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La rivoluzione dell’amore e della bellezza: intervista a Massimo Giangrande (Collettivo Angelo Mai)

Un luogo aperto o una culla, questo può essere l’anima o le anime che si incontrano e fondono. Nell’Aperto di un cuore dischiuso, fatto di battiti diversi e nutrito da molte vene, sta un sogno o una rivoluzione… una bellezza che è ricerca, magia, coscienza, gioco, responsabilità, gioia, pensiero, amore. Quella bellezza è possibilità, è occasione, è musica che reclama il sentire per esserne cura e ricchezza, il Collettivo Angelo Mai la dona facendo di un canto una rosa dai petali screziati, da ognuno si leva, come vapore di rugiada, un incanto che risveglia i sensi.

Mettendosi in ascolto di chi ha saputo intrecciare le mani per scrivere una poesia capace di riscaldare e illuminare, diventa semplice credere che la bellezza possa davvero essere salvifica, che nasca in seno alla meraviglia l’opportunità di esistere toccando e lasciandosi toccare dal mondo, che sia una visione o una parola o una musica a darci con generosità la possibilità di essere migliori. Massimo Giangrande svela un lembo dell’anima del Collettivo, facendoci scoprire una realtà che confida nella cultura e nell’arte.

Il Collettivo Angelo Mai vede vari musicisti, con differenti esperienze alla spalle, ri-trovarsi in un progetto comune attraverso un sentire condiviso. Il canto di uno diventa la musica dell’insieme, i colori di ogni respiro sfociano in una sinfonia che è armonia di diversità, di unicità. Come accade?

L’esperienza del Collettivo nasce da un gruppo di amici e musicisti che si sono ritrovati, dopo anni di esperienze diverse in ambito musicale, a condividere e scambiarsi la gioia del fare musica in tanti, dando origine ad un viaggio fatto di suoni, parole e ricerca.

Oltre al contributo determinato e determinante di ogni singolo artista che partecipa e costituisce il Collettivo, questo si avvale del prezioso apporto di tutti quei musicisti che hanno intrecciato ed intrecciano il proprio percorso con il vostro. Quanto ritrovate di questo com-prendere, di questo desiderio di dialogo, nella vostra musica? E quali sono quegli artisti che hanno nutrito in modo particolare il vostro percorso e il vostro essere?
Il percorso personale di ognuno di noi ha chiaramente influito sugli altri e l’entrare in relazione con mondi musicali diversi e mutevoli, come ad esempio il gruppo di improvvisatori presenti nel disco, piuttosto che l’incontro con Peppe Servillo o Carmen Consoli, rende sempre stimolante il modo di fare musica e di relazionarsi agli altri, in questo senso credo che la musica abbia il dono magico di far incontrare e “innamorare” le persone.

L’ensamble si è formato attraverso dei concerti ed anche grazie alla rassegna Canzoni in forma di rosa, ispirata all’opera di Pier Paolo Pisolini. Proprio al poeta è dedicato il vostro primo disco. Qual è il rapporto tra voi e le sue parole, tra la vostra musica e il suo pensiero?
Credo che la musica non sia solo gioia e divertimento nel farla, che sono comunque aspetti fondamentali perchè questa arrivi agli altri, ma a volte rappresenta la consapevolezza e la responsabilità nei confronti del mondo nel quale viviamo perchè in quanto forma d’arte (e forse tra le più nobili ) mette in contatto gli individui con le proprie emozioni, le speranze, i sogni. E quando “senti” o ti emozioni… “esisti” e quando esisti pensi e rifletti… quindi la cosa che può in qualche modo relazionarci a Pasolini è questo senso di responsabilità civile ed etico nel fare dell’arte un atto non solo giocoso ma anche e soprattutto consapevole!

A raccontare il vostro legame con Pasolini restano delle parole candide, che sono come raggi di luce fissati in ricami sul nero del booklet che accompagna il primo album dell’Orchestra mobile di canzoni e musicisti…”la memoria genera altra vita – disperatamente talvolta – solo quando è sensibile, non vogliamo stancarci di cercare quella parola che strida, come un gesso sulla lavagna, e disturbi e risvegli la società contraffatta che ci viene raccontata dai sociologi, senza pudore. Una parola che si fa corpo, che diventa musica, su un palcoscenico o in una strada non solo per denunciare, ma per cambiare. Prende la rincorsa e va, come un bambino su un prato, senza paura, perché forse è questo che ci ha insegnato il poeta, il coraggio di amare“. La ricerca di una parola che strida, disturbi e risvegli, il coraggio di amare dove vi sta conducendo?
Queste parole all’interno del cd racchiudono bene il pensiero legato alla memoria, ad una memoria che, se conservata con cura e saggezza, genera altra vita ed al coraggio di amare che diventa per forza un gesto altamente civile e sociale proprio perchè l’amore così come la bellezza non sono solo delle inclinazioni dell’animo umano ma hanno nella loro realizzazione pratica una forza ed un dinamismo “rivoluzionari” senza eguali.

In attesa della nuova dimora (che è in divenire presso le Terme di Caracalla), accarezzo con la memoria le varie iniziative dell’Angelo Mai. In particolare ricordo il giugno del 2006, quando viene decisa l’apertura di una biblioteca per tutti: per realizzarla è stata organizzata la Festa del libro custode, il biglietto di ingresso era costituito dal dono di un testo amato. Prende così corpo una biblioteca fatta di libri, ma anche di gesti d’amore e generosità, di tracce di anime che desiderano e cercano la condivisione. È uno dei tanti progetti attraverso i quali l’Angelo Mai ha espresso la convinzione che la cultura sia “un atto profondamente politico e di fede in un mondo migliore“. Sia l’Angelo Mai che il Collettivo dimostrano la valenza etica dell’estetica. L’esperienza del bello può modificare e determinare il modo di stare al mondo dell’uomo. Cosa vi piacerebbe che determinasse la vostra musica in chi si pone all’ascolto?
Il legame con la bellezza e con ciò che c’è di più nobile insieme ad essa è una tematica che nell’arte ha sempre suscitato grande dibattito, credo a questo proposito di poter prendere in prestito le parole di un grande scrittore affinché la poesia arrivi più veloce al cuore di quanto non lo facciano mille parole: “bisogna fare in fretta a ingozzarsi di sogni per attraversare la vita che ci aspetta fuori e uno sceglie tra i sogni quelli che gli riscaldano meglio l’anima” (Céline). In questo senso mi piacerebbe che la gente ascoltando la nostra musica arrivasse anche solo per un attimo a percepire emozioni simili.

Nell’autobiografia Dei miei sospiri estremi Luis Buñuel affronta la questione del rapporto tra rivoluzione e violenza. E’ giusto non smettere di interrogarsi a tal proposito, non limitarsi a farlo nel 2008 solo perché sono trascorsi quarant’anni dal ‘68. La via d’uscita da questa spirale negativa o cortocircuito non può essere costituita proprio dalla bellezza? Non sono forse l’arte e la cultura le più autentiche forme di rivoluzione? Intendendo la rivoluzione come una sollevazione, un rivolgimento ed un’elevazione, un’evoluzione che può far sperare in un uomo migliore e quindi in una società migliore, capace di abitare il mondo con più rispetto e cura, con più capacità d’amare.
La forza emotiva che riesce a suscitare un libro, un quadro, una musica, o un film non ha eguali per l’essere umano quindi in questo senso credo che l’arte e la cultura siano mezzi “rivoluzionari” per l’anima e per il corpo di un individuo.

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