Il panorama musicale italiano non offre spesso musica che sia “fine a se stessa”. Il prodotto con finalità commerciali supera sempre (quantitativamente) l’opera avente contenuto umano e artistico. Riuscire a trovare semplicemente “il bello” è ancora più difficile, e per come la penso io, “il bello” non è altro che il perfetto equilibrio tra la complessità e l’immediatezza. Il Trio Bobo è ciò che più mi ha stupito in questi ultimi tempi: il gruppo riesce, come davvero pochi, a fondere lo spettacolo con le personalità dei singoli in un turbinio di colori che l’impianto luci non offre, ma la musica stessa riesce ad emanare.
Siamo a Zola Predosa, piccola città ai piedi delle colline della provincia bolognese, a due passi dalla città ma in un contesto rurale molto radicato in cui una rassegna musicale ed enogastronomica intitolata Jazz & Wine trova casa nelle tante aziende vinicole del territorio. Il connubio tra Bacco e le Muse della musica è a dir poco affascinante… ma questa volta c’è qualcosa di strano nell’aria. Il Trio Bobo non propone complesso jazz in cui la tecnica si chiude in un circolo vizioso di autocompiacimento offrendo distanti figure di innata classe. Il Trio Bobo sono per due terzi provenienti dalla scanzonata band Elio e le storie tese (sessione ritmica di Faso e C. Meyer) mentre il terzo componente (A. Menconi) fornisce il suo fondamentale apporto con una chitarra che salta dal jazz al rock al fusion con una agilità sorprendente.
Il maltempo però ha impedito che il concerto potesse tenersi tra qualche antica botte di vino o sopra un verde tappeto erboso a due passi dai vigneti, e così l’Auditorium comunale si è riempito di spettatori, fino al completo “sold out”. Eventi del genere sono particolari perchè riescono a portare di fronte ad un palco i veri appassionati di musica, e anche comuni cittadini che notano l’evento organizzato nel proprio comune e decidono di partecipare, all’insaputa di ciò che sarà: inconsapevolmente, con una genuina incoscienza, che questa sera verrà ripagata da un fiume di note che lascerà il pubblico stordito e stupito. La maggior parte dei brani proposti nel live sono estratti dal loro unico lavoro in studio (Trio Bobo) con l’aggiunta di qualche reinterpretazione di classici del jazz. Pezzi lunghissimi in cui il suono avvolge e culla, poi scuote e graffia con note, scale e riff che piovono dal cielo incastrandosi come un Tetris dai colori sgargianti. In ogni singolo brano le melodie vengono scomposte, riaggiustate e riprese anche a distanza di minuti, permettendo di scoprire che ciò che talvolta appare delirio, e ha in realtà una forma, pianificata a priori, che viene poi sconvolta dall’estro creativo dei singoli. Tanti gli assoli, che però mai stancano o rischiano di risultare stucchevoli: nel Trio Bobo non c’è l’autocelebrazione del singolo musicista che amoreggia con il proprio strumento, bensì l’esaltazione della musica, in quanto manifestazione ed esternazione di benessere. C’è indubbiamente una vena di esibizionismo nei musicisti dotati di tecnica e genialità, ma in questo caso non si tratta di egocentrismo, ma forse più un voler mostrare con vanto cosa la musica può fare sul corpo, sulla mente e sull’umore. I sorrisi e la complicità offerti sul palco erano veri e sinceri. Soltanto con un approccio del genere la musica può fare breccia anche nell’animo di chi ha orecchie per sentire ma non conoscenze di fondo (come me d’altronde, che non sono un amante di jazz o fusion). Solo in questo modo si possono sentire divertiti ed inaspettati commenti da parte di un anziano del pubblico che, una volta esauriti i lunghi applausi al termine di un pezzo, con un tono profondo dice a voce alta rivolgendosi a Faso: “Baffetto! Tieni un gran bel tempo! Continua così… bravo!” con conseguente esplosione di risate sia sopra che sotto il palco.
Il Baffetto riprende a suonare imbracciando il basso muovendo le dita su di esso con precisione e dinamismo scaturito dal profondo, mentre la chitarra di Menconi a tratti dilata o accelera i tempi in spazi sterminati in cui si lancia in corse forsennate. La batteria di Meyer è assoluta protagonista della musica dei Bobo, proponendo svariati suoni e tempi sempre inaspettati, forse anche da lui stesso. In certi frangenti è lo stesso batterista ad apparire stupito di dove le bacchette decidono di andare a picchiare, con espressioni sofferte a causa di un corpo che insegue un pensiero davvero troppo troppo veloce e folle. Tra i tanti brani eseguiti Bobetti’s revenge e Volcano for hire stupiscono nella melodia e nella ritmica che trovano luoghi d’incontro suggestivi e sorprendenti, mentre Drama in Jamaica con il suo ondeggiare dal carattere reggea finisce per straripare nel blues più elettrico. Per i Bobo il divertimento è una prerogativa che nel live non può mancare e questo è manifestato dalle introduzioni dei pezzi accompagnate da parole sorridenti. Oltre alle parole, ovviamente è la musica il loro mezzo di comunicazione prediletto: diverte fino all’impossibile un brano con una melodia solare interrotto e poi ripreso più e più volte da assoli e improvvisazioni assolutamente “fuori luogo” come Stairway to heaven dei Led Zeppelin, Black night e Smoke on the water dei Deep Purple e il famosissimo tema che accompagna l’entrata in scena della Pantera Rosa nelle apparizioni dei cartoni animati.
Dopo un impressionante assolo di Meyer alla batteria, gli altri due componenti della band rientrano sul palco per accomodarsi tutti e tre vicino alle pelli e al metallo delle percussioni. Situazioni bizzarre e divertimento, sostenuto da una professionalità a dir poco colossale, e un’ammirabile voglia di condividere ciò che il suono può far scaturire ed innescare nelle persone. Tanti applausi ricoprono i ripetuti inchini dei tre musicisti che stanno per lasciare l’auditorium mentre agli spettatori resta ancora una tappa per concludere la serata. Non c’è niente di meglio che uno o più bicchieri di vino, e portare anche nel palato quel sapore e quell’ebrezza che la musica ha donato poco prima. Il Trio Bobo fa bene all’anima. (Lost Gallery)