti minuti, dove come nel cinema muto non c’è parlato, ma le immagini e il suono completano questa mancanza, anche grazie al montaggio.
È interessante comunque l’affermazione di Michel Chion, uno dei massimi studiosi contemporanei degli audiovisivi, che afferma che il videoclip ci fa ritrovare il cinema muto, il che sembra un paradosso, perché si tratta di una forma costruita sulla musica, ma è proprio nella misura in cui c’è una musica alla base (e non c’è narrazione sostenuta da un dialogo) che l’immagine è totalmente slegata dalla linearità imposta dal suono.
Nel mio film musicale invece, siccome ne ho costruito la parte visuale e quella musicale allo stesso tempo, non c’è una prevalenza di ruoli, non c’è un prima e un dopo.
Le teorie che ho considerato maggiormente sono quelle che hanno dato un apporto allo studio delle funzioni della musica per film, come i vari contributi di Sergej M. Ejzenstejn, l’operato del grande George Méliès in rapporto alle sue scoperte sul montaggio, usato in modo quasi magico, i primi esperimenti con il suono e con l’immagine e così via.
Devo anche dire che ho avuto la fortuna di avere la supervisione di Luciano Rigolini, un produttore di Arte (canale statale francese che propone documenti audiovisivi molto interessanti).
Inoltre posso sicuramente affermare che la parte più complessa di tutto il progetto è stato reperire le pellicole Super8 perché stavo girando il film proprio quando non venivano più prodotte. E in tutto il mondo rimaneva solo un posto dove svilupparle. Inoltre la nuova pellicola Super8 non era ancora disponibile.
Pagado prezzi assurdi sono riuscita però a trovare su ebay vecchie pellicole (del ’79, ’83, ’84, ecc…) ed è anche per questo motivo che la qualità dell’immagine cambia molto nel film. Ma vuoi mettere l’effetto?

Il video di Rena è un bellissimo esempio di sincronismo tra immagini e musica. In particolare “sentire” e associare suoni, ritmo al fluire della natura. Un video di questo tipo è frutto di sperimentazione dove si vogliono esaltare le corrispondenze nascoste dell’universo… come e dove è stato realizzato questo video?
Rena non l’ho fatto io. L’ha fatto Fabio Pellegrinelli. Un mio collega videomaker che si è ritrovato con questo tipo di materiale video e che di sua spontanea volontà ha preso Rena ed mi ha stupita. Lui non sapeva nulla della storia di Rena, ma è riuscita a coglierne il senso.
Rena è stata scritta per una ragazza di Kenora, nell’Ontario, Canada (dove sono nata e cresciuta) . Era la mia migliore amica. Una notte è morta bruciata in un incendio nel suo letto.
E la canzone è una sorta di abbraccio.
Fabio ha costruito un percorso. La neve che scende dal cielo, si posa su qualche cosa, si scioglie e scivola giù, a fondersi con la terra. A mio modo di vedere è il racconto di una vita. Anche della vita di Rena.
Quando Fabio me l’ha mostrato ero quasi scioccata.

I Counted Them To Die Properly è il tuo ultimo video. Il senso di claustrofobia, di ansia del brano è reso in maniera eccezionale. Il tuo approccio di regista è stato prendere ispirazione dalle emozioni suscitate dalla musica o le immagini sono state pensate come estensione complementare al brano?
Volevo qualcosa di molto semplice e un po’ vuoto. Come la sensazione che lascia il brano. Inoltre ho cercato di inserire un elemento leggermente straniante sul movimento. Un movimento poco naturale. Un movimento disilluso e secco. Camera fissa e via. Il video è stato realizzato semplicemente facendomi trasportare dal brano. In modo molto onesto.

Barbara Lehnhoff si sente più bassista dei Peter Kernel o più videomaker sperimentale?
Videomaker è la mia professione. Il gruppo è il mio tempo libero. Anche se ultimamente PK mi sta prendendo molto tempo. Ma io mi sento videomaker nei PK e bassista quando faccio i video. Per dirti che vedo le cose molto legate tra di loro.

La rete come strumento di divulgazione della sperimentazione nell’arte. Un tuo pensiero a riguardo riferendoti a piattaforme come YouTube, Qoob o MySpace?
Sicuramente la rete è una giusta democratizzazione dei mezzi e delle possibilità. La sua efficacia dipende molto dal fruitore. Personalmente però non so nemmeno mettere in rete un mio video. È Aris (chitarra e voce PK) che si occupa e preoccupa di queste cose.

Quali sono i tuoi registi preferiti e perché?
Non ho dei registi preferiti. E poi dipende dal prodotto. Molte cose di Gondry mi piacciono, ma non tutto. Guy Richie idem. È molto bravo Nash Edgerton. Ma forse ciò che mi ha entusiasmato di più sono pellicole vecchie. Ad esempio quasi tutto ciò che ha fatto George Méliès, o – in tempi più recenti – Jacques Tati. Ma è difficile rispondere a queste domande.

Quale regista di video musicali ti ha colpito recentemente?
Non vedo molti videoclip, perché qui a Lugano, dove vivo, non abbiamo canali musicali. Quindi… non so. Di quelli che ho visto in questi anni, come detto, mi ha colpito Gondry. E poi in rete non ne guardo. Internet mi annoia.

Video – Like A Giant In A Towel


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