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A moon full of stars and astral cars: Radiohead @ Arena Civica (MI) 17-18/06/08

The most perfect day I’ve ever seen: Radiohead @ Arena Civica (MI) 17/06/08 (Alessandra Gabola)

Sembra quasi un segno del destino: la pioggia cade incessante nelle due ore d’attesa sugli spalti dell’Arena Civica di Milano per poi smettere nell’istante in cui i riflettori si spengono e il palco si accende di luci e di colori. Gli ombrelli si chiudono e si spalancano gli occhi, le orecchie e i cuori. Il folletto dai capelli rossi è lì ed è pronto ad incantarci con il suo carisma, con il suo modo di vivere le canzoni, di partecipare fisicamente, di trasmettere l’energia e la potenza delle note, degli strumenti e della sua voce. Thom Yorke e i suoi Radiohead. Quanto tempo hai aspettato? Quante volte hai desiderato di essere proprio lì? Quante volte li hai ascoltati nella tua stanza? Quante volte hai pianto… E adesso ci sei, e subito ti investe l’onda di 15 step:

“How come I end up where I started / How come I end up where I went wrong / Won’t take my eyes off the ball again /You reel me out then you cut the string.” 15 passi verso lo strapiombo, 15 passi verso la caduta, 15 passi verso un morbido cuscino. Tu mi lasci cadere ma tu sei tutto quello di cui ho bisogno. Le persone attorno a te scompaiono, scompaiono gli spalti, scompaiono le case al di là dell’arena, resti tu sospesa, immobile mentre la batteria suona lenta, e la voce di Thom Yorke arriva come una preghiera implorante: “You’re all I need, you / are all I need / I only stick with you because there are no others”. Sì, non esiste altro di così bello, di così prezioso, di così unico. All I need e la serata potrebbe finire qui perché sei piena di emozioni, piena di commozione. Ma dopo quest’immersione nell’ultimo disco (In rainbows), i Radiohead tornano indietro al loro capolavoro Ok Computer con Lucky, e poi ad Amnesiac con la commovente Pyramid Song: “I jumped in the river / black-eyed angels swimming with me / a moon full of stars and astral cars / all the figures i used to see / all my lovers were there with me / all my past and futures /and we all went to heaven in a little row boat/ there was nothing to fear and nothing to doubt.” Quanto le senti tue queste parole? Quante volte hai provato il desiderio di cadere giù e non dover più avere paura e sentirlo cantare, sentirlo suonare. Questo desiderio ti libera, ti fa sentire meglio. Lo stai condividendo con ogni nota, con ogni parola, con ogni colore che continua ad illuminare il palco in incessante gioco di luci. Passato e presente si mescolano, Weird Fishes/Arpeggi, Mixomatosis, Optimistic, Reckoner, There There, e l’insperata Karma Police. Un coro che ci unisce tutti. Due ore di intensa concentrazione, due ore di musica e di spettacolo, due ore di commozione. Perché è finito? É finito il più bel giorno che abbia mai visto.

“This is my way of saying goodbye
’cause I can’t do it face to face
or talking to you before

No matter what happens now
You shouldn’t be afraid
Because I know today has been the most perfect day I’ve ever seen”

A te che sei tutto quello di cui ho bisogno.

You are all I need: Radiohead Live @ Arena Civica (Mi) 18/06/08 (Roberta Molteni)

