Home / Editoriali / Come in un cubo di Rubick: Stephen Malkmus & The Jicks @ Estragon (BO) 02/06/08

Come in un cubo di Rubick: Stephen Malkmus & The Jicks @ Estragon (BO) 02/06/08

Io non lo conoscevo prima di questo live: Stephen Malkmus è l’ex leader dei Pavement, gruppo che fu bandiera di quella gioventù americana stanca del nichilismo grunge. Da anomalia di importanza epocale, il grunge stava diventando la triste normalità. Come tutte le “mode”, come tutte le correnti artistiche e di pensiero, anche questo arrivò ad un punto in cui i duri e puri continuarono imperterriti convinti del proprio approccio alla vita, mentre altri invece sciolsero i nodi dagli ormeggi per lasciarsi naufragare verso nuove isole. I Pavement raccolsero tanti di questi giovani naufraghi, portandoli con sé su un’imbarcazione sgangherata, sporca ma non sudicia, complessa ma efficace.

Il pop sgraziato della band di Malkmus era necessario a chi non ne poteva più dell’introspezione ed autodistruzione dei capelloni che stavano a cavallo tra il metal, il rock e il punk. Sono passati parecchi anni (nove per l’esattezza) dallo scioglimento della band, Stephen Malkmus ha superato i quarant’anni, ma a vederlo da vicino la sensazione è quella di avere di fronte un uomo che non fa altro che giocare tutto il giorno con suo figlio, per mantenersi vivo.
Giocare: una necessità vitale. Giocare con i suoni e con le parole, con le note e i colori.
E così, come in un cubo di Rubick tra le mani di uno davvero capace, le canzoni di Stephen Malkmus e dei suoi fidati The Jicks risultano quadratini colorati che scappano velocemente. A momenti si avvicinano, un attimo dopo si ritrovano sparsi sulle tre dimensioni, nascondendosi alla vista, riapparendo in pochi scatti, tutti insieme, intere facce dello stesso colore.
L’esibizione attinge brani da tutti e tre gli album di Malkmus solista, anche se quest’ultima definizione non si addice ad un artista che mette in primo piano la band che lo accompagna.
L’inizio è affidato alle note distorte di It kills, che non tardano a dilatarsi scomposte ed allo stesso tempo avvolgenti. Un barcollare funambolico porta al liquido scorrere di Elmo Delmo dove brevi ma intense rapide scuotono il ritmo attraversato da tastiere psichedeliche che risucchiano come mulinelli improvvisi in un impetuoso torrente. Hopscotch Wille prosegue sullo stesso terreno scosceso. Forse talvolta inciampando, ma questa è una peculiarità della musica di Malkmus, spesso corre zoppicando volontariamente, giusto per il gusto di arrivare alla fine ancora più stanco. Il risultato finale, a mio parere, è davvero affascinante, in quanto audace. Baltimore riesce a passare da sonorità quasi rock-country a chitarre hard rock anni ‘70, il tutto con arrangiamenti moderni che non odorano mai di vecchio. La traccia che dona il titolo all’ultimo album di Malkmus & The Jicks non è altro che una scoppiettante e lunghissima digressione di spensierato rock. Tanti piccoli colpi senza mai decollare completamente, con suoni elettronici che si intrecciano ai più classici strumenti del genere. Real emotional trash lascia quindi il posto ad una serie di pezzi molto più leggeri e spensierati come Post-paint boy, Jenny & the Ess-Dog e Gardenia. Queste ultime due afferrano l’attenzione per la spontaneità della melodia pop intrinseca in ogni nota: bolle di sapone nell’aria che stentano a scoppiare. Non può non far sorridere la storia della giovane Jennifer e del suo adulto amore, dei baci scambiati tra le note di canzoni degli anni ’60 e del cagnolino con la bandana al collo; impossibile non contorcersi per il solletico ascoltando Gardenia. I colori tornano cupi (per ben poco) in Dragonfly Pie che fa completamente impazzire per la scelta di affiancare i ruvidi Black Sabbath alla psichedelia ed al pop più soffice. Accostamenti assurdi che stordiscono, fino ad innamorare chi adora osservare la musica come un rompicapo in cui perdersi, fino a lasciarsi drogare da essa. Affiorano degli schizofrenici Blur in Pencil Riot prima di chiudere con la dolce e, come sempre, sorprendentemente eclettica Mama.
Stephen Malkmus è l’uomo della porta accanto: viso pulito, vestiti non alla moda, sguardo vispo.
La fantasia compositiva del musicista è sorprendente, anche se a taluni può risultare fin troppo sgualcita e scomposta. La capacità di ricreare melodie pop in contesti molto distanti dal genere conferma il lavoro svolto da Malkmus in passato con i Pavement, e lo porta a vivere in prima persona con la sua “nuova” band i suoi giochi di specchi, luci e costruzioni.
Riascoltando ora gli album di Malkmus e ripensando al live all’Estragon, mi pare di riuscire a vedere un bambino seduto in terra, ai piedi dei musicisti. Gioca a costruire castelli con mattoncini colorati. Gattona ed inciampa intorno ai piedi nudi della bassista della band, indica divertito la maglia a righe del sorridente tastierista-chitarrista e cerca di sfiorare gli svolazzanti capelli dell’energica batterista.
Quel bambino è l’anima di questa musica, che tanto può essere criticata, quanto amata.
Nessun bambino può considerarti amico finché non ti siedi al suo fianco a giocare con lui, così come la musica di Malkmus & The Jicks. (Lost Gallery)

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Un solo commento

  1. Non resta che togliersi le scarpe e sedere per terra con questo bambino. A cosa giochiamo per primo?

    Un report splendido, davvero.

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