Grandi distese di cemento e pochi alberi. Infiniti tendoni; il solito odore di ragù e fritto che negli ultimi anni si mesce a quello del kebab. Sono più o meno sempre così le feste dell’Unità… pardon, Feste del PD. Già, vero: è la novità. Ed è bizzarro camminare tra gli stand di una festa a carattere politico con, appunto, un panino kebab in mano, in una piccola città emiliana, e sentire altoparlanti annunciare la proiezione del messaggio del “candidato Obama”. La magia (bianca o nera che sia) della globalizzazione, del progresso e del “tutto qui ed ora” ha imbastardito ogni cosa, facendo sì che la poesia e la bellezza, sempre più rare, risaltino maggiormente quando con fatica vengono scoperte.
La musica è il mezzo principe per consegnare alle persone quell’ultimo alito di vitalità che l’uomo deve preservare, perchè a differenza di molti altri mezzi possibili, la musica sfrutta la fisicità. Direttamente, o per mezzo di strumenti, le onde emesse dall’uomo si fanno spazio nell’aria fino ad insinuarsi in altri uomini, accendendo un rituale quasi primitivo. Poi è vero che in eventi gratuiti, di media o grande dimensione come questo, non tutti coloro che assistono sono davvero interessati all’esibizione, e la passione vibrante e palpabile è qui minore che nei concerti a pagamento; ma anche le chiese durante le celebrazioni ospitano sempre un buon numero di fedeli distratti, solitamente in fondo, vicino alle porte. Per vivere davvero “l’incontro” in questi casi è necessario prendere spazio a due passi dal palco, chiudendo alle proprie spalle tutto il superfluo.
Sono i JoyCut a scaldare gli animi e a far accorrere la gente con le prime note che risuonano nei vicini tendoni della Festa. Una poderosa e lunare intro strumentale riesce nell’intento di stupire e stordire immediatamente. Le note si dilatano portando con loro tutto il tremore della passione che i giovani portavoce di Mr.Man riversano negli strumenti. Un rock a tratti fumoso e a momenti splendidamente limpido fa sì che i JoyCut riescano a strappare ricchi applausi ad un pubblico molto eterogeneo. La solidità di Yokono fa battere i piedi a terra seguendo il ritmo serrato, mentre Plastic City avvolge di colori e desta i più timidi fino a scuoterli suscitando sorrisi in un magnifico scambio empatico. Il dolce e complesso alieno di colore verde appare tra le mani del cantante, pronto a narrarci con paradossale umanità la propria inadeguatezza in questo mondo. Al termine di Mr. Man segue l’ancor più intensa Shake your shape dove il suono si contorce fino a deflagrare. La genuinità dei JoyCut la si riconosce a distanza, ed è comprovabile seguendo l’invito che giunge dal palco: “per chi vuole scambiare idee e opinioni… noi siamo là, al banchetto” in coerenza con un progetto di condivisione che tanto viene apprezzato da queste pagine sulle quali scrivo.
I veri protagonisti illustri della serata devono ancora salire sul palco, ma l’attesa non sarà estenuante. Il tempo di fare due chiacchiere e i tempi strettissimi imposti alla Festa portano i Marlene Kuntz sul palco. Di fronte ad un’arena verde, lasciandosi alle spalle un laghetto, le note di Sonica potrebbero riuscire a scatenare la natura che dorme placida dietro il palco. L’inizio è dirompente: fa male alle orecchie, e le chitarre, come lame, sembrano tagliare la pelle. Le bacchette rimbalzano sulla batteria in modo insolito, almeno per i brani a cui la band ci ha abituato nel passato: è tempo di omaggiare i Beatles con Come together. Come una medaglia che volteggia nell’aria, i Marlene Kuntz mostrano entrambe le facce della loro musica alternando i pezzi più elettrici a quelli del nuovo e rivoluzionario album Uno. E’ proprio il brano che dona il titolo all’album che innesca la giostra della poesia che mai è mancata alla band, ma che nell’ultimo lavoro discografico è protagonista più che nel passato. Godano offre tutta la sua teatralità al finale del brano, caricando di sofferenza le ultime parole. L’amore brucia e condanna, in particolare quando inspiegabilmente termina e con stupore ed arreso sdegno afferma severo: “non ho mai cessato di amarti ma, non riesco più a baciarti”. Un altro conosciutissimo brano della band di Cuneo distende le sue note inizialmente soffici, accarezzando un corpo che non c’è. “Pelle: è la tua proprio quella che mi manca / in certi momenti” fino alla dilaniata sofferenza in cui “nel letto, aspetto ogni giorno un pezzo di te, / un grammo di gioia del tuo sorriso”. Il fumo avvolge i musicisti rendendo davvero spettacolare ed intenso il concerto, mentre la voce strozzata di Godano canta che “l’aria è più nebbia che altro”, fino ad invocare almeno “una lacrima, per pochi attimi”. Soltanto per potersi sentire vicini. Nuotando nell’aria è sicuramente uno dei pezzi che riscuote gli applausi più commossi. Il potentissimo dolore di Ineluttabile è senza via di scampo: “Come girano i colori ed i sapori nella vita vera? / Qui per ora e’ nero come angoscia e amaro come fiele. / E li?”