Come ri-nascere, approfittando della corsa di un folle che insegue i propri incubi migliori, che lascia davvero poco al caso, che s’aggrappa al proprio naturale talento come ad un’esplosione, che scivola attraverso la filigrana della sua musica come non avesse consistenza, quasi potesse farsi musica egli stesso; un piccolo uomo che ad averlo davanti è un gigante di tendini, di estro, di energia. E ti emoziona, Thom Yorke. Ti emozionano questi Radiohead fuori dal tempo e dallo spazio, dentro alla storia, al sicuro fra le parentesi di una qualità infallibile. Puoi ri-scoprire il senso dell’attesa, il gusto dell’inconsueto, il piacere dell’illecito, della perfezione. Perché è perfetto quello che accade in questa sera di giugno, è l’occasione della rarità a rendere perfetto questo cielo verde scuro, questo cielo nero che drappeggia l’Arena Civica di Milano, che scherma il rettangolo di luci da cui esploderanno l’oceano, la guerra, il prezzo del niente, la poesia romantica di un battito del cuore, il limbo di un inferno salvifico ed indimenticabile. Canta Thom Yorke, con quella sua voce indescrivibile, arrampicata su parole che mettono senso ovunque guardino, presa a schiaffi dalle sue stesse mani mentre uccidono le chitarre d’ispirazione. Vede fantasmi e li chiama per nome, ama e t’insegna la solitudine quasi nessun altro prima avesse osato, fugge la realtà dandole un posto in cui possa avere ancora un senso tenderle la mano. E’ lì, in carne ed ossa, con il suo corpo ingrato – eppure magnetico – ed il suo genio prepotente, circondato dai solidi corpi che insieme a lui hanno re-inventano le distanze fra l’urgenza di fare musica e la capacità di farne musica d’eccellenza, musica capace di innalzarsi oltre la misura della velleità. Reckoner, 15 Step, The National Anthem, All I Need, Nude; e ancora: Airbag, The Gloaming, Dollars and Cents, Weird Fishes/Arpeggi, Faust Arp. Gli strappi sonici, l’ipnosi ritmica, la tempra sperimentale, la delicatezza intatta di un certo viscerale romanticismo: ti scavano lo stomaco, ti si annidano sui timpani, s’insinuano fra le scapole, scolpiscono di meraviglia il luogo che già occupano fra i ricordi migliori. Dal palco le proiezioni al neon, le sbarre di bagliore, il bianco e nero che osa impazzire nello spettro a basso consumo di tutti i colori possibili, le riprese dall’alto, d’accanto, d’ovunque, trattengono le loro espressioni e poi te le precipitano fra le mani, mani ingorde di applaudire ancora, di pregare ancora, di stringere ancora fra le dita quella cecità dolcissima, il negativo dei rossi e dei neri, gli scatti d’ossa e visioni, la prepotenza della tecnica, della tecnica quando rasenta lo stato di grazia. Eccole: How to disappear completely, Jigsaw falling into place, A wolf at the door, Videotape, Everything in its right place, Idioteque, Bodysnatchers. Equilibristi sulle corde di un rock che s’incunea d’elettronica, che conosce la moralità dell’audacia, che non spolvera ma rinnova, custodisce, ri-genera i sensi, tutti, uno ad uno. In rainbows è il grembo della serata, il ventre generoso da cui prende respiro l’intera scaletta, in cui trovano uno specchio ideale il passato prossimo di Hail to the Thief ed Amnesiac, il passato remoto di Kid A ed OK Computer; è un’età e l’ambito, è il cavillo e la misura, è la terra e le sue regioni, le sue ragioni. House of cards ti accomoda fra le parentesi di accordi vibranti magia e poi s’inchina a There There, a Bangers and mash, ad una prodigiosa Just , a The tourist. Go slowly è l’attimo del riverbero di luce, è il nord, punto cardinale del miracolo, del rifrangersi di certe onde, azzurre, di vento. 2+2=5 è simposio d’impeto, di sinergie; sconvolge la misura dell’addio dentro alla tregua di un’ultima virata di distorsioni, di tocchi, fino a Paranoid Android, prezioso cenno del capo, dal basso all’ugola, dai plettri alle spazzole, inchino in grande stile, commiato febbrile, flessuoso, impeccabile. La terra è ancora fradicia sotto ai piedi, fradicia della pioggia di ieri; la luna è piena, gialla, enorme, messa lì come un sigillo, occhio veggente d’estasi, della premura del sogno. Le note inseguono, ancora ti accarezzano, mentre il giorno riprende a finire, mentre le lancette si riappropriano dei minuti, si ri-allineano ad una certa, stolta normalità. Per due ore è stato altro, lo è stato per davvero.

Un grazie speciale a M. per la memoria dell’attimo.

(Tutte le foto: Emanuele Gessi)

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2 commenti

  1. Sono onorato che i miei scatti furtivi siano in compagnia di parole tanto ispirate.

    Quella luna, alla fine del concerto, l’ho vista anche io. L’ho notata, l’ho assaporata.
    Non solo quelle due ore sono state “altro”…
    noi tutti, presenti, ora siamo “altro”.

  2. Io invece ho assistito alla prima data: alla magia della pioggia che si ferma, dell’arcobaleno che, nelle note, è arrivato davvero.

    Non li avevo mai visti prima e mai avrei creduto che l’emozione sarebbe stata tale, che Thom, così apparentemente fragile, si rivelasse invece così grande.

    Un concerto che porterò a lungo nel cuore: immagini, sensazioni, canzoni che ora emozionano ancor più di prima.
    Perfetto, tutto perfetto.

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