. La scoperta e perdita di un amore vengono narrati in La lira di Narciso. Grazie alla nuova dedizione della band a suoni che sanno essere anche magnificamente puliti e barocchi con grazia, il pezzo gode di nuova vita e poesia rinnovata, in un incanto dove la sofferenza risplende ed affascina con tenerezza.Tutto il concerto è un continuo susseguirsi di carezze e schiaffi, lacrime compassionevolmente asciugate e percosse brutali. Sacrosanta verità ed In delirio consumano tutta la rabbia per dare spazio alla delicatezza di Canzone ecologica nella quale si cerca di salvare le preziose tenuità. Suoni curati e leggeri danzano con le parole, cantate con un filo di voce incredibilmente morbida. “Forse sarebbe più bello tacere, / in accordo coi nostri pensieri, / che solo ad esprimerli in verbi e parole / non sono più verità”. La canzone che scrivo per te, successo che vide i Marlene Kuntz affiancati da Skin, riscuote molti applausi di provenienza radiofonica e televisiva, mentre per L’esangue Deborah la risposta è più mite ma molto più intensa e profonda. La teatralità di Godano torna a diventare protagonista in Fantasmi, dove il canto (molto più furente che su album) è sputato sul pubblico con fare presuntuoso, da vero attore: “Ora mi vedi, bello? Sono sempre qua, avvolto nella mia stilosa avidità, / continuo a farmi molto bene i fatti miei e volo alto dove non potresti mai”. L’amore del cuore e quello della carne si susseguono in Ci siamo amati e in Musa. L’irruenza fisica della prima si scontra con l’eleganza della seconda, nei suoni, nei testi e nelle immagini andando a descrivere il momento più emozionante della serata. Dopo qualche minuto di pausa (e gli incessanti applausi del pubblico a richiamare la band) i musicisti riappaiono sul palco. La band introduce un’altra cover dei Beatles per la quale lo stesso cantante ammette di divertirsi tanto a cantare e suonare: Here comes the sun tradotta in italiano è uno scherzo tenero che sembra chiudere un cerchio. Il brano si inserisce bizzarramente nel quadro dei Marlene Kuntz, senza però risultare un dettaglio fuori posto. Sapore di miele agita ancora di più Godano che è capace di raccogliere lo sguardo di tutti sulla propria figura magnetica, muovendosi lasciando scorrere in sè la musica e la poesia, come in un antico rituale dionisiaco. Emblema pagano con sembianze da Gesù Cristo affonda i suoi colpi senza timore e colmo di consapevolezza. La canzone strega con la sua sensualità che prende forma nella musica pesantemente ritmata che si interrompe in ampi respiri, prima di riprendere il ritmo forsennato che apre alla splendida ed immancabile Lieve. Altri applausi impongono alla band di tornare ad offrire al pubblico la loro musica tagliente ed elegante che tanto si è contaminata vicendevolmente con il passare degli anni. I brani più elettrici sono proposti con arrangiamenti pieni e rotondi mantenendo la personalità originaria; i brani di Uno, più morbidi e curati, vengono caricati e resi più incalzanti, in un perfetto equilibrio che chiarisce l’evoluzione di una band che non si è mai fermata ad un singolo risultato. L’energia di Poeti anticipa il toccante momento in cui l’organo di Impressioni di Settembre prende il volo, aprendo nuovi spazi e visioni in cui i Marlene Kuntz si mostrano nuovamente favolosi interpreti che non stuprano le canzoni altrui ma le viziano di attenzioni e cortesie. Mondo Cattivo e la sua estenuante coda strumentale chiude una serata in cui le energie dispensate sono incalcolabili. Il rapporto viscerale che ha Godano con la sua musica è reso evidente dal suo rotolarsi a terra sul finale, muovendo la chitarra con i piedi, i fianchi e tutto il corpo. I colpi sulla batteria di Luca Bergia sembrano non esaurirsi mai in un finale interminabile. Il basso di Luca Saporiti ha accompagnato tutto il concerto con precisione ed incisività mentre la chitarra di Riccardo Tesio immancabilmente si è mostrata marchio di fabbrica del suono MK. Discorso a parte va fatto per Davide Arneodo, violinista, tastierista e percussionista che offre tanto ai Marlene Kuntz. L’incanto delle atmosfere curate e sature risultano suoi meriti nella dimensione live, che gode anche della sua dinamicità nell’articolarsi da uno strumento all’altro. I Marlene Kuntz riescono ad emozionare in ogni modalità in si pongono al pubblico, offrendo nell’arco di un anno spettacoli in teatro, altri elettrici e altri persino acustici mantenendo intatta una personalità sfaccetata come un minerale prezioso. Cristallino, duro e tagliente, tronfio della propria bellezza, si lascia attraversare dalla luce dell’arte, per amplificarne all’universo intero i benefici. (Lost Gallery JoyCut, Marlene Kuntz)
La musica è il mezzo principe per consegnare alle persone quell’ultimo alito di vitalità che l’uomo deve preservare
La musica può ciò che al tempo non è sempre concesso: salva, immola, benedice, schiaffeggia, cura.
Le tue parole sono vento: vento che ride, che sente, che conosce la punteggiatura dell’emozione.
Impeccabile.